Marcello ha scrittoil 2 febbraio 2009 alle 14.17
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male, nonostante ciò non rifarei la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio!”.
(Garibaldi ad Adelaide Cairoli in una lettera del 1868)
"…lo stato italiano era una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori sardi (leggi "piemontesi", n.d.r.) tentarono di infamare con il marchio di briganti".
(Antonio Gramsci, citato da Lorenzo Del Boca nel suo libro "Maledetti Savoia" – edizioni Piemme Pocket, Casale Monferrato, 2001, pag. 161)
“ Quando in Palermo si presentò all’esame di leva un certo Cappello, non si prestò fede al suo reale sordomutismo e lo si voleva costringere a parlare applicandogli bottoni di fuoco sulle carni. Il suo corpo fu reso una vera piaga”.
(Napoleone Colajanni)
“Questo ufficiale (piemontese n.d.r.) si presentò di notte, con gli uomini della sua colonna, in una casina, i cui abitatori, temendo dei briganti, non vollero aprire. Allora il prode militare la circondò di fascine, vi applicò il fuoco e fece morire soffocati i disgraziati che legittimamente resistettero ai suoi ordini”.
(Napoleone Colajanni)
(Colajanni: nel regno della Mafia – da Realtà Siciliana di G. Garretto)
“1862.
Grandissima esasperazione negli spiriti di quei Siciliani che si danno seriamente pensiero delle sorti dell’Isola poiché è nato in essi il sospetto che il governo, mentre ostenta il proposito di volere difendere la Costituzione e quindi le libertà civili in essa sancite, miri, al contrario, a fiaccare nei Siciliani ogni sentimento di libertà e di fierezza.
Si assiste alla continua spedizione nell’Isola di tanti prefetti avventurieri, e di tanti improvvisati organizzatori, ispettori, commissari, espoliatori, e, per dirla alla siciliana, di tanti Verre, che per coprire la loro incapacità e rapacità, crede opportuno calunniare il paese, e distruggere quel nazionale sentimento che muove e nobilita la Sicilia.
Il Governo che da il triste spettacolo di calpestare lo Statuto ed ogni legge umana e divina, pretende che la Sicilia, dopo d’avere acquistato i suoi diritti per proprio valore, debba adottare l’abnegazione la più cieca, la più vigliacca e la più codarda, di farsi impunemente assassinare e infamare”
(Macaluso: Rivelazioni politiche sulla Sicilia e gravi pericoli che la minacciano, Torino, 1863 da Realtà siciliana di G. Garretto)
«Si gridi pure, e gridiamo anche noi con tutte le nostre forze, contro la grave delinquenza che ci affligge. Ma quando si sostiene che ciò dipende dal fatto che la miseria e l’ignoranza sono attaccate alla nostra terra, che noi siamo sospettosi, violenti, ribelli, che in quarant’anni di vita nazionale abbiamo progredito ben poco di fronte alle regioni d’Italia, lasciate ch’io lo affermi: anche in questo non si arriva a denigrarci, ma si legge nel libro della storia l’atto di accusa contro i nostri millenari sfruttatori; non si rileva la causa dei nostri mali, ma si mettono soltanto a nudo i nostri dolori.
E cosa dice il fatto che la delinquenza dell’Isola è alta di fronte a quella delle altre regioni dell’Italia centrale e settentrionale, se non che dopo aver perduto i nostri padri e i nostri fratelli sui campi di battaglia per l’indipendenza e l’unità d’Italia, siamo stati poi trascurati, spesso abbandonati, ingannati sempre?
Che cosa ci dice tale dislivello, se non che lo Stato, invece di mettere anche noi nelle condizioni di potere progredire dando agio alla nostra industria agraria di sviluppare, aprendo nuovi sbocchi ai nostri prodotti, fornendoci di strade, di ferrovie, di porti, ha, in 40 anni di vita unitaria, danneggiato le piccole proprietà con un fiscalismo crudele, rafforzato con i contratti agrari il latifondo, imposto tributi sproporzionati alle nostre risorse? E che, dopo averci fìnanco contesi i tre milioni spettanti alle nostre Università, ci ha ingiuriato volentieri, mandando fra noi. come in un luogo di pena, i funzionari puniti, e quindi senza quella autorità indispensabile per infondere nello spirito pubblico la fede nella giustizia, e ci ha anche tormentati ingerendosi per fini di politica personale, più o meno egoistica, in tutte le amministrazioni affermando, cosciente o incosciente, la prepotenza della mafia? ».
(Il Procuratore del re, a Sciacca, nel 1906, alla inaugurazione dell’anno giudiziario- da Realtà siciliana di G. Garretto)
“La popolazione (siciliana) in massa detesta il governo d’Italia, che, al paragone, trova più tristo del Borbone”
(F. Crispi – da Realtà siciliana di G. Garretto)
“Nessuno vuole saperne di noi…Siamo venuti in odio a tutti e tutti sono divenuti nostri nemici”
(M. D’Azeglio – da Realtà siciliana di G. Garretto)
(Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, capitano di Stato maggiore piemontese)
“ I nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l’accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto…”.
(Proto di Maddaloni deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861)
“Morti fucilati istantaneamente 1841; morti fucilati dopo poche ore 7127; feriti 10604; prigionieri 6112; sacerdoti fucilati 54; frati fucilati 22; case incendiate 918; paesi incendiati 5; famiglie perquisite 2903; chiese saccheggiate 12; ragazzi uccisi 60; donne uccise 48; individui arrestati 13629; comuni insorti 1428 “.
(Il Contemporaneo di Firenze di quel periodo in una “statistica di soli nove mesi di reazioni nelle province meridionali”)
“Spioni dell’antica polizia, uscieri, commessi di magazzino, etc., sono oggi nominati giudici, prefetti, sottoprefetti, amministratori…Un mio amico trovava installato, in qualità di giudice, un individuo che, mediante quattro carlini, gli aveva procurato reiterati convegni con una sgualdrina. L’arbitrio governativo non ha limiti: un onesto uomo può ritrovarsi disonorato, da un momento all’altro, per la bizza del più meschino funzionario…Facendo un calcolo approssimativo, possiamo arrivare alla spaventevole cifra, per il Regno delle Due Sicilie, di 52 mila incarceramenti all’anno, di 9.400 deportati all’anno, mentre sotto l’esecrato governo borbonico il numero dei carcerati non oltrepassò i 10 mila e i deportati non arrivarono neanche a 94…Si fucila a casaccio, senza processo, senza indagini…Il reclutamento è stato definito giustamente una tratta di bianchi: si arrestano, si seviziano le madri, le sorelle di ogni presunto refrattario e su di esse si sfrena ogni libidine…”.
(Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, capitano di Stato maggiore piemontese)
“Lo stesso deputato Crispi, nella susseguente tornata, movendo interpellanza sui fatti di Castellammare del Golfo, dice che il malcontento in Sicilia è gravissimo.
“L’altro deputato siculo D’ontes Reggio ripete le stesse interpellanze del Crispi e con rammarico accenna che cinque cittadini siano stati fucilati senza essere stati sottoposti a processo regolare…
“ E nella stessa tornata l’anzidetto Crispi in replica aggiunge altre accuse per arresti arbitrari, uccisioni impunite, ecc. ecc.
“ Il deputato Cordova rivela i seguenti abusi:
1) Negli uffici delle dogane di Sicilia furono nominate persone idiote e analfabete.
2) In Palermo i doganieri rubano, ed in Messina gli impiegati sono uccisi, occupando il loro posto gli uccisori.
3) In Siracusa gli impiegati sanitari degli ospedali sono il quadruplo del numero degli infermi.
4) Gli impiegati in Sicilia sono enormemente moltiplicati e, sotto questo aspetto, era assai migliore il governo borbonico, il quale per la Luogotenenza spendeva novecentomilalire meno del governo piemontese.
5) Si danno tristissimi esempi al popolo e questo impara il male dai governanti…”
(dall’anonima Cronaca degli avvenimenti di Sicilia del 1863 – archivio privato dello scrittore Carlo Alianello)
“…Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore, ne può senza fremito rammentarsi molti villaggi del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo e innumerevoli sacerdoti, e religiosi, e cittadini d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi infermi, indegnamente oltraggiati e, senza neppur dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro dei modi uccisi… Queste cose si fanno da coloro che non arrossiscono di asserire con estrema impudenza…voler essi restituire il senso morale all’Italia”.
(Pio IX, nell’allocuzione tenuta al concistoro segreto del 30 settembre 1861)
“occorreva confiscare e vendere i beni degli Ordini monastici della Sicilia per rassodare il bilancio dello Stato e colmare il deficit di 625 milioni”
(Quintino Sella, ministro delle finanze dell’epoca)
G. Alessi, in una conferenza su Mafia e potere politico, tenuta a Catania al Palazzo dell’E.S.E. nel 1968, ebbe a dire:
“Io ritengo responsabile primario del mondo mafioso lo Stato, quello stesso che in Italia, dai giorni dell’Unità ad oggi, ha dato la dimostrazione legislativa ed amministrativa dello spregio della legge. Se mafia vuol dire extralegalità, rifiuto della legge, sostituzione del fatto imperioso e prepotente alla norma e al rapporto giuridico, se la mafia vuol dire tutto questo, e contemporaneamente si considera la storia della nostra Isola dal plebiscito ad oggi, ci accorgiamo che si tratta di una sequela di sopraffazioni in cui lo Stato è il primo ad affermare l’inutilità della legge, l’offesa alla legge. Potrei documentare…”
(da L’essenza della Questione Siciliana di N. Turco)
«Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sinora così strane che i suoi ammiratori han potuto chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo sconfigge eserciti, piglia d’assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz’armi… Altro che Veni, Vedi, Vici! Non havvi Cesare che tenga a petto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma il generale Nunziante e li altri ufficiali dell’esercito che, con infinito onore dell’armata napoletana, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico; i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa colla sua onorevolissima lettera al nipote; li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi. Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell’universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l’Austria, caduta l’Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell’Europa, anzi dell’orbe terracqueo. E noi torinesi padroni del mondo!».