sintesi convegno archeologia

SINTESI CONVEGNO ARCHEOLOGIA
Sabato, 10 marzo 2007 alle ore 18,30 alla Torre dell’Orologio nella sala consiliare del Comune “Ingegnere Antonino Consolo” vi sarà il convegno dell’Associazione Pro Loco Siculiana, patrocinato del Comune di Siculiana: -SICULIANA prima indagine sul patrimonio archeologico- condotta da Alphonse Doria. Frutto di una ricerca sul tutto il territorio di Siculiana e zone limitrofe, sono stati censiti ben 23 siti archeologici tra necropoli, aree di frammenti e strutture, effettuate centinaia di fotografie, parte saranno mostrate durante il convegno. Il presidente della Pro loco Siculiana Alphonse Doria presenta tale lavoro come stimolo per continuare lo studio, la valorizzazione e l’utilizzo immediato tramite strutture adeguate (come passerelle) per un turismo culturale, magari nelle stagioni di meno flusso, come la primavera e l’autunno. Questa ricerca viene messa a disposizione dell’Amministrazione Comunale nonché a gli interessati tutti. I lavori del Convegno saranno diretti dalla professoressa Patrizia Iacono (Vice Presidente dell’Associazione Pro Loco Siculiana). Interverranno: Il Sindaco del Comune di Siculiana dottore Giuseppe Sinagulia, Assessore Promozione al Territorio Gerlando La China, Assessore Pubblica Istruzione e Cultura Maria Samaritano. Chiuderà i lavori il professore Ignazio ALESSI (Ispettore Onorario ai Beni Archeologici).

La parte centrale e importante di tale indagine è il censimento. Le centinaia di foto e le individuazione cartografiche di ogni sito.

SCOPI ITINERARI TURISTICI
VALORIZZAZIONE E CONSERVAZIONE BENI ARCHEOLOGICI
INTRODUZIONE
Quanti di noi Siculianesi in età di provare a superare i confini dei nostri quartieri e così avventurandoci per le limitrofe campagne ci siamo imbattuti in queste grotte intagliate nella viva roccia e distesi dentro ci siamo riposati scrutando il paesaggio. Quelle grotte, quei posti, per noi ragazzini avevano qualcosa di suggestivo, di interrogativo, capivamo che la semplice e comune definizione “grutti saracini” non soddisfaceva la nostra curiosità. Poi si cresce e nascono altri limiti da superare altri interessi, ma non appena si trova uno spazio di silenzio sorgono le reminiscenze giovanili così nei miei anta mi ritrovai campagne, colline e montagne a ripercorrere i sentieri della mia tenera giovinezza, ricercando risposte più significativi ai miei interrogativi.
Penso, comunque che questo mio lavoro possa servire alle Amministrazioni Comunali, presente e future, come stimolo alla loro sensibilità culturale e per il futuro sviluppo del nostro territorio, a programmare e realizzare infine attività rivolte alla ricerca, allo studio e alla valorizzazione e conservazione dei valori archeologici, nonché artistiche, storiche e paesaggistiche. Sono queste risorse che possono creare nuove possibilità di lavoro. Con un giusto monito a chi, con il falso e spicciolo sviluppo personale degrada e distrugge definitivamente segni della nostra antica civiltà dal valore inestimabile.
Il nostro paesaggio, sia nelle sue bellezze storiche artistiche, sia naturali, va protetto per un dovere di riconoscenza del passato e un dovere ereditario verso il futuro. Amaramente questo dovere non viene sentito. Il paesaggio siculianese di recente è stato violentato proprio nei cinque colli dell’orizzonte. I cinque monti d’argento su campo rosso delle insegne dei Chiaramonti, ancora presenti nello stendardo del comune. L’ultimo monte verso est è strato storpiato dall’amministrazione comunale di Agrigento autorizzando l’istallazione di dieci giganti metallici che falciano l’aria in nome dell’energia alternativa, ri Lo studioso che ha ricercato la civiltà primitiva della Sicilia, non è riuscito a trovare tracce evidenti dei numerosi insediamenti che cingevano i promontori. Non vi è una direzione privilegiata nelle aperture delle grotte, ad esempio mentre il loculo numero 1 di Pietre Cadute apre verso sud i loculi 2;3 volgono verso ovest, quelli di Siculiana Marina e di Lo Mbiso tutte verso nord, eccetera. Queste numerose grotte, così dette a forno, perché presentano la volta arcata, raramente irregolarmente piana. In alcune grotte vi è alloggio per tre loculi come Pietre Cadute 1, oppure in Cantamatina loculo 40 con due vasche, o ancora Castelluccio i loculi 55;56;57. A Branda è sorprendente perché ogni grotta ha diversi incavi e di diverse grandezze, oltre ad avere trovato un loculo a livello con il terreno e l’arcata costruita con pietre. Riportandoci al pensiero di questi antichi abitatori possiamo costatare del loro culto per i morti, in tali loculi adoperati più volte e utilizzati come sepolcri. Nel concetto vivo del ka, ancora presente nella nostra sicilianità, riserva mentale. -Sempre per caso mi vengono in mente le parole del Giudice Falcone: “La cultura della morte non appartiene solamente alla mafia: tutta la Sicilia ne è impregnata. Da noi il giorno dei morti è festa grande: offriamo dolci che si chiamano teste di morto, fatti di zucchero duro come pietra. Solitudine, pessimismo, morte sono i temi della nostra letteratura, da Pirandello a Sciascia. Quasi fossimo un popolo che ha vissuto troppo e di colpo si sente stanco, spossato, svuotato, come il Don Fabrizio di Tomasi di Lampedusa. Le affinità tra Sicilia e mafia sono innumerevoli e non sono io certamente il primo a farlo notare. Se lo faccio, non è certo per criminalizzare un popolo. Al contrario, lo faccio per far capire quanto sia difficile la battaglia contro Cosa Nostra: essa richiede non solo una solida specializzazione in materia di criminalità organizzata, ma anche una certa preparazione interdisciplinare.” (pag. 86 Cose di cosa nostra di Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani) La tradizione della festa dei morti si perde nella notte dei tempi ed ha un valore antropologico, senza alcuna comunanza con la violenza o il pessimismo di un Popolo. Per potere penetrare il significato di tale usanze basta osservare i Maori, la consustanzialità fra il morto e le sue ossa è tale che non fanno distinzione. (pag. 75 The Maori – Elson Best) “Quando gli spiriti raggiungeranno maggiori esigenze logiche, si dirà che le ossa ‘rappresentano’ il morto, lo sostituiscono, ne sono il simbolo. (…) Il possidente delle ossa, e particolarmente dei crani, può essere assai vantaggioso, poiché mette in condizione di disporre della forza mistica del morto.” (pag. 280, 281 L’anima primitiva – Lucine Lévi Bruhl)- (Tratto da DON FABRIZIO E LA VERITA’ di Alphonse Doria pubblicato nella rivista L’ISOLA Anno VII n°1 Gennaio Febbraio Marzo 2005).
Il ka, l’impulso vitale, è la forza che consente all’individuo con il suo corpo a trionfare sulla morte, pertanto necessita del supporto materiale, di nutrimento e di conservazione del corpo dal degrado dell’effigi del defunto. Questa concezione presente nei popoli del Mediterraneo dagli albori dell’umanità, portò alla celebrazione della vita oltre la morte, alla conservazione del corpo e dei suppellettili a suo corredo.
Tanto basta nel costatare il numero di queste grotte, che si succedono in diversi pendici, ora isolati ora a gruppi, per potere affermare che queste tombe furono d’una popolazione che visse a clan nei vari punti citati. I loculi nell’interno presentano in alcuni intagli precisi operati con utensili metallici, altri, invece, meno precisi come i loculi di Siculiana Marina 10;11. Si vuole pensare che i primi siano state riutilizzati dai Siculi e dai Bizantini, mentre quelli con intagli meno precisi siano Sicani.
fiutati dagli agrigentini che non li vollero a largo di San Leone. Allora mi chiedo, anche se il territorio fa parte del comune di Agrigento, la coscienza democratica di chi detiene un potere non avrebbe il dovere di chiedere l’opinione all’interessato che avrà infranta la propria risorsa? E il paesaggio è una risorsa soprattutto economica, anche perché, da ovunque si guardi l’orizzonte sono presenti questi mostri, lasciando un senso di desolazione irredimibile che danneggia fortemente il turismo. Chi pensa alle risorse energetiche alternative come: il vento e il sole, deve considerare come priorità la difesa paesaggistica, valutando differenti risorse come il diesel ecologico e altro. L’impegno morale deve essere la difesa del nostro paesaggio come grande risorsa culturale e politica. La Dichiarazione Euromediterranea sul turismo e lo sviluppo compatibile del 1993 “impegna i Paesi firmatari facenti parte dell’area mediterranea ad orientare il futuro del turismo nella prospettiva della conservazione delle risorse naturali e di quelli culturali.” Così anche Agenda XXI. (PROGETTI PER UN SITO MINORE a cura di Giuseppina Limblici). Non vi è più nessun Don Chisciotte contro, nella collina dei mulini a vento.
Questa ricerca, per quanto approssimativa, come ho potuto fare, sulle vestigia delle antiche abitazioni che s’incontrano nel territorio di Siculiana, cercherà di dare qualche dato in più sugli antichi abitatori di queste nostre contrade, oltre ad un censimento dei loculi e dei siti.
La mia ricerca non possiamo definirla scientifica in maniera ortodossa perché non ho tenuto conto dell’errore teleologico, pertanto non ho separato il presente dal passato, considerando avvolte involontariamente il presente come conclusione del passato. Tuttavia, le mie speculazioni viste in maniera letteraria, hanno la possibilità di spaziare dove la scienza non può, magari con il valore della probabilità per un possibile stimolo di ricerca scientifica.
Le grotte, come comunemente si chiamano, che si costatano in alcuni punti elevati, simili in molte montagne della Sicilia, dimostrano che il territorio di Siculiana è stato abitato fin dalla più remota antichità. Per territorio di Siculiana intento pure zone limitrofe che sia per accessibilità, sia per il reale possesso sono appartenuti e appartengo a Siculianesi.

Serie di frammenti. Il frammenti di bacino segnato con 1 presenta una invetriatura trasparente su decorazione tracciata in bruno e campita in verde e giallo, probabilmente del periodo arabo- normanno (XI sec.). A sinistra una serie di anse apicate di anfore, brocche e tazze.
Non ho avuto la fortuna ancora di ritrovare dei sepolcri chiusi, sono stati aperti e saccheggiati, per potere indagare sull’epoca e sulla razza, in quanto ogni popolo nelle varie fasi del proprio incivilimento ha avuto l’usanza di dare ai morti onore e sicura sepoltura.
I luoghi visitati esprimono una serenità impareggiabile per il rapporto armonico con la natura circostante. Pazientemente ogni loculo è stato misurato osservato nella struttura, toccato con mano. Il sentimento religioso di questo antico popolo è altissimo, ne ho avuto conferma in contrada Branda dove segni di inconfutabile significato esprimono il concetto del tempo (foto Branda 9) e della luce (foto Branda 3). Purtroppo, il saccheggio continuato delle tombe e del territorio circostante di suppellettili funerari e utensili, tramite rivelatori di metallo, non danno l’opportunità di ritrovamenti. Ma squadre di specialisti organizzate dalla Sovrintendenza Beni Culturali e Ambientali avranno sicuramente risultati importanti. Sperando che tali decisioni di volere esplorare e studiare questi siti non giunga in un inesorabile ritardo.
Da questi loculi cosiddetti a forno non si nota una opera di rifinitura, tale da far risaltare uno stato avanzato di civiltà, però scavati nella viva pietra è senza alcuna incertezza che l’intaglio è stato eseguito con strumenti in ferro, come si evince dal taglio netto e preciso degli spigoli, tutti ad angolo retto, o dalle incurvature della grotta contenente tre loculi e una stanza in contrada Petri Cadute adiacente alla strada poderale. Questa contrada è l’unica che ha un sito segnato come Zona Archeologica. Nella pianura sottostante, in riva al mare, i contadini del luogo e quando sono stati eseguiti i lavori della strada sopra detta, hanno trovato cocci di vasi e avanzi laterizi, basamenti di case di abitazione che dimostrano d’un’antico insediamento urbano. E se oggi ben poco, o quasi nulla, rimane dell’antica città, se ne deve ricercare la causa nella frana che, staccatasi ai piedi di quella collina, travolse nella sottostante valle tutto ciò che vi era da antico oltre l’erosione del mare continua della costa.
In tutto il territorio siculianese si sono ritrovati gruppi numerosi o meno di loculi sepolcrali denotando che tali genti vivevano, lavoravano in quei luoghi in piena armonia senza il bisogno di grande strutture ma abitazioni con muri alzati appena un metro e poi ricoperti con canne e paglia. Le loro strutture abitative spesso non richiedevano nemmeno strutture in muratura ma semplicemente una struttura portante con le “ferle” della agave e un rivestimento con le canne. Questo genere di costruzioni chiamati “pagljara” venivano adoperati da i nostri contadini in campagna fino a qualche anno fa ora sembrano scomparsi sostituiti o con la pura desolazione dell’abbandono poderale o con delle costruzioni in muratura per villeggiare il fine settimana.
Non guerreggiavano ma coltivavano la terra e allevavano il bestiame. Appunto questo carattere mite portò la colonizzazione continua dell’intero arcipelago Sicilia. Tale popolo indigeno conveniva ai colonizzatori i quali fornivano il nutrimento e l’approvvigionamento di derrate alimentari, così convissero accanto a civiltà di grande evidenza come la fenicia, la greca e la romana, la civiltà siciliana in armonia con la Madre Terra e per tanto meno evidente ma più giusta delle altre. Lo sfruttamento del territorio fu intensivo sotto il domino romano con la conquista di Marcello nella seconda guerra punica (212 a.C.). Nella sostanza nessun apporto fu rilevante a livello culturale, ecco perché non sono state trovate grandi insediamenti romani, i quali rivoluzionarono il paesaggio per l’intensivo sfruttamento agricolo e gli insediamenti agrari pianificarono una struttura amministrativa. Perciò i segni della dominazione romana sono più evidenti nelle campagne e nelle sontuose ville ai centri dei latifondi come quella di Piazza Armerina. Anche il sottosuolo fu sfruttato con metodo e Siculiana ha qualcuno di queste antiche miniere. Miniere che alcuni possono essere stati adoperati ancora prima per estrarre lo zolfo per le loro funzioni religiose. Molti furono gli schiavi e i coloni deportati per lavorare la terra, spesso guerrieri che aggiunsero al mite carattere dei Siciliani, quello dei rivoluzionari.
Di estrema importanza archeologia è il Monte Caricatore, Monte San Giuliano, dove nel versante sud, strada per Siculiana Marina, di fronte il casello ferroviario, vi sono i silos interrati, usati per millenni, prima dai Sicani, dopo la rivoluzione neolitica, poi dai Fenici e via di seguito fino al 1800.
Il monte Caricatore ha alle sue pendici il fiume Canne. Il fiume anticamente era navigabile, permettendo alle navi cariche di mercanzie di uscire a largo senza essere facilmente controllati dai pirati,ora irrimediabilmente danneggiato dalle inutili argini in cemento armato, visto che ormai era ridotto a un semplice fiumiciattolo, che escludono qualche possibile ricerca archeologia nelle rive del suo corso. Proprio la presenza di questo fiume ha fatto considerare seriamente a storici come: Santi Correnti, Duri Samio Vibio e Stefano Bizantino che l’antica Camico prese il nome dal fiume Canne e diversamente Bucarto che il fiume ha preso il nome della città. (LA SICILIA IN PROSPETTIVA G.A.Massa). Cluverio descrive il fiume Canne e scrive: “al di qua un miglio ed altrettanto dal mare, evvi una piccola terra in aspro sito e fortificata per natura, che gli abitanti volgarmente dicono Siculiana. Questa pel suo sito detto avrei essere l’antica città di Camico;” (DIZIONARIO TOPOGRAFICO DELLA SICILIA V.Amico)
Da Considerare che SICULIANA, secondo etimologi affermati assicurano che deriverebbe dalle parole latine SICUL JANUA (Porta dei Siculi o della Sicilia) con precisa considerazione al fiume Canne ed all’importanza del Caricatore, considerando tale via come accesso alla Sicilia intera
Il fiume Canne porta serie considerazioni sulla locazione della Erbesso, quando fu considerata il granaio di Roma. “Monte san Giuliano sarebbe derivato il toponimo Erbesso che in idioma punico significherebbe, appunto ‘luogo tutto grotte’ (LA SICILIA IN PROSPETTIVA G.A.Massa) … Ma è altrettanto plausibile l’ipotesi che ritiene questo termine la grecizzazione dell’etimo Erbesso, che avrebbe le sue origini della dea Hera, alla cui divinità sarebbe stato eretto un altare.” (LA COSTA SICULIANESE A. Casatuto)

La Casa Principesca di Serra Lunga, dimora del principe Fitalia, ancora prima antico monastero (forse benedettino), e andando in tempi remoti, antica fortezza. Domina rigogliose campagne vicine. All’interno vi è uno splendido e ambio cortile con una profondissima cisterna sotterranea, in un lato tra i ruderi si nota l’ampia chiesa, i soffitti nelle stanze superiori in stile gotico, nelle stalle i resti di antichi affreschi sui muri tra le mangiatoie. Uno straordinario tunnel scavato nella roccia da gallerie sotterranee scende fino alla pianura antistante in riva del fiume Canne a poca distanza dal Caricatore di Monte San Giuliano, l’ingresso a questo lunghissimo tunnel segreto è completamente ostruito, ma si nota l’arco e alcune decorazioni in affresco. Tutto fa pensare alla vera e antica fortezza di Kokalos descritta da Diodoro Siculo. Ma piace pensare che la mitica Camico sia il massimo comun divisore di tutte le località siciliane, perciò ovunque nell’immaginario di noi tutti. Tratto da I PALAZZI SIGNORILI di Alphonse Doria pubblicato sul sito WWW.SICULIANA.NET.

TRA MITO E STORIA

Il mito più bello, a mio avviso, dell’origine della terra di Sicilia è quello che uno dei lampioni di fronte alla Prefettura di Agrigento (gli stessi si trovano in via Macqueda ai Quattro Canti di Palermo) mi narrò (foto Palermo 1). Tre ninfe, simbolo della natura, avvenenti e fatali, perché furono testimoni dell’inabissamento di Atantlide, dal ritorno di un lungo peregrinare dai posti più remoti e più magnifici del pianeta, dove crescevano i frutti più dolci e gli alberi più forti, i giardini più rigogliosi, avevano raccolto, con un po’ della stessa terra, questi doni della natura. Mentre tornarono furono attratti e ne rimasero ammaliati di un tratto di mare chiaro e brillante dove un cielo azzurrissimo si specchiava. Presi da questo amore si disposero a triangolo e dalle loro vesti lasciarono cadere quanto raccolto nel viaggio. Da lì nacquero i promontori: Capo Pachino, Capo Peloro e Capo Lilibeo. Poi i colonizzatori ne fecero una terra abitata da mostri: rozzi Ciclopi, Giganti sconfitti e inospitali cannibali Lestrigoni. Come è vero ma di questi mostri e popoli selvaggi il territorio di Siculiana non ne da traccia alcuna come ho scritto precedentemente, ma bensì su Monte Stella, fino ad alcuni anni fa vi erano resti del tempio (di forma circolare sono rimasti intagliati nella roccia alcuni gradini) della grande dea Madre (Hera). Poi dalle tracce e disposizioni dei siti l’unico mito che viene spontaneo è quello di Demetra, dea del grano, talaltro ancora oggi solennemente celebrato ogni anno con la Festa del mandorlo in fiore ad Agrigento. Il ratto della figlia Persefone nel celebrare il risveglio della natura, con canti di gioia e di speranza, oggi con tutti i Popoli del mondo nel rispetto delle loro diversità, contro una omologante cancellazione identitaria, all’ombra, non a caso, del tempio della Concordia. Quasi una continuità dei nostri antichi abitatori di epoca insicura e della loro prevalente storia di agricoltura. Il mito racconta che Demetra abbia, proprio ai siciliani prima ancora che agli ateniesi, donato il frumento.
Il primo siciliano ha circa un milione di anni, è dell’età pleistocenica (come scrive il Prof. Santi Correnti nella sua: STORIA DELLA SICILIA.) Dove si legge, pure, che nei graffiti di Lèvanzo (Egadi) e delle grotte dell’Addura del monte Pellegrino di Palermo, l’arte trova le sue prime espressioni, nella storia della civiltà umana.
Sappiamo veramente poco dell’età dal eneolitico al neolitico in Sicilia (dal 7.000 circa al 2.500), perché come scrivevano i panteologi Baldini e Recami le vestigia greche e romane sono talmente ricche che la ricerca archeologica si accentrata sul periodo classico. Però si può argomentare di una civiltà indigena che viene soprafatta da quella colonizzante ellenica, a prova di tutto questo, in particolar modo, sono le bellissime anse a rocchetto dei vasi eoliani del neolitico siculo delle isole Eolie, o le ceramiche di Sreafelchio, dipinte in nero opaco sul fondo rosso vivo con nuovi motivi geometrici, gli ultimi oggetti di civiltà siciliana sono quelli di Pantalica, nei monti Iblei, ceramiche rossolucide, anfore cuoriformi, coltelli falcati, pissidi globulari, poi vi fu la sopraffazione della civiltà greca.
Ma chi furono i primi abitatori della Sicilia? I rozzi e mitici Ciclopi, divenuti Sicani, “da Sicano figlio del ciclope Briareo e primo re di quella gente che avrebbe preso poi il suo nome” come afferma nelle sue “Memorie Agrigentine” G. Picone? Oppure Giustino nel libro IV, 2 scrisse: “Estinti i Ciclopi, Cocalo imperò nell’isola”. (Siculiana Racconta di P.Fiorentino pag. 15)
Voglio riportare una curiosità narrata da Tommaso Fazello in De Rebus Siculis: “Distante dalla terra del Mazarino un miglio nel 1516, nel fabbricarsi una casa del Conte Don Giovanni Branciforte padrone del terreno, nel cavarsi le fondamenta, si trovò un cadavere di Gigante alla grandezza di circa 20 cubiti (1 cubito è 44 cm.) di voce in voce per la contrada, tutti gli abitatori, col Conte e la Contessa sua moglie Emilia accorsero a vederlo; ma la Contessa gravida alla vista dello smisurato cadavere, con la testa come una botte, n’ebbe tanto orrore a vederlo che abortì. Quando il cadavere vu preso si scompose, ma rimasero solo i denti mascellari, ognuno dei quali pesava cinque once.”
I mitici giganti li troviamo nella Bibbia Genesi (6;5): “C’erano i giganti sulla terra a quei tempi, ed anche dopo, quando i figli di Dio s’accostarono alle figliole dell’uomo e queste partorirono loro dei figli. Sono questi i famosi eroi dell’antichità.” Spiega con parsimonia nella nota de-La Bibbia Edizione Paoline a pagina 16 e 17: “Arcaica e misteriosa narrazione che, inserendo una spiegazione sull’origine dei leggendari Giganti, protagonisti di racconti popolari orientali, esseri risultanti dall’unione di individui sovraumani (i figli di Dio, cioè gli angeli) e donne terrestri, cerca di puntualizzare la progressiva degenerazione dell’uomo. …”
A mio modo di pensare i giganti e i ciclopi servirono ai colonizzatori per tramandare le loro gesta di conquista, come Davide, piccolo pastore, abbatté il gigante Golia, o il mitico Ercole sconfisse con la forza il gigante Erik, semplice personificazione del monte Erice, o Ulisse sconfisse in astuzia il ciclope Polifemo, semplice personificazione del vulcano Etna, l’occhio metafora del cratere principale. Pertanto rimane la Sicilia terra di conquista e dei conquistatori che scrissero la storia. Sotto queste pagine scritte rimangono le riserve mentali che in ognuno di noi Siciliani persistono. Certuni danno origine alla legenda dei ciclopi grazie ad alla scoperta di alcuni fossili di elefante nano nella zona orientale della Sicilia, come il ritrovamento dei fossili di dinosauri diedero origine alle leggende dei draghi. Sembra che gli studiosi non hanno dubbi, oltre le leggende e miti vi sono come primi abitatori i Sicani.
I Sicani non si sa quando arrivarono e da dove arrivarono.
" Si dice che i più antichi ad abitare una parte del paese fossero i Lestrigoni e i Ciclopi, dei quali io non saprei dire nè la stirpe nè donde vennero nè dove si ritirarono… I primi abitatori dopo di loro sembra che siano stati i Sicani, a loro dire anteriormente ai Lestrigoni e ai Ciclopi per il fatto che erano autoctoni, mentre secondo verità che erano degli iberi, scacciati ad opera dei Liguri dal fiume Sicano, che si trova appunto in Iberia. Dal loro nome l’isola fu chiamata Sicania, mentre prima era Trinacria; ed anche ora essi vi abitano nella parte occidentale. Espugnata che fu Ilio, alcuni dei Troiani sfuggiti agli Achei approdarono con le loro imbarcazioni in Sicilia, ove si stabilirono ai confini dei Sicani; e tutti insieme ebbero il nome di Elimi: Erice e Segesta furono le loro città. Ad essi si aggiunsero e con loro abitarono, alcuni Greci della Focile che, al ritorno da Troia, erano stati dalla tempesta sbattuti prima in Libia e di là in Sicilia. Dall’ Italia, dove abitavano, i Siculi, che fuggivano gli Osci, passarono in Sicilia […] Dei Siculi ce n’è ancora in Italia, anzi la regione fu appunto chiamata Italia da Italo, un re dei Siculi, che aveva questo nome. Passati dunque in Sicilia in gran numero, vinsero in battaglia i Sicani, che confinarono nelle regioni meridionali e occidentali e fecero sì che l’isola, da Sicania, si chiamasse Sicilia. Compiuto il passaggio, occuparono e abitarono le zone più fertili del paese, circa trecento anni prima che vi ponessero piede i Greci. ". (Tucidide VI,2,3,4 Storia)

Dal preziosissimo libro NEL REGNO SICANO DI KOKALOS di Ignazio Alessi e Giuseppe Vaccaio a pagina 13 leggiamo: “Non si sa quando i Sicani arrivarono in Sicilia. C’erano da così lungo tempo da aver perduto il ricordo della loro lontana origine. Si consideravano, in assoluto, i primi abitanti dell’Isola. (…) Uno sguardo alla Sicilia preistorica porta ad inserire i Sicani nell’ambito dell’espansione etnica che circa 4.000 anni fa interessò il Mediterraneo orientale e centrale. Ed in particolare a ritenerli i portatori in Sicilia di quella cultura trans marina conosciuta come ‘civiltà castelluccia’. Arrivarono in un’Isola poco popolata seguendo la rotta Cipro-Creta-Malta e si stabilirono prima sulla costa meridionale e poi in tutta la parte centromeridionale. Diedero vita a numerosissimi villaggi e controllarono le coste e le aree montane interne. Venivano dall’oriente da una patria che aveva strettissimi rapporti con Cipro e l’Anatolia centrale, in un tempo in cui la cultura minoicocretese collegava e univa l’oriente mediterraneo e la Grecia continentale. Il loro stesso nome deriverebbe dall’antica lingua accadica, parlata dalle popolazioni semitiche della Mesopotania, precisamente dal termine sakanu col significato di stabilire, abitare, nel senso di ‘coloro che erano stabiliti, gli antichi abitanti’.
Dunque i Sicani sono gli antichi abitatori della Sicilia stando al termine precedentemente detto SUKANU. Oppure, come afferma qualcuno, questo popolo non è mai esistito? E’ solo un mito? Possibile che i storici: Erodono, Diodoro Siculo, narrano di fantasmi? E allora dove sono andati? Visto che tre mila anni di silenzio li cancella totalmente dalla storia? Solo chi ha avuto la fortuna di trovare le loro tombe ancora chiuse, e non riutilizzate d’altri, ha potuto interrogare quelle ossa, gli arredi funebri, e così conoscere la loro testimonianza. Io ho potuto semplicemente rimarcare le loro orme nelle colline da loro abitate e misteriosamente abbandonate con i loro sepolcri scavati nelle pareti. Allora viene spontaneo mettere a confronto come mai una civiltà che viveva in clan in piena simbiosi con la natura, abbandona i suoi morti i suoi posti per sempre? Un popolo dedito alla agricoltura alla pastorizia, dall’oggi al domani, scompare totalmente dalle campagne. E nessuna riforma agricola nei vari secoli riportò ad abitare le campagne siciliane. Il motivo si può ascrivere nel cambiamento strutturale del territorio siciliano. In primo luogo soggetta alle continue colonizzazione dei vari popoli: Fenici, Greci e Romani; la Sicilia fu deturpata nella sottrazione non solo della rendita, ma anche del capitale di tutto il legname della grande foresta. Tale legname fu la fortuna e la risorsa principale di questi popoli che costruirono imbarcazioni riuscendo ad espandersi in tutto il mondo. Fu una sciagura mortale per il nostro Popolo Siciliano. La mancanza di foresta cambiò il clima e la natura stessa del territorio. I grandi corsi d’acqua si prosciugarono, quasi, alcuni fiumi come il Canne navigabile divenne un fiumiciattolo, molti divennero torrenti, “che dopo le rovinose piene invernali, si riducono nel periodo estivo ad un piccolo filone, con frequenti sparpagliamenti di lenta scorrevolezza, stagnanti in molti punti, ricchi di vegetazione palustre, ideale ricetto per gli anofeli, principali vettori dell’endemia malarica in Sicilia. (…) Ciò rese l’Isola, fin dai tempi remoti, soggetta alla malaria e spinse gli insediamenti urbani verso le alture.” Tratto dal-LA MALARIA IN SICILIA di Carmelo Vetro.
Ecco dove sono andati a finire i Sicani, in centri urbani nelle alture da dove ogni giorno si spostavano per andare a coltivare le terre. Presto le organizzazioni dei clan indigeni si trasferirono in questi centri urbani coabitati anche dai colonizzatori. Da questo momento nasce la riserva mentale sicanasicula e le regole del clan ben distinte da quelle del centro urbano e del potere costituito.
La malaria seminò vittime nei secoli dei secoli, fin quando, da malattia coloniale diviene malattia di classe. Leggiamo, appunto la relazione del medico La Russa per l’epidemia di Misilmeri nel 1870, riportata dal Pitrè: “Un’altra calamità non meno triste la si è la ignoranza di quella plebe, la quale ama piuttosto morire, che sottoporsi al cetrato chimico ed ai preparati di china.” Il medico La Russa parla con disprezzo dell’ignoranza della plebe, e non della inadempienza unita alla diffidenza generata dalla consapevolezza del proprio sfruttamento. Il popolo Siciliano si libera definitivamente della malaria solo con il DDT americano del 1945, pagato a caro prezzo sia con le vite umane che con la distruzione di beni materiali sotto il loro nefasto bombardamento.
Ritornando allo studio dei Sicani, e dei loro reperti viene spontaneo distinguere tra i manufatti indigeni e quelli importati. Il distinguo accurato di tali reperti mette alla luce la provenienza, pertanto l’influenza che ha subito la popolazione indigena. Precisando con accuratezza possiamo dire l’assoggettamento del clan, sicuramente culturale, probabilmente anche di dominio. Bisogna considerare l’arcipelago Sicilia, come un continente per le sue diversità capillari che vi sono da un fazzoletto di terra ad un altro. Ancora oggi nei vari idiomi locali troviamo differenze sostanziali di pronuncia. I reperti in oro di Sant’Angelo Muxaro, denotano, di certo un influenza della cultura micenea, come la decorazione a sbalzo di processione di torelli nella scodella, accanto ai manufatti in terracotta con decorazioni geometriche brune a guazzo su fondo rossigno di cultura indigena.
Approfondiamo ancora di più sul Popolo Sicano, purtroppo lo possiamo fare con le indagini già eseguite nei vari scavi e ritrovamenti di altre zone. Viene evidente una teoria, senza niente di consistente comprovante, però analizzando un sottile distinguo tra cultura indigena e dei visitatori, che l’epoca neolitica indigena è convissuta con le varie epoche che si succedevano di conseguenza importate dai visitatori. Un po’ come è successo in America quando gli europei sbarcarono nel nuovo continente esportando una evoluzione storica ben diversa dalla indigena. Possiamo considerare un concetto di progresso tecnologico più avanzato. Alla fine i visitatori dominarono e distrussero più di cinquemila nazioni lasciando loro delle piccole riserve territoriali per l’agonia finale. I nostri clan indigeni Siciliani vivevano in questi villaggi, venivano intaccati leggermente dalla cultura dei visitatori, ma rimaneva integra la loro. Le frontiere di questi sviluppi sono le isole Eolie con il commercio dell’ossidiana. Eppure i bronzetti, di inconfutabile manifattura indigena, di Sant’Agata di Militello, di Centurie e di Vizzini, sono databili nell’età del ferro (settimo secolo a.C.), appena prima della completa sopraffazione ellenica. La civiltà Siciliana conviveva con quella dei visitatori, perché conveniva nello scambio produttivo di derrate alimentari, tanto da coesistere in simbiosi città come Akragas e una miriade di villaggi dislocati in tutto il territorio limitrofo. In conclusione, quando il popolo indigeno ha dovuto abbandonare i propri villaggi per integrarsi nei centri urbani dei colonizzatori lasciò dentro la sua cultura, le sue regole, quelle del clan di appartenenza. Così il Siciliano ha avuto dentro di sé la sua riserva, non riserva territoriale ma mentale.
Così ho conferito nella recensione di: LA CITTA’ RITROVATA di S. Vento il 7 maggio 2005 pubblicata sul sito internet WWW.PROLOCO-SICULIANA.IT: Questa “sicilianetà”, Salvatore Vento se la porta dietro, se la porta dentro e spero che l’Autore mi sia d’accordo. E’ come una riserva, simile a quella territoriale degli indiani d’America, o degli aborigeni australiani, noi l’abbiamo nella nostra mente, ed è lì che ci rifugiamo per rimanere ad esistere come Popolo. Nello sguardo silenzioso, nel pensiero non detto, lì vi è la riserva dove ogni indiano di Sicilia si rifugia come difesa della sua identità. Questa riserva di pensiero ha anche i suoi lati oscuri, però saputa utilizzare come strumento è efficace per lasciarci liberi pensatori e distaccati da ogni lanterna ideologica nella giusta distanza tanto quanto le nostre ali non si brucino.
Mi viene d’aggiungere, quando ci dicono del nostro buonumore, delle nostre battute che provengono dal nostro modo di sentirci infondo liberi nella mente. Perché Budda sorride? Perché sa di essere libero!
Il mio intento è di comunicare il senso di coerenza che si ritrova con se stessi in questi luoghi, ancora integri. Dove lo sguardo volge in uno spazio tra presente e passato nel ritrovamento della propria terra dove liberare quello spirito relegato nella riserva mentale che noi Siciliani siamo costretti, e abituati a fare vivere. Il mio intento è di suscitare ai giovani l’entusiasmo della ricerca delle proprie orme passate in questa, forse, unica realtà che è la Sicilia con i suoi multi strati storici. Capire che questo è il nostro oro da vendere ai viaggiatori di tutto il mondo. Ora da proteggere, difendere, dai continui assalitori pronti a distruggere per il loro basso interesse. Come abbiamo visto tutto il passato vive in noi, nelle nostre parole, nelle nostre tradizioni, nei nostri pensieri, nei nostri sguardi, nella nostra terra, non è un male! E’ solo l’oro dei Siciliani. E ogni paesaggio è il luogo d’incontro tra quei beni materiali da custodire e quei beni immateriali, quella ricchezza spirituale che è in noi.

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Data: Dom, 11 Mar 2007 9:49:40

alphonsedoria,
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SICULIANA – PRIMA INDAGINE ARCHEOLOGICA

da parte di Bruna Alasia

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Uno scrittore interessato al periodo potrebbe scriverci dei racconti
affascinanti! Utilissimo il tuo materiale Bruna

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Data: Dom, 11 Mar 2007 14:51:58

alphonsedoria,
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SICULIANA – PRIMA INDAGINE ARCHEOLOGICA

da parte di le_mot_imaginaire

Di seguito il commento ricevuto:

una terra che potrei amare, se non mi trovassi in questo momento a duemila km,
mi sarebbe piaciuto esserci



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