Gapo e la magia del tempo Riflessioni post lettura del romanzo di Gabriel Garcia Màrquez Vivere per raccontarla

Gapo e la magia del tempo

Riflessioni post lettura del romanzo di Gabriel Garcia Màrquez Vivere per raccontarla

Di

Alphonse Doria

Terminata la lettura del romanzo Vivere per raccontarla di Gabriel Garcia Màrquez (Oscar Mondadori – Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Milano, 2002) viene subito voglia, non solo di rileggerlo, ma di andarsi a divorare tutte le sue altre opere. Non è il primo libro che ho letto dell’Autore, inevitabile Cent’anni di solitudine, e sicuramente non sarà l’ultimo. Questo volume non so se è quello di Federico o di Peppe visto che sia l’uno che l’altro ne hanno comprato uno. Federico da sempre ha insistito che lo leggessi ed aveva ragione da vendere. Il protagonista di questo romanzo è Gapo, l’Autore, la voce narrante è lo stesso libro. Il libro racconta se stesso. Quindi per il fatto oggettivo che il lettore ha in mano l’Opera sa come andrà a finire di certo. Nonostante ciò la sua lettura prende parola dopo parola con grande curiosità sin dal primo rigo.

Federico me lo ha annunciato come il testamento letterario di Marquez. Lo stesso Autore lo presenta nel retro di copertina come “(…) il mio gran libro di narrativa, il romanzo che ho cercato per tutta la vita”. Vi sono immancabili ritagli biografici e pagine di storia colombiana viste con l’occhio dell’eccelso giornalista Gapo, il tutto pennellato dalla memoria idealizzata dalla nostalgia di un uomo “oltre settantacinque anni”.

La narrativa di Marquez è ancora unica nel suo genere, non vi è nessuno ancora che riesce ad inquadrare con equa ingenuità sia l’aspetto immanente che trascendente. Quindi il sentimento religioso, la magia o una credenza popolare, stanno nello stesso piano della rappresentazione materialista di un evento. Il mondo di Gapo si regge su tanti piedi che non poggiano sullo stesso piano. Esempio pratico a pagina 12:

Mia Madre si aggrappò al suo rosario come ad un argano capace di disincagliare un trattore o di reggere un aereo nell’aria,e secondo la sua consuetudine non chiese nulla per se, ma solo prosperità e lunga vita per i suoi undici orfani. Le sue preghiere dovettero arrivare dove era il caso, perché la pioggia si fece docile quando entrammo nel canale e la brezza spirò appena per allontanare le zanzare. Mia madre ripose il rosario e per  un bel pezzo osservò in silenzio il fragore della vita che trascorreva intorno a noi”.

Quanta bellezza letteraria vi è in questa scena! La madre con fede prende il suo strumento contro la tempesta: il rosario, che serenamente ripone non appena si acqueta. Questa magnifica donna con un talento, non così raro alle madri, “riusciva a nascondere la tremenda forza del suo carattere: un Leone perfetto” (pagina 11 e 12). La dignità cattolica insegnata a Gapo dai suoi genitori a sopportare gli altri è un riconoscimento della positività al prodotto di tale fede (leggi pagina 117).

Oppure a Sierpe dove “uno degli episodi più normali era vendicare un’offesa con un malefizio come quello di una creatura del demonio dentro il ventre. Gli abitanti di La Sierpe erano cattolici convinti ma vivevano la religione a modo loro, con orazioni magiche per ogni circostanza. Credevano in Dio, nella Madonna e nella santissima Trinità, ma li adoravano in qualsiasi oggetto in cui pensassero di scoprire facoltà divine. Per loro l’inverosimile era che una persona cui crescesse una bestia satanica dentro il ventre fosse così razionale da chiamare in causa l’eresia di un chirurgo” (pagina 307).

Qui la realtà del luogo si impregna di magia tanto che l’evento di un embrione gemello dentro la dome dell’altro da prova effettiva della bestia satanica.

L’altro esempio che voglio citare si trova a pagina 390: “(…) Figurina (…) Abitava a Medellìn da qualche mese, ed era felice per il recente matrimonio con Sol Santamaria, una suora affascinante e di spirito libero che lui aveva aiutato a uscire da un convento di clausura dopo sette anni di obbedienza, castità e povertà”.

La costante nella narrazione è l’innocenza che rende credibile ogni cosa. L’Autore non teme né la contraddizione né i limiti dimensionali. Ecco allora che in piena coscienza materialistica la clausura, scelta vocazionale di una donna, diventa prigionia da dove fuggire per trovare la libertà di vivere la propria sessualità, i propri beni materiali e il proprio tempo. Sono sicuro che in questo contesto l’esistenza di Dio, per Gapo, non è affatto in discussione. E’ tutto innocente ed è tutto vero. Proprio sintomatico è il nome di Vita, in un quadretto letterario straordinario a pagina 25,26:

“Alla fine del viale vedemmo il primo essere umano: una donna minuta, dall’aspetto impoverito, che spuntò a un incrocio e ci passò accanto con un pentolino di peltro il cui coperchio messo male segnava il ritmo del suo passo. Mia madre mi sussurrò senza guardarla: «E’ Vita.» Io l’avevo riconosciuta. Aveva lavorato fin da bambina nella cucina dei miei nonni, e per quanto fossimo cambiati ci avrebbe riconosciuto, se si fosse degnata di guardarci. Ma no: passò come in un altro mondo. Ancora oggi mi domando se Vita non fosse morta molto prima di quel giorno”.

 

Il tempo per Gapo è il tappeto volante che lo trasporta in quel Mondo magico della narrazione. In questo Mondo non vi è altra sponda al di là del mare, perché non occorre che ci sia.

In siciliano per qualcosa che avviene di paradossale diciamo “la fini di lu Munnu”, e così disse la madre di Gapo segnando con il dito la stazione ferroviaria dove nel 1928 è successo che l’esercito sparò su i contadini causando una strage di innocenti. Vi è un parallelismo tra estremo sud ed al di là del sud, tra Colombia e Sicilia. Una per tutte la strage del pane del 19 ottobre 1944 a Palermo dove caddero morti innocenti dal piombo dell’esercito italiano.  Ma i contatti sono tanti soprattutto culturali come a pagina 31 dove: “Di notte è peggio, perché si sentono i morti che vanno avanti e indietro per quelle strade”. I morti, che in Sicilia la notte tra l’1 e il 2 novembre portano leccornie e giocattoli ai bambini, nel Mondo di Gapo camminano per le strade. Anche la morte è un sentimento e Gapo ne ha paura, per questo in occasione della morte del belga che lo ha fissato scrive a pagina 87:

 

“Quella paura di essere visto dalla morte mi fece rabbrividire (…)”.

 

E quando alla morte del nonno furono bruciati le sue cose per sbaglio anche un suo indumento quel giorno ha capito, meglio dire ha sentito, che qualcosa di lui era morto con il nonno. Ho sempre creduto che la morte totale di una persona avviene quando le sue cose vengono disperse, distrutte, gettate nei rifiuti. E allora inconsciamente nasce la voglia di rimanere vivi nelle cose che restano. Un ottimo veicolo è l’arte per questo Gapo scrive per non morire del tutto, a pagina 92:

 

“Ogni cosa, solo a guardarla, mi suscitava un’ansia irresistibile di scrivere per non morire”.

 

Una espressione che mi ha colpito in maniera particolare è stata “il regno ermetico della zona bananiera”, dove “il tempo diventa più denso” e “il mondo cambiò”. (Una per tutte, qual è la differenza tra Mondo e mondo? Mentre il Mondo si intende la realtà che si sta vivendo, colma di spazio e tempo con le sue distese e gli spazi siderali, mondo in minuscolo si intende una frazione ben precisa del Mondo). Ciò che a volte si crede sia sviluppo, progresso è spesso l’imposta coloniale ad un Popolo per lo sfruttamento delle proprie risorse e la propria Terra. Così la multinazionale sfruttò ed abbandonò al suo destino il mondo di Gapo, lasciando solo lo spettro di quell’effimero progresso e sviluppo. Ogni Popolo deve ben capire che lo sviluppo può solo essere tramite l’evoluzione storica senza interferenze esterne. Oggi spesso si parla nei giornali di esportare sistemi politici ad altri popoli con altre culture. Si nasconde dietro questo interesse, da sempre, lo sfruttamento e l’artiglio della colonizzazione. In altre parole una giustificazione all’invasione. Leggiamo a pagina 22:

“Quando Papalelo mi portava al nuovissimo cinema Olympia di don Antonio Daconte io notavo che le stazioni dei film western assomigliavano a quelle del nostro treno. In seguito, quando avevo cominciato a leggere Faulkner, anche i villaggi dei suoi romanzi mi sembravano uguali ai nostri. E non era sorprendente, perché questi ultimi erano stati costruiti sotto l’ispirazione messianica della United Fruit Company, e col loro stesso stile provvisorio da accampamento effimero. Io li ricordavo tutti con la chiesa nella piazza e le casette da favola dipinte con colori primari”.

 

Oggi anche nella nostra amata Sicilia i centri urbani si trasformano con un centro commerciale e dei dormitori attorno. Presto anche i nostri paesi, se pur caricati da secoli e millenni di storia, saranno solo degli “accampamenti effimeri”.

 

Ho trovato giusto, pur sorprendendomi, a pagina 26, che gli uomini in vista andavano a porgere le condoglianze a Maria Consuegra perché aveva ucciso. Poco conta che quello fosse un ladro o che lei ha ucciso per paura, quindi in maniera colposa. Aveva ucciso una persona. Meditandoci un po’ su’ si scopre che quando si causa la morte negli altri muore anche parte di se stessi. Mentre l’immagine infantile del farmacista che diviene archetipo al di là della bontà o meno della persona. La maschera archetipo del farmacista a pagina 30:

 

“L’avevo visto come un’apparizione dell’altro mondo, con un camicione bianco da ospedale, pallido e ossuto, e quegli occhi gialli come da cane dell’inferno che mi avevano guardato per sempre”.

 

Ma l’immagine più tragica della morte nel libro si ha a pagina 128 quando i pidocchi fuggono dall’uomo ormai cadavere.

 

Quegli occhi lo hanno guardato per sempre. Per Gapo il tempo è magico perché il suo sguardo volge al passato ma ormai quel passato è carico di nostalgia, di sentimento per ciò che si è stato e ciò che si è voluto essere, quindi è immaginario. In questo racconto i tempi dei verbi sono semplicemente strumentali ma limitano qualcosa di più etereo e di più grande della storia reale.

 

Gapo vuole fare lo scrittore, tanto d’abbandonare gli studi all’università, lo annuncia alla madre durante il fantastico viaggio da Barranquilla ad Arcataca, sa che questo farà dissentire il padre, che avrebbe voluto il completamento degli studi. Ma ormai Gapo ha trovato il suo senso della vita e nulla e nessuno lo farà tornare indietro, per nostra fortuna. Il viaggio per Arcataca è soprattutto un viaggio nella memoria, quindi incontra ed affronta il mostro, l’archetipo della paura infantile, il farmacista. Ed ecco che il male diventa bene, perché il male spesso è solo una proiezione dal nostro interiore, ed è proprio il farmacista che appoggia la sua vocazione di scrittore a pagina 33:

 

“Il dottore, al contrario, la ritenne una prova splendida di una vocazione travolgente: l’unica forza capace di contendere i suoi diritti all’amore. E in particolare la vocazione artistica, la più misteriosa di tutte, alla quale si consacra la vita intera senza aspettarsene nulla. «E’ una cosa che si ha dentro fin dalla nascita e contrariarla è la cosa peggiore per la salute» disse lui. E terminò con un affascinante sorriso da massone irredimibile: «Proprio come la vocazione del prete.» Rimasi allucinato dal modo in cui aveva spiegato quello che io non ero mai riuscito a spiegare. Anche mia madre dovette pensarla così, perché mi contemplò con un silenzio lento, e si arrese alla sua sorte”.

 

Il 20 luglio è  una data celebrativa quella dell’indipendenza dalla Spagna per la Colombia, spesso la riscontriamo tra le pagine di questo libro, a pagina 35:

 

“(…) i festeggiamenti di un 20 luglio, giorno dell’Indipendenza di chissà quale anno di così tante guerre.”

 

L’anno è il 1810. Data importante per l’America latina perché fu indipendenza anche per le altre colonie spagnole: Venezuela, Ecuador, Panama e Perù.

 

Quanto è vero che solo l’indipendenza di una Nazione può avvertire il proprio Popolo da eventuali pericoli. A pagina 38:

 

“Un’altra voce era quella di Lorenzo il Magnifico, il pappagallo di cent’anni ereditato dai bisnonni, che gridava frasi contro la Spagna e cantava canzoni della guerra di Indipendenza. Era così orbo che era caduto dentro la pentola del sancocho e si era salvato per miracolo visto che l’acqua cominciava appena a riscaldarsi. Un 20 luglio, alle tre del pomeriggio, mise in subbuglio la casa con strilli di panico: «Il toro, il toro! Attenzione che arriva il toro!»”

 

Meraviglioso questo pappagallo indipendentista, una voce del passato che percepisce il futuro. Io non so se questo episodio sia realmente accaduto, per la verità del libro è successo che il toro arrivò  e mise in subbuglio la casa. Comunque è una meravigliosa metafora.

 

A pagina 36 vi è la magnifica espressione “il paradiso ermetico”, si tratta di una stanza della casa dei nonni dove le donne trascorrevano il loro tempo. Ermetico perché chiuso agli uomini ed ermetico perché Gapo ancora bambino come Ermes comunicava con tutti e due i mondi: maschile e femminile, quindi ne godeva l’accesso. Il mondo femminile del sentimento magico e religioso e quello maschile della guerra e realistico. Gapo scrive a pagina 78: “(…) un mondo felice in cui morivamo ogni notte”. Così a pagina 74 è messo bene in luce:

 

“In mezzo a quella truppa di donne evangeliche, il nonno era per me la sicurezza completa. Solo con lui svaniva l’inquietudine e mi sentivo con i piedi per terra e bene inserito nella vita reale. La cosa strana, pensandoci adesso, è che io volevo essere come lui, realista, coraggioso, sicuro, ma non riuscii mai a resistere alla tentazione costante di affacciarmi sul mondo della nonna. Lo ricordo tracagnotto e sanguigno, con pochi capelli bianchi sul cranio rilucente, baffetti a spazzolino, ben curati, e certi occhialetti rotondi con la montatura d’oro. Aveva un parlare lento, comprensivo e conciliante in tempi di pace, ma i suoi amici conservatori lo ricordavano come un nemico temibile nelle contrarietà della guerra. Non portò mai l’uniforme militare, perché il suo grado era rivoluzionario e non accademico”.

 

Quando ho letto che il grado di colonnello non era accademico ma bensì rivoluzionario ho immediatamente pensato a Canepa, Concetto Gallo e Salvatore Giuliano se la Sicilia fosse divenuta indipendente. Come si legge nel romanzo a pagina 75 il governo aveva istituito la pensione per i reduci della guerra dei Mille giorni anche i veterani della rivoluzione indipendentista siciliana del 1945 avrebbero avuto la loro pensione. La pensione è già di per se istituzione sociale che legittima uno Stato. Mi è piaciuta l’espressione “il germe delle illusioni eterne: il pensionamento”, questo germe in Sicilia è entrato in tante famiglie e per decenni è stato un ricatto elettorale dei partiti di Roma con il quale hanno assoggettato democraticamente tutto il Popolo Siciliano.

 

In pratica il mondo maschile del nonno e quello femminile della nonna è così regolato, pagina 77 e non vi è altro d’aggiungere:

 

“L’impressione che ho oggi è che la casa con tutto quanto aveva dentro esistesse solo per lui, perché era un matrimonio esemplare del maschilismo in una società matriarcale, in cui l’uomo è un re assoluto della sua casa, ma a governare è la moglie”.

 

Ecco l’amore secolare il senso della realtà maschile e quello dell’irrealtà femminile che regge il Mondo e la scienza tutta. In questo Mondo la Madre è una figura mitica tanto da essere la stessa in tutte le madri. Gapo riconosce la propria tra le tante altre dalla voce “affettuosa di cui abbia memoria” con le braccia aperte che lo riconosce: uomo.

 

La magia nella figura della donna viene ben rappresentata nel libro a pagina 122. Un marito e una moglie. Il marito con l’alcol cattivo rientra a casa poco prima che una gallina aveva “fatto una cagata”sul tavolo, la moglie sentendolo arrivare poggia il piatto su quella cagata “non avendo il tempo per ripulirla”. La moglie gli chiede cosa voleva da mangiare e l’ubriacone risponde: “merda”. La moglie così alza il piatto e con dolcezza gli dice: “Eccola pronta”! Pensate che il marito si sia incazzato? No! Ha creduto la moglie santa e si è convertito a Cristo. Questo narra la storia, questo narra il libro.

 

Essere donna nel Mondo di Gapo è essere così superiore all’uomo tanto che, non solo riconosce i figli illegittimi del marito, ma li accoglie pure, dandosi una spiegazione al di là del pratico realistico maschile, una spiegazione guidata solo dall’amore per i figli legittimi, pagina 201:

 

“Lo stesso sangue dei miei figli non può andarsene in giro, non si sa dove”.

 

Per chi, come Gapo, ha vissuto in tutte e due le dimensioni, sicuramente la verità non solo diventa relativa, ma è anche dalle molteplici facce, come un diamante. Ecco allora che le menzogne “in generale erano vere per un altro verso”, sono solo delle verità viste con un altro aspetto. E poi per un bambino sono solo la prova del suo talento, come afferma il dottor Barboza. Un talento che Gapo esprime prima nel disegno anche nelle pareti della casa. “(…) le pareti e i muri sono la carta della canaglia”. In quanto i carcerati disegnano nelle pareti della loro prigionia e i rivoluzionari nei muri dei tiranni ed oppressori. Le sue “infamie da bambino” si trasformeranno nelle meravigliose pagine di narrativa del nostro secolo.

 

Gapo ha deciso di diventare scrittore, il problema non è il sentimento artistico: quello o si ha sin dalla nascita oppure no e allora, se si vuole essere artisti senza esserci nati, si è solo dei copiatori o al massimo dei poveri mediocri. Invece per coloro che lo sono è solo questione di tecnica. Nella narrazione i problemi dei tempi dei verbi è uno dei più gravi, perché il narratore nella propria mente ha una rappresentazione dinamica dei fatti che non corrisponde a nessuna grammatica. Molta punteggiatura e stanchevole potrebbe simulare il flusso di coscienza del narratore. Ecco come commentò don Ramon ad uno scritto di Gapo a pagina 107:

 

“Fece qualche commento marginale sull’uso dei tempi, che era il mio problema di vita o morte, e di certo il più difficile, e aggiunse: «Lei dev’essere consapevole che il dramma è già successo e che i personaggi sono lì solo per evocarlo, sicché si tratta di combattere con due tempi.» Dopo una serie di precisazioni tecniche che per la mia inesperienza non riuscii a valutare (…)”.

 

Gapo a pagina 179 confessa: “Ancora oggi, con diciassette libri pubblicati, i correttori delle mie bozze a stampa mi onorano con la galanteria di correggermi gli errori di ortografia come semplici refusi”.

 

Gapo ha dovuto lottare contro ostacoli tecnici non di poco conto, come l’ortografia e l’uso delle parole. Il problema può anche rimanere e Gapo divenire scrittore perché lui ci ha creduto ed ha investito la sua stessa vita su se stesso.  Sembra lapalissiano ciò che sto affermando, ma spesso nel corso della nostra vita investiamo poco e niente su di noi, impegni di famiglia, di lavoro e di tutto ciò che il quotidiano ci ruba e allora ci chiudiamo nel nostro riserbo e ci piangiamo addosso il nostro fallimento. Gapo no! Gapo è riuscito a vivere ed a guadagnarsi il pane quotidiano con la sua scrittura e non solo è stato insignito anche con il premio Nobel per la letteratura. E’ come un bambino di periferia che tira calci ad un pallone scassato pieno di stoffa e sogna di divenire campione del mondo e lo diviene. Tutta la magia del libro sta in questo: è verità!

Cosa è uno scrittore? Un narratore soprattutto è un creatore di realtà, la sua bravura sta nella sua credibilità, quindi queste realtà devono reggersi in equazioni logiche ed esatte, dove il risultato alla fine deve essere esatto. Il narratore non può far morire un personaggio, come nelle telenovele, a suo piacimento, magari perché gli scade il contratto, o perché nella vita reale quello è morto, ma solo se l’equazione della narrazione lo permette, in caso contrario quel mondo perde di credibilità e crolla tutto quanto. Pagina 206:

“(…) uno scrittore serio non può ammazzare un personaggio se non ha un motivo convincente, e quello non era il caso”.

 

A Pagina 235 ho scoperto un consiglio utile per la scrittura: “La pratica finì per convincermi che gli avverbi di modo con terminazione in mente sono un vizio che impoverisce”.

 

Sottolineature

A pagina 82, 83 scopro un parallelismo con i nostri cantastorie che viaggiando per tutte le piazze della nostra Sicilia andavano narrando delitti e storie accaduti: “(…) i suonatori di fisarmonica che cantavano a grida le cose che accadevano nella Provincia”. I “fisarmonicisti” veicolavano i fatti ancor prima di altri mezzi.

 

“Il cielo era, al di là di ogni complicazione teologica, la presenza di Dio. L’inferno, naturalmente, era il contrario”. (pagina 146). Ma la vita che non è né inferno né paradiso è tentazione continua della giovinezza interiore. Si può condannare lo spirito della vita? Ogni fiamma dell’inferno si spegnerebbe all’istante.

 

Poetiche definizioni dell’eros, a pagina 147: “Ci andai, e a mano a mano che mi avvicinavo, il suo respiro affannato riempiva la stanza come un fiume in piena, finché non riuscì ad afferrarmi per un braccio con la mano destra e mi infilò la sinistra dentro la patta. Sentii un terrore delizioso”. (Pagina 148)  “Il resto lo fece da sé, finché non morii da solo sopra di lei, sguazzando nella zuppa di cipolle delle sue cosce da puledra”. Molto poetica l’espressione per le vergini iniziate dai loro signori della terra che erano in piazza dopo i balli a caccia di uomini in piazza: “le guardavo passare come nuvole sull’acqua”. Pagina 153: “Andavo molto male a scuola e non volevo saperne, ma Martina si occupò del mio calvario scolastico. La stupì l’infantilismo di saltare le lezioni per compiacere il demone di un’irresistibile vocazione alla vita. «E’ logico» le dissi. «Se questo letto fosse la scuola e tu fossi l’insegnante, io sarei il numero uno non solo della classe ma di tutta la scuola.» Lei lo prese come un esempio azzeccato”.

 

A pagina 161: “Una notte di luna piena ci svegliò un lamento lacerante che veniva dalla riva. Il capitano Climaco Conde Abello, uno dei più famosi, diede ordine di cercare con i riflettori l’origine di quel pianto, ed era una femmina di manata che si era intrappolata fra i rami di un albero caduto. I marinai si buttarono in acqua, la legarono con una fune e riuscirono a liberarla. Era una creatura fantastica e commovente, un po’ donna e un po’ mucca, lunga quasi quattro metri. La sua pelle era livida e morbida, e il suo torso con grosse tette era quello di una madre biblica”.

 

Molti richiami religiosi sono di carattere sanitario, come ad esempio il pulirsi le mani prima del desinare per gli Ebrei, oggi che il motivo scientifico spiega le dritte religiose spesso si cade o nell’ateismo o nello scientismo, mentre lo scrivente su i tram e su i gabinetti pubblici sceglie la via di mezzo a pagina 163: “Se non hai paura di Dio, abbi paura della sifilide”. Ma viene posta come saggezza, la stessa della scritta sul portale del vecchio convento a pagina 168: “Il principio della saggezza è il timore di Dio”.

 

Un immagine indelebile sotto la pioggia, eppure spettacolare a pagina 165: “Erano i più lugubri, con carrozze di lusso e cavalli adorni di velluti e ciuffi di piume nere, con cadaveri di buone famiglie che si comportavano come gli inventori della morte. Sul sagrato della chiesa delle Nevi vidi dal taxi la prima donna per strada, snella e segreta, e con l’avvenenza di una regina in lutto, ma rimasi per sempre illuso a metà, perché aveva il viso coperto da un velo invalicabile”.

 

Episodio terrificante ed emblematico capitato a Gapo (pagina 171) al liceo durante il corso di anatomia. Era stato mandato un cuore di bue per esaminarlo, posto nella ghiacciaia della cucina. Quel cuore prima della lezione è stato dato impasto alla mensa scolastica con salse squisite dai cucinieri della scuola. Quando si andò a prendere per la lezione e come fu logico non fu trovato si scoprì che quel cuore era di un muratore scivolato dal quarto piano, fattosi a pezzi e quindi inviato in mancanza del cuore di bue. Quel proletario diventa così comunione, sacrificio. Anche Cristo era carpentiere.

 

A pagina 183 una frase che tanti enunciano che io trovo assolutamente di effetto ma banale: “In uno dei libri che gli insegnanti ci prestarono lessi una citazione attribuita a Lenin: “Se non ti occupi di politica, la politica finirà per occuparsi di te”. Come dire se non ti occupi della tua salute sarà il medico che si occupa di te. Oppure se non ti occupi a consegnare la posta sarà il postino ad occuparsene. In democrazia il politico rappresenta i cittadini e si occupa delle loro idee, posizioni ed interessi. Quando avviene il distacco del cittadino dal rappresentante allora il sistema politico rappresentativo è in crisi e presto sarà delegittimato dai cittadini, i quali si interesseranno personalmente senza delegati.

 

Pagina184: “(..) l’unica differenza fra i due partiti dopo la guerra dei Mille Giorni era che i liberali andavano alla messa delle cinque per non essere visti e i conservatori alla messa delle otto perché li credessero credenti”.

Pagina 200, cosa ingrata è “Lo spirito di sconfitta” che si insinua in un Popolo, perché produce rassegnazione e meschinità, ecco allora “(…)è sempre possibile trovare un colpevole pur di non esserlo noi”.

 

Pagina 219: “Era, figurarsi, l’Ulisse di James Joyce, che lessi a pezzi e a stento finché la mia pazienza non si esarì. Fu una temerarietà prematura. Anni dopo, ormai da adulto ossequioso, mi imposi di rileggerlo sul serio, e fu non solo la scoperta di tutto un mondo che non avevo mai sospettato dentro di me, ma anche un aiuto tecnico incalcolabile per la libertà del linguaggio, l’uso del tempo e le strutture dei miei libri”. Consiglio la lettura di “L’ebreo errante di Joyce”  su: http://alphonsedoria.altervista.org/1966826521/  .

 

Ho condiviso pienamente le analisi in poche parole delle opere di Kafka a pagina 220:  “Non era necessario dimostrare i fatti: bastava che l’autore l’avesse scritto perché fosse vero, senza ulteriori prove che non fossero il potere del suo talento e l’autorità della sua voce. Era di nuovo Sheherazade, ma non nel suo mondo millenario in cui tutto era possibile, bensì in un altro mondo irreparabile in cui tutto si era ormai perduto. (…) cadavere cosciente di La metamorfosi (…)”.

 

Che bel Mondo quello di Gapo, all’insegna della poesia, come si legge a pagina 224: “(…) come scrisse Luis Cardoza y Aragón, che “la poesia è l’unica prova concreta dell’esistenza dell’uomo”. Il mondo era dei poeti. La poesia è tale fin quando ha forza di espandersi nel tempo e nelle persone. Oggi i poeti in Italia sono nei pab a cantare per pochi canzoni vietate ai mass media e al mercato delle case discografiche, nonostante il pubblico applaude felice e riconoscente. Come le canzoni in Colombia nel Mondo di Gapo. Quando Pasolini scrive le sue poesie diventano subito opinione, con un linguaggio efficace perché vivo come lo è la lingua vera. A Pagina 230, 231: “Allora percorrevo i caffè taciturni dei quartieri vecchi in cerca di qualcuno che mi facesse la carità di chiacchierare con me sulle poesie che avevo appena letto. Talvolta lo trovavo, sempre un uomo, e rimanevamo fin oltre mezzanotte in qualche posto della mala morte, riscattando i mozziconi delle sigarette che noi stessi avevamo fumato e parlando di poesia mentre nel resto del mondo l’umanità intera faceva l’amore. (…) fra i poeti e i criminali (…)”.

 

Pagina 237: “(…) rubare libri è delitto ma non peccato”.

 

E’ possibile, è vero nel Mondo di Gapo quello che scrisse a pagina 239: “(…) mentre tornavo alla pensione sull’ultimo tram salì un fauno in carne e ossa alla fermata di Chapinero. Ho detto bene: un fauno. Notai che nessuno tra gli scarsi passeggeri di mezzanotte si sorprendeva al vederlo, e questo mi fece pensare che fosse uno dei tanti individui travestiti che la domenica vendevano di tutto nei parchi per i bambini. Ma la realtà mi convinse che non potevo dubitare, perché le sue corna e la sua barba erano ispide come quelle di un caprone, al punto che passando colsi un lezzo di pelame. Prima della Calle 26, che era quella del cimitero, scese con modi da buon padre di famiglia e scomparve fra gli alberi del parco”.

 

Un capitolo abbastanza importante dove Gapo riesce a darci una diretta “televisiva” dei fatti del 1948 e della “marcia del silenzio” del 7 febbraio 1848 con le bandiere rosse e quelle nere. Il misterioso “uomo in grigio” fomentatore dei tumulti e molto probabile colpevole dell’uccisione di Jorge Eliécer Gaitàn. (pagina 253) “A Radio Nazionale, i tradizionalisti invitavano alla calma, ed altri inveivano contro i comunisti fedeli a Mosca, mentre i più alti dirigenti del liberalismo ufficiale sfidavano i rischi delle strade in guerra, cercando di raggiungere il palazzo presidenziale per negoziare un’intesa di unità col governo conservatore”.

 

Pagina 274: “Le poche che si erano salvate dall’assalto erano state esorcizzate dopo che gli stregoni del vescovo le avevano condannate al rogo per le loro risonanze maligne atte a convocare il diavolo. Vidi gli alberi avvizziti e le statue di uomini illustri che non sembravano figure scolpite in marmo, perituro bensì morti in carne viva. A Cartagena non erano preservate dalla ruggine del tempo ma tutto il contrario: si preservava il tempo per le cose che continuavano ad avere l’età originale mentre i secoli invecchiavano”.

 

Pagina 275: “Nel palazzo dell’Inquisizione, dietro la sua facciata vicereale scolpita in pietra vergine e il suo portone da basilica primaziale, si sentiva il gemito inconsolabile di qualche uccello infermo che non poteva essere di questo mondo”.

 

Pagina 292: “un bordello è la migliore residenza per uno scrittore, perché le mattine sono tranquille, ci sono feste tutte le notti e si è in buoni rapporti con la polizia”.

 

Pagina 332: “(…) dall’albergo storico in cui i figli dei ricchi ballavano con le loro amanti vergini dopo la messa della domenica. O come disse Germàn: cominciai a migliorare nel male”.

 

Pagina 346: “(…) lapaura di essere vistada un’altra vita”.

 

Una amara realtà che mi viene da costatare come indipendentista siciliano che anche a raggiungere l’indipendenza della propria Terra c’è di fare i conti con le divergenze e il partigianesimo interno. A pagina 393. “Questo paese è in guerra dall’Indipendenza ad oggi”.

 

Pagina 398: “(…) ho smesso di ascoltare Mozart per anni, da quando mi venne l’idea perversa che Mozart non esiste, perché quando è bravo è Beethoven e quando non lo è allora è Haydn”.

 

Pagina 410: “I sopravvissuti della Corea, invece, avevano lottato contro la causa del comunismo e a favore delle brame imperialistiche degli Stati Uniti”.

 

Fine

Buona Lettura



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