LA PAURA DI CAMILLERI

 LA PAURA DI CAMILLERI

&

LA PROFEZIA DI FIFI’

 

“Pronto, Andrea, Montalbano sono!”

Camilleri riattaccò il telefono e disse tra se: “il solito garruso …”

Dall’altra parte, il commissario rimase con la cornetta in mano a fissarla per un secondo, deluso da quella reazione. Non appi tempo di riprendersi che sentì sbattere alla porta, era Catarella, girò gli occhi verso il soffitto santianno.

“Dottori, c’è una picciotta che voli parlare con vossia di persona pirsonalmente.”

“Falla entrare, Catarella, aspetta! Non puoi entrare come tutti i cristiani di questo mondo?”

“Mi avi a pirdunare dottori.” Si girò dritto dritto e sbatté di nuovo alla porta.

“Catarella!!”

“M’ava a cummannari dottori?”

“Una curiosità: ma hai qualche parentela con Franco Franchi?”

“Nonzi dottori!”

“puoi andare … e attento alla porta!”

Entrò un pezzo di fimminuna supra la vintina vestita con una veste nera attillata e una chioma di un castano chiaro con un passo elegante di cavadda, sembrò cangiare, in una ditta e un fatto, tutto il mondo attorno a idda. Ora Montalbano capì quell’impeto che aveva Catarella nell’annunciarla.

“Buongiorno!”

Montalbano si alzò a volere dire: onore a tanta biddizza! Si diedero la mano:

“S’accomodi, prego.”

“Dottore Montalbano, anche se non l’ho mai incontrata la conosco da quando ero bambina. Mio padre me ne ha sempre parlato.”

“E con chi ho il piacere di …”

“Sono Teresa, la figlia di Filippo d’Onofrio!”

Il modo di come aveva pronunziato il nome s’aspettava una sua reazione, ma Montalbano era completamente allo scuro, non ci solleticava nemmeno un ricordo anche minimo e nemmeno voleva fare finta di ricordare per non deluderla. Lei, che era picciotta sperta, prima lo guardò insicco negli occhi, poi prese un pacchettino dalla borsa e glielo porse.

“Questo l’aiuterà a ricordare!”

“Che cosa è?” Tastiannolo “… un libro?”

“Lo apra!”

“Mi! ma questo si che me lo ricordo! La raccolta di poesie d’amore di Pablo Neruda. Lei non sa quanto l’ho cercato!” Montalbano era felice di riavere quella edizione con la copertina in cartone, quel libro e non un’altra edizione, quel libro e non un altro, era come un compagno, un maestro, una prima esperienza con la poesia, che lo aveva coinvolto come masculo e gli aveva fatto vedere la fimmina come un continente sconosciuto e meraviglioso. Per tutto quello che rappresentava Montalbano stringeva con tutte e due le mani e poi l’aprì a caso e con l’occhio birbante del liceale lesse due versi e arridì e na fudda di ricordi ci annuvolarono la testa. Poi guardò la donna e sdimaccicando, tecchia imbarazzato, chiuse il libro e lo posò.

“Quindi?! L’aveva suo padre?!”

“Si!” Tistiannu con la speranza che finalmente si ricordava. Ma niente di niente. Lei sorrise e con molta eleganza e compostezza incominciò a raccontare della morte improvvisa del padre e che le aveva espresso tale desiderio. Quando parlò della morte è sembrato come se un’ombra fosse scesa nel suo sguardo, creando due espressioni opposte nello stesso viso: le belle labbra leggermente carnose sorridevano, mentre gli occhi erano tristi. Fu come un lampo di luce che schiarì tutto all’improvviso.

“Il profeta! Fifì!”

La voce alta, fece sobbalzare la picciotta, che non si aspettava in quel momento quella reazione.

“Scusi signorina Teresa, noi lo chiamavamo così, almeno io. Ma poi lui ha lasciato il liceo e non l’ho più rivisto!” Montalbano lo aveva chiamato in quella maniera perché a scuola mentre tutti se ne catafuttivano dell’ora di religione, lui era attento e rispondeva, commentava, fino a quando tra i due finiva a vociata.  Mentre i compagni si ripassavano la lezione e altri giocavano a carte, Montalbano si godeva la turilla tra il parrino e Fifì, il quale s’infervorava con il dito indice alzato e sembrava proprio un profeta.

“Non ne ho saputo più niente … Sapevo che si era ricoverato nelle sale gioco, facendo luna quasi ogni giorno. Non ricordo di avergli prestato questo libro.”

“Mio padre mi ha raccontato tutto. Lui lo ha voluto prestato per fare colpo con una ragazza, questa poi è diventata la sua fidanzata e di seguito moglie, mia madre!”

Montalbano ora in quel volto vedeva pure le sembianze di Nena, il mento, la fronte, la dolcezza degli occhi grandi  e scuri, neri come la notte. A questo punto a Montalbano calò la malinconia, guardò Teresa ancora una volta e abbassò gli occhi sulla copertina del libro. Tralasciando che era stato lui a leggere Neruda a Nena nelle panchine della villetta e che poi il Profeta ha raccolto i frutti, tralasciando pure la menzogna di quel libro che non era stato più restituito e che lui, farfanti, a precisa richiesta cangiava discorso. Tralasciando tutto, pensò amaramente questa fimmina, che gli ha fatto smuovere il sangue, aveva l’età di una sua probabile figlia.  Per le sue riserve mentali, significava, che, almeno per questa generazione di fimmine, la sua competitività di mascolo andava a farsi fottere.

Teresa penetrava nell’ombra dello sguardo del commissario  e continuò il suo racconto, del padre che si prese il diploma magistrale e incominciò ad insegnare, grazie pure al papà di Nena, fu trasferito a Liana e poi, sistemati economicamente, si sposarono. Così anche la madre ottenne il trasferimento a Montelusa, negli uffici delle imposte dirette. Ma negli ultimi tempi non andavano tanto d’accordo, perché al padre incominciarono a venirgli tante fisime e gelosie.

“Ai primi di Aprile, mio padre venne nella mia stanza, era molto strano, come se avesse timore delle sue stesse parole e mi disse che se fosse morto prima di pasqua di portarle questo libro, già impacchettato così com’era. Me lo ha pure fatto promettere!”

“E di chi è morto suo padre?”

“Un aneurisma cerebrale … non ci fu proprio niente da fare, a nulla valse la corsa all’ospedale! Mia madre ha autorizzato l’espianto degli organi, anch’io sono stata d’accordo.”

“Mi dispiace, tanto, farò un salto a Liana a porgere le condoglianze a sua madre.”

Mentre vengono interrotti da una bussatina accompagnata dalla richiesta di permesso senza aspettare risposta. Era Mimì che si intrufolava con indifferenza, ma il suo passo faceva notare che la curiosità di conoscere la fimmina non lo fece più resistere.

“Oh scusa! Ho disturbato, non sapevo …”

“Trasì Mimì! Il dottore Augello, la signorina Teresa d’Onofrio!”

Mimì che a Maggio è come gli scecchi, non si mise a ragliare per poco.

“Bene, io vado, è stato un vero piacere conoscerla.”

Montalbano gira la scrivania e gli propone di offrirle qualcosa al bar.

“Ho voluto esaudire il desiderio di mio padre in pieno e tra le sue richieste vi era quella di non fare sapere a nessuno del nostro incontro. Sa, a Vigata qualcuno di Liana può sempre esserci.”

“Allora mi dica, l’annuncio funebre nel giornale è stato pubblicato? Non vorrei metterla a disagio quando andrò a trovare sua madre!”

“E come? C’è stato pure l’articolo per la donazione degli organi!”

Mimì quando la vide alzare e andare via con quel passo sicuro di cavadda, pareva abbarsamato.

“Mimì, Mimì!”

“Salvo, hai visto? Tutto al posto giusto!”

“Mimì, che vuoi? Che sei venuto a fare?”

“Me lo sono scordato!” E andò via come un fantasima.

“Fifì, il profeta, mi ha giocato di coda … Il libro, Nena, bravo!”

Mentre Montalbano rifletteva su le dinamiche di quel passato, un pinzeri accuminciò a fare pirtusa al suo cervello. Questa morte profetizzata, “prima di pasqua” il libro da consegnare in segreto, perché? Prese il libro lo incartò di nuovo e riprese a telefonare.

“Pronto!”

“Andrea, io sono!”

“Io chi?”

“Montalbano, Salvo Montalbano, il commissario Montalbano sono!”

“Vorrei sapere quale bestia ti ha dato il mio numero. Comunque, sei uno di quei tanti imitatori scarsi di qualche radio? Vai avanti, ma ti assicuro che imiti malissimo Zingaretti.”

“Ma quale imitare, io sono l’originale, l’autentico, unico e vero che ti sta chiamando da Vigata!”

A questo punto il maestro riattaccò di nuovo, accompagnando con un “vafanculo!” a tutto tondo.

“Minchia oh! Che testa!”

 

Di prima mattina già si trovava a Liana. Il paese era tranquillo, troppo tranquillo, tanto da dare un senso d’inquietudine.  Non gli venne difficile trovare la casa dei D’Onofrio alla fine del corso principale. Quando Nena le venne ad aprire fu come un tradimento. Si sentì tradito dal tempo che aveva devastato tutto ciò che gli piaceva di Nena. La sue curve erano diventate linee e il suo visino, che era una attrazione magnetica, era diventato una specie di muffuletto, gli occhi non erano più i suoi, se li ricordava più piccoli, ora erano rotondi e sgricchiati. Quelle pupille nere erano ipnotiche. Le era rimasto poco e niente della giovane Nena che ricordava.

“Salvo!”

Dopo i convenevoli Montalbano rifletteva sulle fisime di Fifì, sicuro non era la fimmina di cui essere geloso. Dopo qualche ricordo velato di rimpianto, la natura di sbirro di Montalbano incominciò a farsi avanti.

“Parlami di Filippo.”

“Che vuoi che ti dica … E’ stato un buon padre e un buon marito!”

Intercalò questa frase con una taliata che significava: colari e colari! Dispiaceri a non finire!

“Si si!”

Montalbano aveva notato che ormai era pronta a scoppiare, così rincarò la dose:

“E’ stato sempre una brava persona!”

“Ma quali? Non mi fare parlare! Anche se non ci vediamo da tempo, per me sei stato sempre un amico e mi posso confidare.”

Il commissario rifletteva così: -dicono bene a dire che l’amicizia è la tomba dell’amore! Era quello che mi diceva anche allora e mi aveva così tanto infastidito. Con l’amicizia prima non si concludeva un bel niente, prima, ora i tempi sono cangiati e si futti pure per amicizia.- Mentre lui pensava tutto questo, il mosto stava uscendo tutto dal carratone.

“Era diventato geloso di me! Non di me, questa, di oggi, che mi poteva fare anche piacere, ma di quella che ero stata. Si era convinto che chissà quante corna gli avevo fatto spuntare in testa, dall’università all’impiego. Avevo vinto il concorso in Lombardia e poi sia per la gravidanza e qualche raccomandazione, ottenuta per intercessione di quel santo uomo di mio padre (alzò gli occhioni alla soffitta giungendo le mani), mi trasferirono a Montelusa. E poi, urlava, urlava sempre. Fin quando ho deciso di vivere in stanze separate e lui ne fu pure contento… Si chiudeva a chiave in quelle stanze e se ne stava tranquillo. Insomma, eravamo separati in casa. Ti voglio fare conoscere Teresa, è il mio orgoglio! Anzi, mi farai cosa gradita se verresti a cena da me, il fine settimana, che c’è pure Alberto, il suo fidanzato, vedrai che persona! Mi raccomando, porta la tua compagna …”

Montalbano incominciava a non poterne più, ne aveva pieni i campasisi di quella voce da mezzo soprano, che ogni tanto saltava uno scacchino da vedova allegra, di quelle pupille nere, che una volta lo facevano abbabbire, ora sembravano seguire le parole che diceva come nel karaoke.

“Si! Perché no! Solo che la mia compagna non è qui!”

“Oh va bene, vieni solo non ti mangerò, oh!oh!oh!…”

Questa volta al commissario ci parsi proprio assai.

“Scappo!” Si alzò per fuggire proprio.

“Quanta fretta Salvo, ti faccio un caffè!”

Siccome i pensieri in testa non lo lasciavano in pace, perché in quella morte del profeta c’era tutto che non funzionava, perché lui alle profezie non ci aveva mai creduto, e non voleva incominciare a crederci ora. Perché non era vero che stava invecchiando …

“Va bene per il cafè. Lo sai come lo chiamavo a tuo marito?”

“Fifì!”

“No, il profeta!”

“Azzeccato, perfetto come nomignolo! Questa casa era l’unica che non si poteva permettere di cacciare i Testimoni di Geova, perché erano loro che la evitavano, anzi avevano segnato nelle loro schede di nemmeno bussare! Quando qualche uno di loro, magari principiante, ci cascava, lui se lo portava nel suo studio e gli faceva la testa come un tamburo, per poco quel poverino non perdeva pure la fede!”

Montalbano se la rideva pensando cosa cuminava a scuola.

“Il giorno del fidanzamento di Teresa, con i consuoceri a cena. Il padre di Alberto è l’avvocato Spatolisano, un penalista! Forse sicuramente conosci … La mamma insegna lettere allo scientifico di Montelusa. Hanno portato, pure, un loro caro amico: Monsignore Lavita. Oh!Oh!Oh! Quello che è successo!! Non ti dico … Il finimondo!”

Montalabano se la rideva. Si sono spostati in una bella cucina grande, luminosa, di quelle moderne.

“La conosci la visione d’Ildegonda? Te la dico io, una visionaria antica, che a Gerusalemme vide tre personaggi che camminavano assieme lasciando orme di fuoco. Chi erano? Pietro, l’Antipietro e l’Anticristo! Pertanto la profezia per lui era chiara: -anche la Chiesa corrompe l’umanità all’evento dell’Anticristo!- Questo è stato solo il preludio alla catastrofe. Monsignore non si mise a bestemmiare per carità, ma era diventato rosso e gli usciva fuoco dalle narici.  Ha rovinato la cena e ha messo in grave difficoltà la felicità della figlia. Tutto poi non ha avuto conseguenze grazie all’amore di Alberto!”

“Sicuro che, con questo carattere, in paese, non ha avuto vita tanto facile!”

“Altro che … A scuola era un maestro dinamico e anche bravo, si faceva voler bene da tutti: colleghi, alunni e genitori. Poi andava al club a giocare a carte, interi pomeriggi, a parlare di calcio, ed era pure pacato, tranquillo. Sul pallone che poteva dire, urlare, tutto quello che voleva, era invece calmissimo, logico e lucido. Ma come vedeva una tonica qualsiasi, fin quando era buongiorno buonasera, tutto andava bene, ma se per caso … ”

Il cafè acchianò e fu servito lì in cucina stesso.

“Sono curioso di vedere il suo studio.”

“Subito sarai servito.” La giostra così si mosse in due semigiri e condusse Montalbano nella stanza. S’immaginava più disordine sporcizie, più libri, invece solo due scomparti dello scaffale. In uno testi scolastici, nell’altro volumi con pesanti copertine: Bibbia, Corano, dizionari e consimili di tutte le misure. Gli altri scomparti dello scaffale erano o vuoti, o con qualche contenitore di terracotta, manufatti artigianali locali. Montalbano ne prese uno aprì il coperchio e dentro vi erano dei sassolini. I posacenere erano sparsi e dispersi dappertutto. Comunque regnava l’ordine in quelle cose.

“Lui dormiva nella stanza accanto! Tranquillo! Teresa ha voluto che tutto restasse così com’era. Erano molto legati.  E’ stato trovato morto proprio lì, vicino quello sgabello. Sicuramente stava prendendo, o posando, qualche cosa ed è caduto causa l’aneurisma. I dottori pensavano dapprima ad un trauma cranico, ma appena abbiamo spiegato la dinamica, hanno accertato e non vi sono stati più dubbi.”

“Era solo in casa?”

“Salvo!? Oh, oh, oh! Mi stai facendo l’interrogatorio?”

“Deformazione professionale scusami!”

“No, scusami tu, lo dicevo per ridere. C’erano Teresa e Alberto. Io ero con i consuoceri in un convegno nel salone della Matrice. Proprio Alberto, mentre stava andando in bagno, sentì il tonfo e incuriosito entrò nello studio. Teresa arrivò, poco dopo, mentre Alberto tentava di rianimarlo con un massaggio cardiaco. Tutto risultò inutile.”

 

Si concluse lì, quel primo incontro con Nena, devastata dal tempo e dal morbo di Basedow. Montalbano, mentre guidava, si mise a filosofare sul tempo inesorabile, impietoso e tiranno. Pensava la panchina della villetta, quella bella Nena e sovrappose il suo volto con quello della figlia Teresa e gli spuntò, come un fiore nella mente, questo verso di Neruda: –Gli occhi hanno sete, perché esistono i tuoi occhi.- In una ditta e un fatto arrivò a Vigata. Catarella stava cercando di spiegargli che lo aveva cercato ripetutamente e “di persona personalmente il dottori questori Bonetti-Alderighi!”. Non appena s’assettò che subito trasì Fazio carricato a tinchitè di carte da firmare.

“Fazio!”

“Devono partire al più presto …”

“Salvo, ci sono i coniugi Sparagna per quel furto …”

“Mimì, quale furto? Vedetela tu! Fai! Poi se è il caso ne parliamo, s’è il caso …”

“Vogliono parlare con te, di una cosa importante!”

Passò il resto della matinata pressato senza un attimo di respiro!

“Dottori, dumannu pirdunanza, c’è i signori questori …”

“Catarella, sono diventati due?”

Catarella arristà basito e disse tra se: “Bonetti … Alderighi …” “Catarella, basta! E che avete oggi? E va bene passamelo!”

“Montalbano, ho letto di una statua in suo onore!”

Il commissario già aveva un nirbuso tutto suo, ci mancava questo gran cornutissimo di Bonetti-Alderighi con il suo sfottò.

“Signor Questore, non so niente e non me ne frega niente!”

“Questo lo dice lei, i fatti dicono il contrario e lei con il suo protagonismo individualista ha sempre nuociuto al gioco di squadra della polizia.”

“Ma quali fatti? Le assicuro che contesterò per quanto mi sarà possibile questo evento, e raccomanderò di farne una proprio a lei che è il mio diretto superiore!”

“Montalbano non si prenda gioco di me!”

 

Dopo tutto quel manicomio al commissario ci smuvì un pitittu caprigno e s’avviò per la trattoria San Calogero. Calogero come lo vitti si ci accostò:

“Dottore Montalbano pinzava proprio a vossia, mi hanno portato un purpu ancora vivo, una meraviglia!”

“Calogero, pasta?”

“Pasta cu i  gammari, prima assaggiassi questo antipasto.”  Ci posò un piatto dove il purpo regnava su gammari, cozze, accia, pitrusinu, carotine, polpa di granchio e via di seguito. Montalbano sentì il profumo del mare e quello dell’aglio quanto basta, quello era il segreto di quel piatto, e incominciò a sentirsi bene, mangiò e già provava un rilassamento, tra lo scrocchiare di quel pane fresco e la mollica giallognola che ogni tanto immergeva nel sughetto di quella insalata di mare. Dopo due sorsetti di quel vino bianco, Calogero portò la pasta con i gammari in una versione nuova, vi era fatto a pezzi del pomodorino di Pachino. Guardò quel piatto fumante come un’opera d’arte e lo sciauro che saliva lo avvolse in un piaciri unico e religioso. L’arte è arte! Aveva portato con se il pacchetto con il libro di Neruda e mentre meditava su quei sapori rimasti in bocca, scartò il libro. Quel foglio di giornale nella parte interna vi era una notizia che attirò l’attenzione:

 -AUTO DATA ALLE FIAMME A LIANA- La notte scorsa l’auto di proprietà dell’insegnate, ex assessore D’Onofrio del Comune di Liana è stata data alle fiamme da ignoti. D’Onofrio precisa di non avere avuto minacce di nessun genere. I carabinieri indagano a 360 gradi.-

Il giornale portava la data del 21 marzo.

Montalbano incominciò a scuitarisi, prese il libro e incominciò a sfogliarlo pagina dopo pagina, niente, né parole sottolineate né scritture ai bordi. Lo posò piegò per bene il foglio del giornale che mise nella tasca. Tempo di sorseggiare il cafè e ricordò che un giorno Nena le aveva scritto nell’ultima pagina, qualcosa, un disegnino, non era un cuore, forse un fiore, era una farfalla ora ricordava chiaramente, con la scritta:

-Per Salvo con sincera amicizia, Antonella-

Così riaprì il libro, prese l’ultima pagina e scoprì che era vuota, non strappata, non ci vozi molto ad accorgersi che era incollata. Pigliò il coltello, tagliò e trovò dentro una lettera, scritta in bella grafia e piccola con una penna stilografica con l’inchiostro di colore bilù in un foglio proprio adatto per le lettere. Montalbano lesse quella lettera soppesando ogni parola tistiannu e intercalando di tanto in tanto. 

-Caro Salvo Montalbano, sono stato tentato tante volte di venire a farti visita, ma non ho mai trovato gli argomenti giusti, sicuro di non farti arrabbiare per riportarti questo libro. Senza altro il tempo ha smorzato tutte le spigolature del caso. Hai conosciuto la mia bellissima Teresa ed è per lei che mi preoccupo in verità. Ho seguito in questi anni come con scrupolo fai il tuo dovere e sono certo che non mollerai facilmente l’osso che ti sto lanciando. La settimana scorsa ho avuto l’auto bruciata, motivo di tale minaccia è una denunzia di pedofilia che ancora non ho fatto. In un tema in classe una bambina di quinta elementare, Graziella Garetta, descriveva gli abusi del padre Gerlando, un noto delinquente locale. Questi abusi, su di lei e sul suo fratellino più piccolo, sono continui, con il tacito consenso della madre. La cosa più semplice era denunciare l’accaduto, ci avrebbero pensato gli altri. Invece, asino che sono, dopo essermi accertato con la bambina, senza farla insospettire e trovato conferma, che tutto era vero, ho chiesto consiglio al brillante futuro genero fresco avvocato degno figlio del padre. Il quale voleva il tema, che non ho dato (lo troverai nell’altra tasca ricavata nell’altra copertina del libro) mi dissuase animatamente di fare la denunzia, motivando che non vi erano i presupposti. Un giorno al club sono stato avvicinato da questo elemento negativo del Garetta, il quale mi minacciò apertamente di non mettere certe idee alla figliola. Io non mi sento apposto sapendo le condizioni di quei bambini. Alberto mi ha chiesto un giorno cosa avevo deciso in merito e, bestia che sono sempre stato,  avevo accennato che ti conoscevo e ne dovevo parlare con te. Così immediatamente dopo ho avuto l’auto bruciata, sospetto che Alberto e il Garetta sono in relazione, forse cliente del padre. Ho vissuto come un miserabile, raccattando quello degli altri, come questo libro, l’amore per Nena, il posto di lavoro, la politica, ora è il momento di pagare e sono pronto affinché liberi quei bambini dal loro mostro. Pertanto ho dato l’incarico a Teresa, anche per proteggerla da quello che lei vede come un uomo retto e invece è complice di tali atrocità e altro ancora. Per non rendere infelici nessuno occorre delicatezza. Per avere la sicurezza, non vorrei che qualche disgrazia mi colpisca inaspettatamente … ho trovato questa soluzione. Visto che non sono stato io a portarti questo libro, significa che è successo ciò che temevo, il mio rammarico è che non abbiamo avuto occasione di rincontrarci. Ti voglio bene, toglimi questo peso, per carità.

P.S.

La prima volta che ho visto la tua foto sul giornale non credevo ai miei occhi, il compagno Salvo Montalbano, lo stesso che fece a botte per un dazibao strappato davanti il liceo, Salvo con il pugno alzato e nella tasca Lotta Continua, è passato dall’altra parte della barricata. Forse non c’è paradosso per chi crede e vive per il giusto ovunque esso si trovi.-

 

Montalbano immediatamente aprì l’altra tasca ricavata nella copertina del libro e trovò il foglietto di quaderno scritto da Graziella, lo lesse e provò una rabbia sorda. Così turbato si avviò verso il porto per la solita passeggiata lungo il braccio, guardò il mare e forse il vento gli strappò una lacrima dagli occhi. Ricordò una canzone degli Inti Illimani e canticchiò:

“El pueblo unido  jamás será vencido!”

Si fumò una sigaretta, guardò il mare e il cielo all’orizzonte che si congiungevano, come il passato e il presente, la vita e la morte. Gli venne una specie di scossa si scuttuliò tutto e girò le spalle alla filosofia.

 

Quel libro di Neruda ora pesava così tanto, lo posò sulla scrivania. Rifletteva che Nena non aveva minimamente accennato all’episodio e nemmeno all’attività politica del marito, strano. La prima cosa che fece incaricò Fazio di ricavare vita morte e miracoli su i Spatolisano, padre e figlio, su Gerlando Garetta e sulla vita e morte di Filippo D’Onofrio.

“ Senta commissario ma noi di Vigata che c’entriamo con Liana. Che c’è sotto …?”

“Fazio, quando è il momento opportuno sarai informato! Va bene?!”

Fazio si affunciò e lo taliò di malamanera .

“Lo scopriremo insieme, manco io so di che si tratta.”

Quasi a scusarsi di quel suo tono. 

In maniera inaspettata, ma opportuna, ha ricevuto la telefonata di Teresa. La quale lo ringraziava per la visita alla mamma e che sarebbe felice averlo ospite a casa per la cena di sabato così gli faceva conoscere il suo Alberto. Al commissario è bastato questo secondo contatto per entrare in una naturale confidenza.

“Grazie Teresa, scusami se ti rubo del tempo. Tua madre mi parlò che fu proprio Alberto a dare il primo soccorso a tuo padre. Mi racconti con più precisione quei momenti?”

“C’è qualcosa che dovrei sapere?”

“Noo e che, non ho mai creduto alle profezie ora si presenta questa che puntualmente si è verificata e vorrei saperne di più. Tutto qua.”

“Si, è strano tutto, ma era diventato strano papà. Io e Alberto eravamo rimasti a casa, mentre i nostri genitori erano andati ad un convegno, mentre papà era al club sarebbe tornato dopo le 21 come ogni sera. Pensavamo di essere soli … Era una settimana che non ci vedevamo e allora …”

La voce di Teresa si stracanciò e la cornetta del telefono sembrò pigliare fuoco.

“Ho capito!”

“Poi Alberto si avviò per il bagno, che è dall’altra parte della casa della mia stanza. Dapprima non avevo fatto caso per il ritardo, e avevo messo un po’ di musica, poi mi sono incuriosita e sono andata, ho sentito rumore sospetto nello studio di papà e sono entrata. Ho visto Alberto sopra papà, sembrava che lo stessi picchiando, poi mi spiegò che stava praticando un massaggio cardiaco. Il seguito lo sa!”

“Perché hai pensato che lo stava picchiando?”

“Perché non mi sono sembrati  massaggi cardiaci, la posizione di come era messo Alberto. Non ho visto l’azione vera e propria perché come sono entrata subito si è alzato riferendomi che ha sentito un tonfo e lo ha trovato svenuto così stava cercando di rianimarlo. Sicuramente il mio Alberto ha fatto il possibile, si è dato molto da fare. Per non parlare della corsa spericolata per Montelusa.” 

“Certo, sono curioso di fare la sua conoscenza! Non ho potuto fare a meno di leggere sul giornale la macchina incendiata”

“E’ un episodio della nostra famiglia molto triste. Mio padre sicuramente non sapeva che la politica nei nostri paesi ha delle regole che non hanno niente a che dividere con la legalità e per questo motivo fu fonte di tanti dispiaceri.”

 

Montalbano aprì il frigo e trovò un piattone pieno d’insalata di mare … Quel purpo rosso, di scoglio, era una delizia, si faceva veramente guardare, ma due volte in un giorno, no! Così prese la pezza di pecorino primo sale con spezie e una ventina di olive, si posizionò davanti la televisione e cangiò quei quattro canali parecchie volte, fin quando si fermò, nel solito salotto. Composto da: un paio di politici, dalla zoccola rifatta, un parrino impegnato in qualcosa e il rampollo industriale che si sciarriava con la madre. La sciarra era per il tesoro in uno dei paradisi fiscali che aveva accumulato il vecchio e che era stato nascosto alla spartizione  dell’eredità. Come le storie dei pirata dove il capitano ammuccia in una sperduta isola il suo tesoro. Ma a questo giornalista acuto, ai presenti, proprio a nessuno viene in mente che questi soldi, sono fondi neri sottratti al fisco, e magari accumulati con il ricatto del licenziamento di migliaia di operai e ricevuti come aiuti dallo Stato stesso? Cioè da noi tutti. Tra gli spettatori non ve n’è giudici zelanti con il mangiascino di aprire un’inchiesta? Montalbano mangiava ma si quadiava vedendo quel cretino che parlava così palesemente, alla faccia di noi tutti, sicuramente più imbecilli di lui e gli veniva di santiari come un saracino, così astutò.

“Pronto amore!”

“Che hai Salvo? Hai una voce strana, è successo qualcosa?”

“No, anzi, va tutto bene, e tu?”

“Ed io …”

“Sento un gran bisogno, Livia!”

“Mi fa piacere, dimmi cosa ti è successo.”

“Ho riavuto un libro pieno di ricordi che avevo prestato quando ero al liceo.”

“Se ne è preso tempo per leggerlo!”

Montalbano raccontò tutto compreso i dubbi sulla morte del profeta.

“L’Aneurisma sicuramente lo aveva da tempo, e gli causavano questi strani comportamenti, queste reazioni.”

“Teresa una bella donna, mi ha fatto riflettere che una mia figlia avrebbe potuto avere la sua età! Mi sono sentito gli anni addosso.”

“Attento, non fare come il gatto amico del canarino che lo leccava, lo accarezzava, compiacendosi quanto era bello, quanto gli voleva bene e da lì a poi ne ha fatto un prelibato bocconcino …”

 “Livia, ogni tanto mi fa piacere sentirti gelosa. C’è di non stare tranquilla è veramente un bel canarino.”

Montalbano era irrequieto così  prese due pastiglie che calò con un bicchiere di whisky e si andò a coricare.

Non appena dopo sentì tuppuliari alla porta, non gli andava di alzarsi, ma la tuppuliata era insistente, così come era in mutande e canottiera andò ad aprire.

“Mi fai entrare? O mi devi fare venire le artrosi più di come ce le ho?”

“Andrea! Tu qui? Trasi!”

“Mi devi dire, ora, subito perché ha una settimana che mi scassi i cambasisi tutti i giorni?”

Camilleri lentamente con il verso entrò e si sedette nel tavolo, togliendosi la coppola e poggiandola sul tavolo.

“Senti, Salvo linghimi quel bicchiere di whisky che parliamo giusti giusti!”

“Andrea non credo che i tuoi reni si dovrebbero assentiri?…”

“Piglia cretino! Chi mi nni catafuttu tanto è un sonnu!”

 “Mi devi spiegare la statua …”

“Che vuoi sapere della statua?”

“Perché a mia? E non a Bonetti-Alderighi? Che mi ha pure richiamato.”

“Perché sei tu il commissario Montalbano! Il picciotto delle mie storie.”

“Secondo me, ora ti spiego come la penso, tuo compare Firetto la statua la voleva fare a te!” Mentre il maestro si toccò in mezzo alle gambe. “Vedi, che è vero! Allora ti è venuta la felice idea di farla a mia. E c’è puru un motivo!”

“Quale?”

“Poi, questa strittanza con Firetto? Stai diventando berlusconiano?”

“Salvo hai la licenza di sparare minchiate, ma non te ne devi approfittare!”

“Intanto non mi somiglia! Con tutte le manciate che mi fai fare tecchia di pancia, invece quello è segalignu.  L’artista, come si chiama?”

“Giuseppe Agnello”

“Quello che la fece pure a Sciascia! Macari lì aveva un vero corpo e gli è bastato copiare. Ma qui esistono solo le parole, la mia immagine letteraria è nella tua mente e quando la comunichi ad un altro ne esce un Montalbano diverso. Ora siamo: quello virtuale della televisione l’attore Zigaretti, quello di carne e ossa, il docente universitario di Cagliari, quel sardo? come si chiama?”

“Il professore Giuseppe Marci!”

“La statua di bronzo di Agnello ed io!”

“Io che ho detto? E’ un Montalbano possibile!”

“Poi in mezzo alla strada! Ma che minchia di idea è? che se un cane ci va piscia diventa il pisciatoio dei cani! Oppure qualcuno ci va sbatti, macari di rimbalzo mi carica di mali parole!”

“Meglio essere in mezzo alla strata che in mezzo a la casa!”

“Ecco che siamo arrivati al dunque!”

“Che c’è Montalbano?”

“C’è che ho capito che mi vuoi fare fuori! In uno scontro a fuoco? Una malattia? Dimmi come?”

“Già è tutto scritto e lo saprai al momento opportuno!”

“Mi immagino quel garruso di Zingaretti che soddisfazione proverà a morire! Come Michele Placido nella Piovra, non ne poteva più, si buttò a terra liberandosi così una volta per tutti del personaggio, ma per allungare la scienza spararono per mezzora per avere la cirtizza della sua morte. Tu mi vuoi ammazzare perché hai paura!”

“Io? Sono tutto scantato …” Ridacchiando.

“Si, hai paura che muori prima tu lasciandomi vivo in balia di qualche imbecille che  continua a scrivere sceneggiature all’impazzata!”

Il pensiero della morte aiuta a vivere!

“Poi, mi permetti Andrea una lamentela, tutta personale? Ma è possibile che mi finì come a Topolino con Minni? Sempre zitu cu Livia a Genova!”

“Montalbano, fa parte del tuo personaggio eroico! Me lo vuoi dire che eroismo c’è in un marito?”

“Si ma un omu … che fa, corre a Genova…”

“E non ti puoi lamentare!”

A Montalbano si ci stampò un sorrisetto e tistiò.

“Comunque, il tuo ultimo romanzo è già scritto come una profezia, un destino segnato. Tu lo sai che sei il mio pensiero felice su questa Terra e il suo Popolo, fatta di ricordi e presente, pertanto fin quando ci sarà questo sentimento ci sarai pure tu. Poi ha portato male a quegli autori che hanno pensato di fare morire il protagonista dei propri gialli.”

“E la storia di Vigata? Perché non metterci: la città di Camilleri? Vigata! Ora c’è: la Vigata televisiva Ibla, quella letteraria, luogo della memoria e questa Porto Empedocle! Il siciliano così sa sempre meno se vive un romanzo, un film o la vita vera …”

“Ma che dici Salvo?”

“Ora vengo e mi spiego. Nel marzo del ’97 un insigne magistrato, forse fresco di lettura de Il Gattopardo, non mandò un mafioso, a soggiorno obbligato a Donnafugata?  Il provvedimento scritto ordinava -in Donnafugata frazione di Santa Croce Camerina-!  E’ una zona in aperta campagna a 14 chilometri da Ragusa, dove c’è solo un castello, che fu degli antenati del principe Tomasi di Lampedusa e poi nibba. Inoltre Donnafugata fa parte di Ragusa, e Santa Croce non c’entra affatto. Un manicomio, tra la magistratura, il Comune di Ragusa, il proprietario del castello e la sovrintendenza.  Ora per togliere le cose di mezzo, il sindaco di Ragusa, bonariamente, gli voleva trovare una sistemazione nella sua città. Ma i carabinieri, che sanno il fatto loro, risposero che gli ordini non si discutono! Così, in attesa che il magistrato accetti di avere fatto una gran minchiata, il mafioso Pietro Balsamo dalla cella è andato a finire in una stanza affrescata del castello, arredata con mobili d’epoca e con un grande letto con tanto di baldacchino come il Principe di Salina!”

“Questa è la terra di Pirandello. Mi hai dato l’idea del prossimo racconto: L’ospite indesiderato!”

“Mi, ma la statua di fronte a quella dell’insigne Pirandello, mette soggezione. Il sindaco, tuo compare Firetto, che sicuramente aveva vivuto assai, sparò che il Commissario Montalbano è un empedoclino doc, intanto sono di Catania e poi l’unica cosa di empedoclino doc che ha quel Montalbano è la faccia stagnata, di bronzo!”

 Camilleri, fumava e il fumo era sempre più denso fin quando svanito il fumo il maestro non c’era più.

“Andrea! Andrea!” Si svegliò mentre si sentiva lo scruscio della pioggia provando un forte nirbuso.

 

Quando c’era tempo tinto in ufficio sapevano che Montalbano incominciava a fare lo scuncicuso e come sapeva fare lui lo stronzo ci arriniscivano in pochi. Ma, al contrario, quel giorno si andò a inpirtusare nel suo ufficio. si assittò  lungo lungo e si mise le mani giunte sullo stomaco. Forse sarà stato quel sogno che gli permise di liberarsi tutte quelle fisime che si portava dentro.

Entrò Fazio a piede leggìo, dopo avere tuppiulato, chiesto permesso, salutato e con carta alla mano si posizionò davanti.

“Allora?”

“Spatolisano Vincenzo fu Alberto nato a Liana il 16 marzo 1949 avvocato penalista, sposato con Amerinda Diana di Palermo nata il…”

“Fazio … oh! Stringi!”

“L’avvocato Spatolisano ha difeso almeno tre processi a Gerlando Garetta, la prima volta per pedofilia, poi per danni contro il patrimonio e rissa, in ultimo per furto con scasso all’ufficio postale di Fiacca. Pertanto vi è una conoscenza dal 1973 al 1996, da allora sembra che il Garetta non ha avuto altro di rilevante.”

“Alberto Spatolisano?”

“Anche lui avvocato come il padre è stato riportato ultimamente nelle croniche dei giornali per la difesa della moglie di un certo Pasturi Paolo detenuto a Trapani e morto, secondo la procura, per cause naturali e sostenendo, invece lui, la tesi di morte provocata. Trattasi di -aneurisma cerebrale per cause naturali’. L’avvocato Spatolisano Alberto ha chiesto una autopsia di parte. Il dottore Frannitta ha rilevato che fu conseguenza del pestaggio. Leggo testualmente: - violento trauma addominale da schiacciamento con conseguente lacerazione epatica, crisi ipertensiva arteriosa correlata alla sintomatologia dolorosa e alla paura con conseguente reazione adrenergica e successiva rottura di una sacca aneurismatica di una vaso arterioso cerebrale.- Del D’Onofrio è stato fatto l’espianto di quasi tutto:  cuore, reni,  polmoni, pancreas e intestino,  cornee, valvole cardiache e vasi sanguigni.”

“Mischino, lo hanno smontato pezzo per pezzo!”

“Tranne il fegato, lo hanno trovato danneggiato, il reperto spiega a causa del tentativo di rianimarlo con il massaggio cardiaco!” 

“Ho capito, Fazio, ho capito! Hai tirato le somme e due più due fa quattro, grazie!”

“Commissario, avevo incominciato a preoccupare che lei stava male, vedendolo sereno in un giorno di malo tempo.”

“Ora sei tranquillo, almeno tu sei sereno? Vai!”

Fazio come sempre aveva fatto un indagine scrupolosa e ottima, il tutto andava quadrando. Ma non concepiva la dinamica e nemmeno il movente. Alberto non sapeva che Fifì era in casa e questo magari aiutava il movente, cioè, era entrato nello studio per cercare e sottrarre il tema, fu scoperto dal futuro suocero, che casualmente era rincasato e magari si trovava nell’altra stanza, ci fu una colluttazione e incidentalmente, o volutamente, gli ha provocato l’aneurisma, che a quanto pare Fifì già da tempo se lo portava dietro e forse gli causavano questi atteggiamenti di violenza verbale,  di tanto in tanto. Ma questa ipotesi presenta una debolezza: perché tanta ostinazione nella protezione di uno come il Garetta? Sicuramente non per motivi professionali, amicizia? Di certo c’è dell’altro!

Cosa? Cosa può spingere uno come Alberto Spatolisano a pregiudicare la sua posizione, prendendo a lignate il futuro suocero, per un fango?

Si alzò di botto perché gli venne subito il da farsi.

“Galluzzo!”

Al solito dietro il rosa e il nero della carta stampata dello sport, così con una ciampata gli scippa il giornale di mano.

“Quante volte lo devo dire? qui dentro non si legge! Galluzzo, vieni con me!”

Arrivarono a Liana  cercarono un vigile urbano che non trovarono manco a farlo apposta.

“Commissario, il comandante è mio amico. Ci incontriamo al poligono.”

Il comandante dei vigili urbani lui stesso che li condusse nella casa del Garetta. C’era un caseggiato mezzo diroccato nel centro storico, l’auto era lì, così gli si parcheggiarono proprio dietro. In una parte ancora abitabile vi era la porta aperta. Si presentò questa donna con gli occhi accerchiati di niguru, i capelli tinti e abbrusciati di un rosso milingiana e una vesta mezza scirata, era sicca con una pancia gonfia rotonda con le spalle cadute. Una mischinazza che a solo guardarla faceva pena.

“Signora, suo marito è in casa?”

“A chi cercate?”

“Gerlando Garetta, abita qui?”

“Si, ma mio marito non c’è!”

“Chi è?” Una voce interna alla casa la contraddisse.

“Sbirri!” Rispose lei.

“Signora mi fa entrare? E’ meglio!”

Galluzzo era pronto all’attacco, guardava con la mano vicina alla fondina.

“Galluzzo! Stai calmo, tranquillo …”

Quella casa era un tugurio: letti, tavolino, tinello sembravano messi a caso. Ma primeggiava, sopra il comò, un televisore gigante di questi moderni piatti come un quadro, con altre apparecchiature allacciate.

S’appresentò, impomatato e fresco di barba, in canottiera con un tatuaggio che gli pigliava dal collo a tutto il braccio destro, con la tovaglia in mano. Due occhi virdi minuti in una faccia lentigginosa e di pilatura rossa.

“Commissario Montalbano sono, dove possiamo scambiare due chiacchiere?”

“Commissario io non ho tempo da perdere con lei. Devo andare a lavorare! Sono in arresto?”

“Senta Garetta, se ne stia calmo e non alzi la voce, se no le manette gliele metto davvero e poi vediamo se sta volta i suoi amici riescono a farlo uscire. L’addrevi dove sono?”

“A la scuola” Rispose poco convinta la moglie.

“Bene, le conviene collaborare e se merita ragioniamo.”

“Facci un cafè al dottore!”

Già il Garetta aveva perso tutto lo sbromo di prima, si prese una seggia e s’assittò.

“No grazie signora. Galluzzo tu?”

Galluzzo se ne stava dietro a Garetta, alzò la testa e dissi no come i cavalli. Montalbano in mezzo a tutte quelle fitinzie gli si era chiuso lo stomaco. La puzza ardosa di quella casa, ammiscata con il mezzo litro di dopobarba che aveva supra Garetta, pigliava alla testa. Mentre la moglie si era allontanata per la cucina. Montalbano guardava il vaso di tulipani, gialli, rossi e pampini virdi, di plastica sopra il tavolo.

“Lo sa che se le cade questa montagna di fango supra ci rimane sepolto e deve cangiare puru paese.”

Garetta era come immobile guardava negli occhi al commissario, muto. Aspettava e questo era segno che gli interessava ascoltare.

“In primis, voglio sapere in che rapporti è con la famiglia Spatolisano?”

“Chi rapporti? Quali rapporti? Che sta dicendo commissario?” Garetta parsi posseduto da mille diavoli.

“Alberto Spatolisano!”

“Ma che sta dicendo?” Il Garetta s’alzò dalla seggia facendola cadere a terra. Galluzzo subito gli puntò la pistola in testa. Garetta incominciò a urlare. Trasì la moglie e come vide il marito con la pistola puntata urlò qualcosa di incomprensibile. A questo punto il commissario gli mise le manette e se lo portò via tra il bordello della moglie.

 

Non erano ancora arrivati in commissariato che il povero Catarella ha ricevuto così tante telefonate dal questore, dal prefetto e da altri ancora a tal punto che non riusciva ad alzare la cornetta senza farla volare come una saponetta sotto la doccia.

“Cammina, e non fare storie.” Galluzzo se lo tirava per il braccio, mentre Montalbano seguiva.

“Dottori dottori! Domando pirdunanza, dottori, sugnu scuitatu!”

“Che c’è Catarella? Spiegati!”

“U circaro di persona personalmente, il signore questori, ha chiamato tre voti, il signore prefetto ha chiamato tre voti, il segretario, non so che segretario, ha chiamato…”

“tre voti!”

“Vossia come lo sapi?”

“Catarella, se chiamano, per la quarta volta me li passi.”

“Addomando perdonanza, il dottori questori mi disse di persona personalmente che non appena era arrivato di chiamarlo con urgenza subitamente, che faccio lo chiamo?”

“Ti avviso io Catarella, tranquillo, stai tranquillo.”

Entrarono nell’ufficio e chiusero la porta a chiave.

“Senta Garetta, lei crede che ho voglia di perdere tempo con uno che fa violenza ai propri addrevi?”

“Pezzo di merda!” Galluzzo gli disse strattonandolo.

“Senti Galluzzo, fammi una cortesia, intanto non mi piaci sta confidenza che ti stai pigliando con questo tu,  poi fai silenzio, che non stiamo girando una pellicola americana!”

“Commissario, lei è una persona buona, e deve capire che un povirazzu come a mia, ha sempre bisogno di persone altolocate come l’avvocato. Io e Alberto eravamo compagni di scuola dall’asilo alla scuola media. E il padre mi ha difeso con una mangiata di pasta. Chi se lo può permettere pagare un avvocato come Spatolisano?”

“Questo già mi fa capire tante cose, ma non tutto. Ora se io non metto tutte le cose a posto, nel suo posto giusto, io non riesco a dormire la notte. E tu che pensi che io ti lascio andare, per poi non dormire la notte e addivintare pazzo?”

Garetta lasciava intravedere facilmente la sua irrequietezza, non stava fermo, fissava a Galluzzo ed evitava lo sguardo del commissario. Il commissario così gli tolse le manette.

“Se cerchi di scappare ti sparo!” Gli disse con una cattiveria tutta convincente Galluzzo.

“Lui è capace di farlo! E’ accussì … Allora Gerlando vuole parlare o no?” A Montalbano quella persona gli faceva senso, aveva in testa le parole del tema della figlia a stento si tratteneva a non dargli quattro pedate in mezzo alle gambe e una paricchia di cazzotti in faccia.  Lui si ammutolì e abbassò la testa.

“Va bene, significa che vi arresto, marito e moglie intanto, con l’accusa per il reato di maltrattamenti, abusi sessuali, e minacce nei confronti di minori. Galluzzo prepara la denuncia e la traduzione nel carcere di Montelusa.”

“No! Commissario, che vuole che le dica, all’avvocato ho fatto solo qualche sirbizo, e basta!”

“In cambio della sua difesa e della sua amicizia, chiamiamola così, amicizia, no?”

Il Garetta calava la testa come un pupo.

“La macchina del D’Onofrio, quella l’hai abbrusciata per conto tuo?”

“Ma quali? A questo cornutazzo io ci disse di lasciarmi stare! io se faccio un travaglio, che me la penso e lo faccio, mi va a finire male!”

Montalbano capì che per il momento non aveva niente più da spremere. Il commissario così diede ordini precisi, in mezzo alle urla offensive del Garetta per la presa in giro, per la cattura della moglie e per l’assistente sociale.

“Dottore, gli aveva promesso …”

“Con i tipi come il Garetta parola non ne tengo, Galluzzo!”

 

Montalbano decise di andare  dal questore e così chiarire di persona ogni ombra, avendo inzertato il perché di quelle telefonate. Si sucò quelle parole pulite, che gira gira andavano a finire nel solito posto: darrè, ma in fine il questore approvò l’arresto e fu lui stesso che telefonò al giudice per i coniugi Garetta. Montalbano non fece cenno sulla profezia di Fifì e dei sospetti su Alberto, perché non era il momento, molte cose non quadravano. Mentre tornava da Montelusa ripensava a tutto il quadro, ormai era ora d’incontrare Alberto. Della vita di Fifì gli mancava qualcosa, che nella lettera ha voluto celare: la sua attività di assessore, sicuramente non ne andava forse così fiero.

Non appena arrivato in ufficio telefonò a Teresa, spiegando ogni cosa sulla segnalazione del padre e dell’arresto del Garetta.

“Il tuo fidanzato sarà sicuramente contrariato del riserbo che hai avuto nei suoi confronti!”

“Il mio fidanzato capirà! è stata una promessa che una figlia ha fatto al proprio padre.”

“Tuo padre, sospettava che Alberto aveva informato il Garetta.”

“E’ vero?”

“Non ti so dire con precisione, dovrò parlargli, ti ho telefonato se vuoi chiarirti prima con lui.”

“Grazie! Ti richiamo appena dopo avergli parlato.”

La sua voce prima decisa e chiara, ora era diventata bassa riflessiva ma non perdeva di sicurezza e questo la rendeva ancora più affascinante nell’immaginario dell’omo Montalbano.

Prima della telefonata di Teresa, arrivò quella di Alberto che chiedeva d’incontrarlo nel pomeriggio.

Alberto fu puntale come un ralogio svizzero. Padrone di ogni suo movimento, con un sorriso convenevole stampato in un bel viso da filibustiere elegante, con sopra tanti capelli lisci castano chiari, non ci mancava proprio niente. Montalbano capì perché la picciotta ne era così innamorata. Non appena i saluti e il piacere della conoscenza, il giovane avvocato saltò subito i preliminari.

“Il papà di Teresa mi aveva parlato del tema della figlia del Garetta. Ed io avevo avuto notizia prima ancora dallo stesso Garetta, il quale si era lamentato perché il mio futuro suocero aveva costretto la figlia a scrivere quelle porcherie sul suo conto. Insomma volevo vederci chiaro su questa faccenda, anche perché, il mio futuro suocero ce l’aveva con Giugiù, lo accusava di averlo visto mentre gli tagliava tutte e quattro i copertoni dell’auto.  Fatto che non escludo, considerato il comportamento scorretto che lui ha avuto nella sua attività di assessore al bilancio, all’annona e alla nettezza urbana nel comune di Liana. Niente di sicuro, vox popoli, dopo essersi accordato come partito sulla tangente da spartire ha chiesto un supplemento personale sull’acquisto dei cassonetti e dei sacchi di plastica. Per non parlare quello che ha combinato con le autorizzazioni commerciali, figli e figliastri,  non tenendo conto del piano commerciale. Un giorno mi confidò che aveva trovato una testa di cane mozzata e una santuzza con la Madonna Addolorata.  Lui l’aveva intesa come una minaccia di morte con scadenza fissata: prima di pasqua. Non fece denunzia, ma si dimise subito. Solo che ogni tanto partiva con una delle sue prediche e metteva galantuomini in cattiva luce. Ecco che forse di conseguenza gli bruciarono l’auto. Era diventato paranoico, non si fidava di nessuno, nemmeno di me, che gli ero stato sempre vicino. Di sicuro, per questo motivo, pensò a lei e al libro.”

“Lei sapeva dell’aneurisma del D’Onofrio?”

“L’aneurisma non da segni esterni, però io nutrivo un sospetto, perché in questi ultimi mesi ho trattato un caso di aneurisma e pertanto mi sono informato anche sulla sintomatologia che per lunghi periodi non si manifesta a livello doloroso, ma a livello comportamentale, la sua violenza verbale che mostrava di tanto in tanto mi faceva molto riflettere. Anche se solo con una tac si può sapere dell’aneurisma, senza, quando si scopre è già tardi!”

“Lei è stato il primo a soccorrerlo!”

“Si, gli era venuta una specie di epilessia, ed ho sentito fragore nello studio, mi sono pure spaventato, perché credevo  non ci fosse nessuno a casa. Aprii e lo trovai a terra, che si scuoteva, ho cercato di immobilizzarlo perché non si facesse male, quando ho visto che ha perso i sensi, ho pensato di rianimarlo, ma non sono un esperto, i medici mi hanno detto che gli ho rovinato il fegato. Come di sicuro sa, la famiglia ha autorizzato all’espianto degli organi ed abbiamo saputo del fegato.”

“Il fegato come al detenuto di Trapani.”

“In quel contesto sono sicuro che l’aneurisma è stato causato dalle botte prese. Come è stato trovato sulla branda e altri segni di violenza. L’aneurisma è come una bolla in una camera d’aria di una ruota, quando capita la pressione giusta ecco che la bolla scoppia.”

“Consideriamo l’ipotesi, che in ogni modo devo fare. Lei cercava qualcosa nello studio, credendolo fuori casa, quando è stato scoperto è scaturita una colluttazione e da lì l’aneurisma.”

“Una ipotesi, ma cosa dovevo cercare? Cosa mai poteva interessarmi di così importante!”

“Questo! il tema della figlia del suo amico Giugiù!”

“Commissario, io non credevo che il Garetta poteva essere così terribile, è stato compagno di scuola nelle elementari. Ma sicuramente non era un mio amico, due mondi molto lontani.”

“Anche se suo padre qualche sirbizzo glielo ha fatto fare.”

“E’ un altro discorso, preferisco non parlare.”

Tutta quella sicurezza di essere più spertu degli altri, ci passò subito, mentre Montalbano facendo finta di leggere qualche carta lo guardava negli occhi fermi, che si sono mossi per un frangente di secondo da destra a sinistra per poi ritornare ad essere fermi e sicuri come prima.

“Avvocato Spatolisano, credo che lei considera i miei dubbi non del tutto infondati.”

“Lei commissario mi chieda la qualsiasi, ma che non vada ad intaccare la sfera privata di mio padre. Anche perché abbiamo due vite abbastanza separate e pertanto non le potrei essere utile. Le posso dire che mio padre non s’interessa di politica ed ha una scarsa considerazione sui politicanti di ogni grandezza. E’ un penalista e Giugiù è un suo difeso, spesse volte a gratis. In cambio è stato sempre pronto a fare il guardiano nella villa a mare oppure a badare a gli uomini in campagna. Questo è quello che so io. Non le nego che, nonostante sia un brutto personaggio, mio padre non gli ha ostentato fiducia. Le vicende di Garetta saranno valutate nella giusta sede. E’ tremendo il solo pensare del suo reato di abusi sessuali a propri bambini …”

Il commissario pensava tra se che era abbastanza convincente, anche perché i conti tornavano, quelle verità venivano capovolte, sconvolte e ne ricostruiva di nuove, più belle, più verità. Comunque quelle affermazioni erano una conferma alle sue deduzioni.

“E’ vero, che molto spesso siamo in contatto con dei criminali di ogni sorta, ma questo non è sufficiente ad intaccare la nostra morale di uomini onesti e giusti.”

Montalbano pensava al mare che all’orizzonte si congiungeva con il cielo in un labile confine come tra il bene e il male.  

  

Il sabato Montalbano s’appresentò con un cabarè di cannola in casa D’Onofrio. La vista di Teresa gli aggiustò la giornata, quella di Nena lo mise di buonumore. Ancora non erano arrivati gli Spatolisano, così ne approfittarono per fare un po’ di salotto. Montalbano si trovò in mano un bicchiere di qualcosa, mentre un discorso portava ad un altro.

“Salvo, che bella età era la nostra!”

“Si, riavere quel libro mi ha fatto ricordare come eravamo diversi.”

“Un po’ stupidelli.(con un saltello si rivolse verso la figlia) Lo sai Teresa, un giorno Salvo mi ha invitato alla villetta, così ci siamo appartati. Io mi dicevo: è fatta! Mi farà la dichiarazione d’amore, come si usava allora e subito dopo, magari, passerà a cose più concrete. Io mi sentivo predisposta, pronta. Non appena seduti incomincia a parlare, di questo di quello, tira fuori un libro di poesie e incomincia a leggermele … Dico una, e poi … Invece un’altra e un’altra ancora. Così all’indomani e dopodomani. Scusami Salvo, due palle così. Oh! Oh! Oh!”

Teresa si stava scatasciando dalle risate. Montalbano si sorprese di quella verità tremenda che stravolse ogni suo ricordo come un terremoto.

“Ed io, tutto fissa,  pensavo che ti piacevano le poesie di Neruda?”

“Ma quale? La poesia mi ha fatto sempre ammoscire. Ma non finisce qui! Oh! Oh! Oh! Si fa avanti Fifì, tuo padre, bonarma. Appuntamento dopo la scuola, ci appartiamo in una altra villetta comunale. Ad un certo punto, che fa? Non tira fuori lo stesso libro e incomincia a leggere poesie? Il sangue mi salì subito alla testa facendomi incavolare come non mai, dapprima pensai che mi volessero sfottere. Ad un certo punto presi l’iniziativa e lo baciai, fingendomi presa da quelle poesie. Così ci siamo fidanzati e poi sposati. Se era per Neruda sicuramente, cara Teresa, saresti rimasta ancora nel limbo. Oh! Oh! Oh!” 

Ora a Montalbano quella risata gli sembrava un martello che lo picchiava nel cervello ripetutamente.

 

 

La storia l’avevo fatta finire qui. Se nonché  in questi giorni ricevo una telefonata:

“Pronto, parlo con il signor Alphonse?”

“Si?”

“Il commissario Montalbano sono, senta non riattacchi, facendo delle inutili ripetizioni della gag con Camilleri. Le volevo dire solo due cose: la prima che è una bella testa di minchia! La seconda è il motivo perché lo è.”

A questo punto ho pensato che uno dei miei amici, che aveva letto il racconto, mi stava facendo questo scherzo e ho deciso di starci, pertanto intercalai con un:

 “Eèh!?”

“Lei pensa che io abbia ammuccato tutta la parlata di quell’avvocaticchio rampante? E poi due coincidenze sono troppe:

la prima mentre Alberto passava di lì davanti lo studio per andare a cesso, a Fifì, contemporaneamente gli veniva il malessere; l’altra, visto che il fu Fifì aveva l’abitudine di chiudersi a chiave dentro lo studio, solo per pura coincidenza non l’abbia fatto quella volta. A lei sembra normale, che uno sbirro come a mia perda la faccia nel suo raccontino?”

“No, mi scusi non era nelle mie intenzioni, era solo per scrivere qualche cosa sulla statua che le hanno fatto e della presenza del Maestro Camilleri a Siculiana, solo questo, poi non so dirle come è uscita fuori la profezia di Fifì!”

“Il Maestro, se nzamà, legge questa minchiata, non le dico che aggettivo c’impiccica,  perché sono un signore. Lui esagera sempre quando dice “scrivete, scrivete”, non tenendo conto di quante bestie letterarie vi siete a piede libero.”

“E! Commissario, mi faccia il piacere, di restare un signore!”

“Bene, allora, torniamo alla profezia di Fifì. Puntualmente, ho fatto le mie ricerche per verificare quanto è stato detto da Alberto, ed è risultato a verità: che il D’Onofrio ha avuto liti nella sua cordata politica e che ultimamente aveva iniziato a denunciare magagne dell’amministrazione, tutto vero. Ho fatto controllare il conto in banca, niente di rilevante. Ma a Liana c’è un puparo che muove i fili di nascosto, uno di quelli che al momento giusto sa con chi parlare, inzerti chi è?”

“L’avvocato Spatolisano, padre?!”

“Oh! Lo vede che quando si ci mette ci riesce! Allora, riapra il raccontino, da bravo.”

E riattaccò udii sbattere la cornetta violentemente.

 

 

Si sentì il Din! Don! E Nena alzandosi fece:

 “Oh ooh oooh! Sono loro! Vado ad aprire!”

 Teresa manco si cataminò, arristò a conversare, non lasciando solo il commissario che pensò di averci visto giusto a prima impressione: -questa è una fimmina di carattere!-

“Teresa scusami se ritorno sulla morte del povero papà, non voglio entrare nelle vostre intimità, però sembra che abbia accumulato una cospicua somma di denaro, non parlo dei risparmi del lavoro, visto che lui non si spostava da Liana, se non in casi precisi e quasi forzato, a quanto sembra, qui non  ci siano tante possibilità di spendere …”

“Capisco che mi vuoi dire, è lo stesso identico discorso che mi fece Alberto qualche giorno fa, ti rispondo come a lui: no, niente! Non fece mai cenno di lasciti in denaro o eredità se non quella ufficiale. Come ti ho detto, negli ultimi tempi era preoccupato e un po’ strano, e tra le stramberie, espresse il desiderio, oltre quello del libro, di custodire gelosamente il suo studio, mi precisò, e questo mi fece un po’ di tenerezza, che erano miei i sassolini che avevamo raccolto uno per uno scelti tra tanti, quando da bambina mi portava a mare. Facevamo un gioco bellissimo, mi faceva scegliere un sassolino e soppesandolo, osservandolo dovevo inventarci una storia. Così faceva pure lui. A volte quel sassolino diventava un personaggio fantastico, una navicella, una stella, un amuleto magico e così via. Tutto finiva in un tenero abbraccio tra tutte e due contenti della nostra fantasia.”

“Fifì sapeva fare bene il suo mestiere di padre … Quelle pietruzze così hanno un valore inestimabile per te, no? ”

“Si, certo! Anzi me ne porterò un po’ nella mia stanza, uno di questi giorni. E’ stato un bravo papà!”

Teresa si era commossa e gli occhi le brillarono come due stelle vespertine.

Arrivarono i Spatolisano preceduti da Nena, che fa subito le presentazioni. La signora è una donna dal portamento aristocratico e dal corpo giunonico, mentre l’avvocato era curto, ma taliava dall’alto in basso, aveva un pizzetto alla Pirandello, gli occhiali con la montatura dorata e i capelli brillantati. Montalbano pensò che quella brillantina forse la facivano solo per lui, oppure si era fatto una tale riserva di bottigliette tanto d’averne ancora. Alberto seguiva dietro e subito andò da Teresa.         

“E’ un piacere conoscere un vero servitore dello Stato e della Legalità!” Quella manuzza nica dell’avvocato stringì energicamente quella del commissario, mostrando una forza inaspettata. Quelle parole, con quella cadenza sembravano un discorso di commiato e di cerimonia funebre che un autentico apprezzamento, tanto che, Montalbano mise la mano in tasca e fece le corna stinnicchiando indice e mignolo a tutta forza.

Il pranzo era stato preparato e servito a tavola da una signora e dal marito che prima gestivano un ristorante a mare. Ora chiuso perché dato alle fiamme. Ai coniugi, per pagarsi i debiti accumulati, ogni occasione di lavoro che si ci apprisintava era buona. Montalbano non fu molto soddisfatto di quel pranzo tutto a base di carne, non perché non era buono, anzi era fatto con classe, ma per lui il pesce e i sapori forti e nostrani erano nandra cosa.

“Sicché siete stati compagni di liceo con il povero D’Onofrio!?”

Proruppe l’avvocato, mentre posava la tazzina di caffè.

“Ah si, qualche anno.”

Nena aveva fatto servire i cannoli, che sottolineò con puntiglio: “Questi li ha portati Salvo da Vigata!”

Montalbano aveva notato Alberto che l’osservava, non poteva fare a meno di puntagli gli occhi addosso come se da un momento all’altro s’aspettasse una rivelazione. Mentre il padre era sulle sue, mostrava una sicurezza eccessiva, non necessaria per l’occasione. Teresa che scambiava con dolcezza frasi con la futura suocera e la mamma, appoggiando di tanto in tanto la mano sul braccio di Alberto, come un gesto quasi protettivo, rassicurante. Sembrava non interessata, invece era molto attenta alla conversazione non fatta solo di parole, ma anche di gesti e atteggiamenti e silenzi, che avevano imboccato l’avvocato, Alberto e il commissario.

Così alzati i tre si spostarono nel salotto.

“Commissario le volevo dire, che sono rimasto turbano per l’orrendo crimine del Garetta. Lo difenderò si, farò di tutto per fargli dare il minimo della pena a lui e alla moglie, questo però non diminuisce il reato, che gli ho consigliato di ammettere nel concordato.”

“Il Garetta è un personaggio tutto da scoprire, per i lavori che lui eseguiva in maniera saltuaria, non poteva mai permettersi tutta quella tecnologia in casa, acquistata tutta insieme e da poco. Sicuramente saprà, il materiale pornografico che teneva in casa e che i bambini ormai vedevano come se fossero Le avventure di Pinocchio e La principessa sul pisello. Le confesso una cosa avvocato, credo di avere fatto male ad arrestare il Garetta. Riconosco che sta volta ho agito alla sanfasò, normalmente non è cosa mia.”

“Come mai? Se mi è lecito chiedere!”

“No, addumanni pure. Le spiego, ho il sospetto che il Garetta aveva avuto l’incarico di qualche sirbizo speciale, tanto da incassare tutto quel denaro. Pertanto bastava seguirlo, osservarlo per farci scoprire di che si trattava. E siccome né a Liana né nelle vicinanze ci sono stati atti d’intimidazioni, né furti, allora viene facile concludere che il Garetta, Giugiù, ha fatto un salto di qualità, che so, come assistere a qualche latitante …”

Alberto divenne una statua, non muoveva nemmeno le pupille degli occhi. L’avvocato fece due mosse di scatto e riprese:

“Se la sua intuizione è giusta allora è stata un’occasione mancata!”

“Sicuro che il suo arresto ha provocato l’allarme. Ora, ho pensato possibile ad un suo aiuto, per convincere Giugiù a collaborare.”

“Possiamo discuterne! Perché no?”

Furono interrotti dalle donne che s’intromisero tra i tre.

Nena era tutta presa dal suo consuocero e si volse diretta a lui. Teresa parlò con Alberto che sembrava avere preso subito il controllo di ogni suo muscolo. E la signora si rivolse con grazia al commissario:

“Vedo che avete preso confidenza. Spero che non vi abbiamo interrotto una conversazione di lavoro?! Lo sa che il mio Alberto ha avuto uno stress emotivo non indifferente dopo la morte del suocero? Dietro quell’armatura di maschio sicuro vi è sempre il cuore nobile del mio bambino. Mi portava a casa i suoi amichetti, tutti di famiglie umili, spesso capitava che li facevo mangiare con lui. Tanto che  non avrei mai pensato che avrebbe intrapreso la strada del padre, credevo che imboccasse quella ecclesiale. Il buon Dio non lo ha chiamato; significa che il suo destino era legato a questa magnifica donna.”

Montalbano arrideva per fare contenta la signora, ma il suo intento era quello di approfittare di quell’unica occasione d’indagine sulla morte di Fifì e i retroscena dei Spatolisano. Mentre sintiva la signora taliava attentamente Teresa, con gli occhi sembrava chiederle aiuto, tantoché, come fu e come non fu, la picciotta si ci avvicinò.

“Come va?”

“Bene bene, e che già vorrei andare …”

“Anche noi, penso, che dobbiamo andare. Sa, mio marito domani ha un udienza importante e vuole essere fresco ed energico per l’arringa.”

La signora Spatolisano si dilungava nei discorsi aprendo sempre incidentali e percorsi nuovi. Montalbano stampava quella sua arri satina, ma ogni tanto lanciava il suo S.O.S. a Teresa.

“Alberto, tu rimani un altro po’?”

“No, Teresa sono spiacente, ma anch’io dovrò andare!”

“Solo che prima di andare voglio chiederti una cortesia.”

“Con grande piacere, di che si tratta?”

“Vorrei visitare lo studio di tuo padre toccare le sue cose, ricordarlo un po’… Però se non è il momento sarà per un’altra volta.”

“Mi può fare solo piacere!”

Teresa con un sorriso di tenera gratitudine si appoggiò nel braccio di Montalbano, il quale non poté fare a meno di sentire quel seno ciruso, che gli causò un forte turbamento mascolino. Pensava che, queste cose apparentemente innocenti, le fimmine le fanno apposta perché lo sanno cosa ci succede agli omini e accussì s’addivertono. Questa distrazione non gli permise di notare la reazione di Alberto, però a quanto sembra tutta la premura di andare gli era finita di botta. Così pure al padre che aveva le orecchie tise come un cane cirneco e aveva seguito tutto.

Teresa fece strada a Montalbano.

“Tua madre mi diceva che si chiudeva a chiave quando era dentro.”

“Si, sempre, io dovevo bussare e attendere che aprisse, una sola volta è capitato che si è dimenticato proprio la chiave in esterno.”

Arrivati davanti lo studio Teresa continua:

“Ecco questa volta è molto strano perché la chiave è all’interno, ma lo studio era aperto.”

“Le coincidenze ora sono tre: Alberto sente il bisogno del bagno, mentre tuo padre ha l’attacco epilettico, dimentica la porta aperta e la chiave in esterno.”

“E con questo? La vita è colma di queste coincidenze!” Disse con la sua impermeabile sicurezza Alberto. Entrati dentro sembrava percepire ancora lo spirdo di Fifì in ogni mobile e oggetto, anche nell’ario.

“Mi chiedo, come lo passava il suo tempo, chiuso qui dentro?”

“Leggeva il giornale, il quotidiano e ascoltava musica. Da fuori sentivamo questa musica. Ci deve essere il suo mangianastri proprio nella scrivania. Eccolo! E’ ancora attaccato alla corrente.”

Montalbano si avvicina a Teresa e sente turbare il profumo della sua pelle, ma non perde la concentrazione, perché quella scoperta capisce che è risolutoria.

“Che musica ascoltava, sono curioso?”

Teresa stava armeggiando quando il commissario ci levò di mano l’apparecchio:

“Scusami!”

La cassetta era senza alcuna intestazione di quelle accattate vacanti. Il commissario riavvolse il nastro e mise play:

-“Uno, due, tre prova

clic …

(un rumore lontano, si percepisce che sono due giri di serratura) Alberto, ti ho aspettato che uscivi dal bagno per dirti due paroline. Entra!

-Lasciami in pace una buona volta!-

-Non posso lasciarti in pace, tu hai in ostaggio il mio tesoro.-

-Io non tengo nessuno in ostaggio, noi ci amiamo, pazzo!-

-Non offendere. Ascolta! … ”

Alberto è completamente a disagio ed è agitato, con una mossa fulminea ruba di mano l’apparecchio e tenta la fuga, ma proprio davanti la porta s’imbattè con il padre che lo ha bloccato.

“Dove credi di andare? Stupido!”

Gli toglie l’apparecchio e lo porge a Montalbano.

“Commissario accenda pure.

“Grazie avvocato, ma suo figlio ha già confessato con questo gesto!”

Teresa aveva stampato nel volto la rabbia e la delusione di quell’uomo così tanto amato che le aveva mentito sull’evento più importante della  sua vita: la morte del padre! Riuscì solo a dire:

“Alberto?”        

 Il commissario risistemò il cordone della corrente e il mangianastri ripartì:

-“ … Io sono disposto a darvi tutti i soldi, fino all’ultimo, ad un solo patto d’onore tra noi due.

-Ma quale patto si può fare con te, che non mantieni la parola data!-

-Io la parola  l’ho sempre mantenuta. E’ stato quel gran massone di tuo padre che mi ha fatto cambiare le carte in tavola. E capisco che ormai la mia condanna a morte è segnata, ma così  non avrete mai i soldi! Una sola condizione chiedo in contropartita e non solo ti do tutto ma anche questa: la prova che tuo padre è il portatore delle trattative della mafia. Questo è il pizzino che ho sottratto dalla sua borsa un giorno ospite qui, mentre credevate che io non ci fossi, o poco ve ne importava.-

-Quale è questa condizione?-

-Devi lasciare Teresa!-

-Mai!-

-Allora non mi rimane altro che portare tutto al mio amico Montalbano! Sono costretto dalla vostra condanna a morte a denunziare tutto.”

Ci fu il rumore inequivocabile di una colluttazione e il ringhio di Alberto:

-Pazzo, Pazzo! T’ammazzo questa volta!-

Dopo un po’ mentre si sentivano ancora colpi, il netto rumore della porta che si apre.

-Alberto?!-

-Teresa …  ho sentito un tonfo e …  l’ho trovato a terra svenuto, è inutile, non riesco a farlo rinvenire … -

-Mio dio!-

-Portiamolo subito in ospedale!-

-Papà! Papà!”

Il nastro girò ancora ma non vi era più niente inciso, solo il silenzio di una casa vuota.

“Dottore Montalbano, i soldi in questione non erano così tanti, ma i miei clienti ragionano diversamente dagli uomini d’affari comuni, ne fanno una questione d’onore.”

 

 

Dopo qualche mese Teresa andò a trovare Montalbano.

“Un giorno presa dalla nostalgia andai a prendere un vaso con i sassolini e sotto ho trovato questi!”

 Mostrò pietre preziose e monete d’oro.

“Non mi appartengono! I sassolini sono il vero tesoro che mi ha lasciato papà!”

 

Fine

           

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

Chiedo pirdunanza al Maestro Andrea Camilleri per questo atto di presunzione, è stato solo un atto d’amore verso la sua Arte e prometto solennemente di non farlo più.

Siculiana, 22 luglio 2009

Alphonse Doria

      

 

 

      

 

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

       

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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