VIAGGIO A TORONTO

VIAGGIO A TORONTO
Siculiana 25 marzo 2010
Alphonse Doria
 
 
 
“Eccellenza
Non desidero essere coinvolto nelle curiosità che mi potrebbero circondare (almeno per il momento).
Però per quanto riguarda la posizione religiosa di Salvatore Giuliano, devo affermare in qualità di sacerdote che il giovane è morto con il perdono di Dio. Sono del continente e qui lo conobbi due anni a dietro circa, perché mi cercò. Confessò i suoi errori dei quali era relativamente responsabile. Preoccupato solo di salvare sua madre. Deciso a non fare del male a nessuno, ma non a costituirsi: due mesi mi cercò in Isola ed io per salvare un’anima lo esaudii. Si confessò pentito, quanti pochi così ne vidi, mi promise che non avrebbe più sparato salvo legittima difesa, promise come un bambino per paura del castigo di Dio, promise di vivere ramingo e di accettare la morte alla prima occasione in espiazione dei suoi mali.
Lo consolai povero figliolo e lo assolsi, assicurandogli il Paradiso.
Desiderava la comunione ma non mi fu possibile accontentarlo, dato che io non volevo essere troppo notato in Palermo.
E’ però probabile che l’abbia fatta in una chiesetta che io gli indicai di buonora.
Sicuro di non rivedermi più, lasciandomi mi baciò dicendomi: che sarà cosi come me l’ha promesso, ci rivedremo lassù. Dio voglia che sia una pecorella del suo ovile ritornata in seno a Dio. Non sempre il giudizio degli uomini è simile a quello di Dio.
Sta ora a V.E. se è il caso o meno di dare consolante notizia alla sua vecchia madre con autorizzare suffragi.
 
                                                               Umilmente in. G.C.
                                                               Padre Agostino Reni
                                                               Via Pescara Milano – Luglio idì 1950”
(Lettera scritta nel luglio del 1950 da padre Agostino Reni, un prete milanese, al vescovo di Monreale Ernesto Filippi)[1]
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                             Dopo venti anni, era arrivato dal Canada Vicenzu Pumadoru. Lui dice di essermi cugino, ma non ho mai riscontrato questa parentela, poco importa. Lo chiamavamo così perché vendeva pomidori per le strade e abbanniava: “Pumadoru! Pomadoru!”. Mi ricordo che canticchiava con la musichetta dei bersaglieri questa canzoncina: [2]“Garibardi sutta u’ ponti chi vinniva pumadora, la valanza ‘un ci pisava Garibardi si la minava.”
              Dieci anni fa, non lo potrò mai più dimenticare, quella mattina del 7 aprile del 1984, ci fu un trambusto tanto, uscimmo tutti dal bar, era scappato dal macello di don Pasquale Marchetta un vuteddu.
              Don Pasquale stava sparando in testa al povero animale, segnato dal suo destino, quando la bestia all’improvviso si mosse e lui la colpì di striscio. Il vitello fuggì via a testa bassa caricando chi gli stava davanti. Non era la prima volta che succedeva. Così quella bestia ferita correva per le strade di Camico.
             Chi chiudeva le porte e s’affacciava dai balconi, chi invece correva incontro all’animale per catturarlo. In realtà, ogni volta, s’innescava un’aria di festa tra tutti noi, si risvegliava nei nostri animi qualcosa di antico, tanto da interrompere qualsiasi attività in corso e così improvvisare questa specie di corrida. Chi correva di qua, chi di là, le grida: “Cca è!”. I picciotti si paravano davanti la bestia che caricava, spaventata e inferocita. E’ capitato che qualcuno andò a finire scornato in ospedale. Poi si riusciva in qualche cortile a bloccarlo e così infine, stanco per il sangue versato dalla ferita e per le corse, veniva immobilizzato e ucciso. Ognuno a tal punto tornava alle sue cose.
                Quella mattina Vicenzu Pumadoro, preso dall’euforia di quella corrida paesana, prima si tracannò un bel bicchiere di marsala a l’uovo, e poi guardando le fotografie, mise la mano su quella di Giuliano, disteso a terra in quel cortile di Castelvetrano e mi disse tistiannu:
-Cuscì, chistu ‘un è Giulianu!- Pensai, senti che minchiata sta sparando questo …
-Giuliano è ancora vivo!-
-Cuscì, ma ti rendi conto di quello che dici?
-Io mi sono preso il caffè con lui, mille volte, e abbiamo parlato del più e del meno. E’ a Toronto, sta bene, si gode la vecchiaia, si fa la sua partita di populu a carte, non parla molto, ma quello che dice ha la sua importanza.
               Questa notizia è stata come una rivoluzione mentale. Credergli o non credergli? Non riuscivo più a dormirci sopra e più cercavo di non pensarci più mi si presentava davanti con tutta la forza sconvolgente del mistero che avvolge la storia di questa terra nostra di Sicilia.      
              Vicenzu Pumadoru, insisteva, raccontandomi che una volta era riuscito a fargli mostrare le due ferite di moschetto all’addome, quelle di Quarto Mulino. E le ferite c’erano, tutte e due!
             Le mie due figlie: Costanza e Lucrezia, sono più pazze di me, così insieme ai mariti, mi organizzarono il viaggio per Toronto. Il 19 marzo 1986, al mio 55 compleanno mi hanno fatto la sorpresa, il biglietto aereo!
-Ma ju non so nemmeno dove andare? Non abbiamo parenti!
             In realtà, loro avevano pensato ad ogni minimo particolare.
            Non vi racconto il volo in aereo, perché la storia è troppo lunga. Sono stato con le orecchie attupate per tutto il viaggio, sentivo come se fossi dentro ad una bolla di sapone. Palermo, Roma, Amsterdam, Toronto. Da lassù ho visto i ghiacciai e sembrava non finissero mai.
           Arrivai alle quattro di pomeriggio, all’aeroporto trovai i cugini di Gianluca, mio genero, il marito di Lucrezia. Tutto era grande! Loro, i cugini, erano gentilissimi, parlavano siciliano, però a modo loro ed erano contenti di conoscermi.
          Salii su quella macchina che era per tre volte una di quelle nostre. Quando ho detto a loro che con quell’auto sicuramente in piazza non potevano venirci. Si misero a ridere come pazzi e dissero quella famosa barzelletta ritrita:
-In America le strate le chiamiamo stritti e ammeci sono larghe, in Sicilia le chiamate strate e ammeci sunnu stritti!
              Fece finta di averla ascoltata per la prima volta e per essere cortese risi come un imbecille.
              Passai due settimane con questa famiglia pazza sempre in movimento, senza un attimo di tregua. Mi fecero conoscere amici, familiari, mi sono sentito veramente importante.
              Nel loro scantinato avevano una vera armeria. Più di dieci fucili con relativi mirini di precisione. Poi attrezzature per costruirsi loro stessi le munizioni. Non solo, avevano una specie di poligono con tanto di sagoma, movibile. Insomma mi fecero sparare con diversi fucili e pistole. E visto i risultati mi ci trovavo. Rimasero delusi, quando ho dovuto dichiarare la mia avversità alla passione delle armi, anzi, ne ero proprio contrario.
           Non per questo motivo hanno desistito, una mattina prestissimo, di trascinarmi a caccia. Mi portarono su una montagna, mi fecero fare tanta di quella strada che non mi sentivo più le gambe. Poi finalmente uccisero il loro cervo e così siamo tornati.
          Non ho capito quale fosse il loro lavoro, la loro attività economica, perché parlavano solo di caccia, pesca e di un camper, con il quale si giravano il Canada e gli Stati Uniti. Ma me ne sono rimasto con la curiosità dentro lo stomaco e non chiesi a loro mai spiegazioni, da buon siciliano.
          Così mi portarono pure a pescare su la loro imbarcazione che quanto era grande sembrava un piscariggiu.
         Il padre e la madre se ne stavano in giardino ad arrustiri carni nni la tannura. In quella famiglia avevano tutti la passione di mangiare carne a più non posso. Carnivori dai bambini agli anziani! Questa è l’America che ho visto io.
        I due cugini mi hanno dato una grandissima soddisfazione. In quei giorni il discorso verteva continuamente sulla Sicilia, la sua storia, la politica e tutto ciò che un sicilianista come me, incomincia a vomitare fuori con gli occhi spirdati di pazzo. Si, perché mi sono visto una volta per caso allo specchio del bar, mentre parlavo di questi argomenti, e vi giuro che mi sono conosciuto appena. Che hanno fatto i due cugini? Un giorno siamo entrati in un locale dove vi era un baffuto biondo e capelluto, uno di quei vichinghi uscito fuori dalla pellicola di un film, e si fecero tatuare tutt’e due una grande e bella trinacria! Joe, sul cuore e Lillo sull’avambraccio. Volevano che anch’io ne approfittasse di quel maestro, anche se fui molto tentato, ho riflettuto che non era per me più l’età di queste pensate.
       Tutto questo succedeva tra una visita e l’altra al bar Venezia. Loro non lo frequentavano perché era molto distante da dove abitavano, anche se le distanze per loro erano relative. Riflettevo che per spostarmi da Camico e andare a Palermo, che so, o a Catania, per me, quello era un viaggio da organizzare per benino. Loro si spostavano per lunghissimi tratti, da uno stato all’altro, senza ragionarci minimamente.
          Comunque ogni giorno eravamo lì, facevamo qualche partita a carte con i frequentatori, con la speranza di quel fatidico incontro. Niente di niente. Ormai ero entrato in confidenza. Vi erano Siciliani, Calabresi, Pugliesi, insomma ci capivamo tutti.
          C’era chi si metteva da parte a discutere, a me non riguardava, così mi allontanavo per non ascoltare. Con il mestiere mio queste cose o te le impari o hai chiuso bottega da tempo.
          Questo mio modo di comportarmi fu osservato da chi di dovere e questo bastò per avere dato una buona impressione. Tanto che, nei giorni successivi, uno anziano lì presente osservando la mia trinacria d’oro all’occhiello della giacca, mi chiese se ero del partito di Finocchiaro Aprile. Io gli risposi:
-Di Finocchiaro Aprile, Castrogiovanni, Canepa e Giuliano!
           Ormai era l’ultimo giorno, ero preso dalla delusione, di non avere ricevuto nemmeno una conferma della presenza di Giuliano in quel bar, anzi, mi giuravano che non avevano visto nessuno con quelle caratteristiche. I cugini mi avevano lasciato lì, avevano impegni loro, mi venivano a prendere fra un pajo d’ore. Ero passato ai saluti con alcuni di loro e mi ero confidato, della mia speranza, sicuramente l’amaro che avevo dentro usciva fuori. Ad un certo punto il ragazzo biondiccio al bancone, mi chiamò:
-Mister Giovanni! Venga, c’è qualcuno che le vuole parlare.
           Il calabrese seduto accanto, sorridendomi mi chinò la testa per dirmi: vai!
           Seguii quel giovane che mi indicò, una porticina, che tramite una scala stretta e un corridoio, portava in un appartamento privato, un signore in giacca e cravatta mi disse di accomodarmi, facendomi strada. Pensai, ci siamo! Quando entrai vi era un elegante salone e proprio sopra il salotto vi era uno stemma dorato, che io conoscevo abbastanza bene: l’aquila e il leone rampante che sostengono il medaglione con tanto di trinacria circoscritta. Io gli disse a quel signore:
-L’astuzia dell’aquila, la forza e il coraggio del leone, per liberare la terra di Trinacria!
-‘Ass’a benedica!
         Dalla porta accanto era entrato, un elegante signore anziano aiutato dal suo bastone, con atteggiamento austero, nonostante dritto con la fronte larga e un bel sorriso giovane.
          Il sangue mi salì subito tutto in testa, fu un colpo e dentro me pensai: E’ lui!
-Mister Giovanni! Paisà!
          Mi sono sentito scuotere la giacca era il barista, che mi svegliava. Lo stress, la stanchezza mi ha giocato un brutto scherzo, e mi sono appisolato sul divano in fondo al bar. Non so per quanto, dieci minuti? Un ora? Ed ho sognato, è stato solo un sogno. Mi alzai, scuotendo la testa, come un asino che non ha voglia di muoversi, stesi un po’ le gambe e mi avvicinai al bancone:
-Me lo fai un bel caffè? Espresso però!
           Mentre sorseggiavo il mio caffè, dando una taljata panoramica a tutto il locale, proprio nel tavolo di fronte vi era un gruppetto di tre anziani. Uno di questi con una elegante coppola nera in testa, il bastone di legno in mano e due occhiali larghi con i vetri giallo scuri, faceva finta di non guardarmi. Sorseggiai ancora un po’ quel caffè, che non aveva il sapore di quello nostro, e mi avvicinai a quel tavolo.
-Scusate, posso sedermi con voi?
               L’anziano con gli occhiali mi fece cenno con la testa acconsentendo la mia richiesta. Erano tutt’e tre in attesa di una mia spiegazione.
-‘Ass’a benedica. Sono venuto dalla Sicilia, per incontrare una persona speciale.
               Scrutavo quel signore anziano, che rimaneva nel suo riserbo totale e da dietro i vetri degli occhiali si scorgeva il suo sguardo enigmatico, il quale con la mano mi fece cenno di proseguire.
-Un mio parente, mi disse che questa persona speciale l’avrei trovata proprio in questo bar. Già da quindici giorni che sono qui, si è fatto il tempo di tornare a casa, con mio rammarico, senza successo.- Mentre frugavo con lo sguardo nel viso dell’anziano per trovare una somiglianza con Giuliano, anche minima, che non trovavo, però sentivo dentro di me, che quella persona era lui. Una semplice sensazione. –Sono sicuro, non mi chieda perché, che vossia mi può dare una mano d’aiuto.
           L’anziano stette quasi un minuto, che mi sembrò una eternità, a fissarmi dentro gli occhi, dopo si scompose un po’ e mi disse in perfetto italiano e con voce ferma:
-Questa persona per lei deve essere veramente speciale, visto che ha fatto tutto questo viaggio per incontrarlo. Mi tolga una curiosità, come si chiama questo suo parente?
-Vincenzo Taormina, di Camico.
-Vincent Pumadoru?- E sorrise.
           Quel sorriso, come nel sogno di poco fa, mi diede la certezza che era lui.
–Vicenzu Pumadoru … quello che quando arrivava si metteva a banniari davanti la porta “ah! chi bellu pumadoru chi haju! Accattativi u pumadoru!”
            Dentro al bar si misero tutti a ridere, ricordandolo, pure il barista, mentre stava pulendo alcuni bicchieri da vino con il tovagliolo.
           La mia perseveranza e la mia intuizione si erano convogliate in quella persona ed ero certo che quell’anziano, ora che aveva tolto la maschera enigmatica in quel sorriso aperto, era Salvatore Giuliano! Mi sentii come un brivido per tutta la schiena, una eccitazione come quando si percepisce che un momento va vissuto con interezza, perché, quel preciso momento, fa parte della grande storia e non della meschina quotidianità.
           Guardai attorno e  attentamente i due anziani, così, con un soffio di voce e per giunta incerta, fissandolo negli occhi, gli sparai:
-E’ vossia?- Ci fu silenzio, il barista rimase come in un fermo immagine. –E’ vossia, Salvatore Giuliano?
            L’anziano abbassò gli occhi e con la testa fece segno come dire: non è possibile.
-Ma lei crede a Vincent Pumadoro? Quello è un pazzo completo, uno che gli piace scherzare, sparare minchiate all’impazzata.
          Ad un tratto si fece serio e con tono secco sparò:
–NO!
           Quel NO mi piegò in due come se fosse stato un cazzotto dato allo stomaco.
-La vede questa trinacria? Io … è da bambino che credo nell’idea di una Sicilia libera. E non ho mai pensato, un solo istante, che Giuliano abbia sparato al suo Popolo. Ed ho pianto lacrime amare quando hanno parlato della sua morte. Ora se lei fosse il colonnello Giuliano e mandasse via uno come me, senza farsi riconoscere, vossia rinnegherebbe il suo Popolo, la sua Terra, ancora una volta.
            Mi uscirono quelle parole come un raffica di mitra, fissandolo dritto a gli occhi. Lui si tolse gli occhiali e mi appizzò lo sguardo addosso. Il suo volto sembrò subire una metamorfosi assomigliando ora ad un’aquila. Incuteva timore!
-Ho detto no, ed è vero. Ma la verità ha tante facce come un diamante. Ora tu vieni, qui insieme a quegli altri giovani, parenti di tuo genero, perché Vincent Pumadoru ti raccontò di avere visto Salvatore Giuliano, e ti vuoi levare lo sfizio di scoprire la verità! Come se la verità fosse una prostituta con le cosce aperte pronta a farsi fottere di tia!
-Vossia sa, cosa potrà mai significare sapere che Giuliano l’ha fatta in barba a tutti, ancora una volta?
-Cosa potrà significare? Che Giuliano ha venduto la sua Terra, il suo Popolo, per avere salva la vita. Un meschino, un traditore!
-La lotta per l’indipendenza ormai era finita!
-La lotta per l’indipendenza non finisce mai, perché anche dopo averla conquistata la si devi difendere!
-La sua figura storica, il suo ruolo ormai era finito. Era finito il tempo della guerriglia … Vossia è Giuliano!
-No!
-Vicenzu Pumadoru, mi disse che le ha visto pure le ferite!
-Quel fituso, pazzo di Pumadoru, mentre ero a cesso con le brache calate, entrò e mise le dita sopra le mie cicatrici, come San Tommaso a Gesù risorto! Ma quelle non sono ferite d’arma da fuoco, quelle sono frutto dell’operazione chirurgica che mi sono fatto fare alla cistifellea, negli Stati Uniti, dieci anni fa. Mi hanno operato con l’ultima tecnologia dell’epoca.
            Gli altri due si misero ghignare conoscitori dell’accaduto. Mentre guardavo attentamente avevo ormai la certezza che quel volto con le rughe, quello sguardo così penetrante e quel sorriso aperto, erano di Giuliano. Oppure ero io che volevo credere di non avere attraversato il mondo inutilmente? Era più di un intuito, o una impressione, era qualcosa di oggettivo. Per questo motivo mi ero rattristito così tanto che mi si leggeva nell’espressione del mio viso, così piegai il capo sconfitto. 
          Ad un certo punto, si alzò in piedi poggiandosi al bastone, mi fece segno di seguirlo e ci siamo messi in un tavolo in fondo.
         Il barista mise della musica di flauto e chitarra, una voce maschile cantava: “Palumedda janca janca chi ci porti  ‘nta sta lamba?” Rispondeva una voce femminile: “Ju ci portu pani e vinu fazzu la zuppa a lu Bambinu!”
        Le mura del bar, fino a due metri d’altezza, erano coperte di pannelli di legno scuro, pertanto, in fondo, dove ci eravamo seduti, non vi era molta luce, così u zzu Turiddu si tolse gli occhiali e a schiena dritta mi fissò in un silenzio misterioso, che valeva più di mille parole, quel silenzio impietriva. Si! era proprio Salvatore Giuliano e nemmeno mille dei suoi no avrebbero potuto cancellare quella mia convinzione.
-Io ho conosciuto Giuliano, molto da vicino, ma l’ho conosciuto nella maniera giusta attimi prima la sua morte. Porto rispetto alla sua memoria più di chiunque altro.
-Lo sa quanti libri articoli di giornali ho letto? Quante fotografie ho visto e rivisto tante volte, tanto che qualcuna la ho esposta nel mio bar e qualche omu di liggi ha fatto opposizione, ma io, non ne ho voluto sapere. Mi sono fatto un chiodo fisso, di tutta la questione, perché la lotta indipendentista siciliana è finita con vuscenza. Chi ha architettato Portella delle Ginestre, ha lasciato la firma, ma l’ha ben congeniata per uccidere moralmente l’eroe della liberazione del Popolo Siciliano. La sua morte fisica poi è servita per la rassegnazione totale. L’eroe, l’inafferrabile, è stato eliminato, stramazzato a terra, tradito e ucciso, punto!
-Leggo nel tuo cuore attraverso i tuoi occhi e capisco il tuo dramma, per questo oggi voglio farti dono della mia verità.
              Quando ho udito quelle parole, il cuore mi si gonfiò e senza volerlo mi sgorgarono due lunghe lacrime che sentii solcarmi il viso. Così presi il fazzoletto dalla tasca e mi asciugai. Ero pronto a credere ad ogni cosa di quella figura austera di anziano, dal volto imperturbabile, mentre il suo corpo lievemente segnava le sue parole.
              Riprese a parlare, dopo un altro dei suoi silenzi profondi.
-Certi uomini, il destino lo hanno scritto nei loro cuori. Quando poi nella loro vita ci si presenta  il bivio, quel destino, come una forza, prende il sopravvento! E volenti o nolenti, deciderà il percorso da intraprendere di quegli uomini. Noi Siciliani lo chiamiamo destino, forse è il volere di Dio, il daimon platonico, oppure la Terra che si ribella nei cuori dei propri figli. Così, la Sicilia, al suo figlio Turiddu Giulianu, ha dato quella forza, quel coraggio e il profondo sentimento dell’onore, da divenire concretamente la ribellione alle angherie subite, come quelle degli uomini soggiogati dai padroni, la ribellione contro un colonizzatore politico che stava riprendendo le forze dell’oppressione. Turiddu Giulianu è la ribellione al torpore della rassegnazione del Popolo Siciliano. Per questo ancora oggi hanno paura al solo ascoltare il nome di Turiddu Giulianu, perché ancora oggi, nonostante tutto, è vivo nel cuore di ogni Siciliano che subisce ogni ingiustizia sociale e politica. In ogni Siciliano costretto a subire le mortificazioni per i diritti sociali negati, costretto a subire ogni genere di sopruso e illegalità, vi è un intimo segreto, un muto desiderio di riscatto e il loro pensiero va dritto all’icona del riscatto siciliano: Turiddu Giulianu!
-I giovani Siciliani, però, spesso li vedo con le magliette di Che Guevara …
-Se Giuliano fosse stato comunista allora il suo mito sarebbe diventato uno strumento di propaganda dei comunisti di tutto il mondo. Ma non lo fu, come non era, anticomunista. Lottava i ricchi, togliendo i loro soldi, era protetto dal proletariato, non per paura, ma per amore! Basti pensare che il suo luogotenente era un comunista accanito: ‘Aspanu! Poi, quando ci fu la scissione nel MIS, Giuliano si mise con il MIS-DR di Nino Varvaro, comunista, alle elezioni del 1947, fece un patto elettorale con il maggiore esponente del PCI, Girolamo Li Causi. Furono l’evoluzione di quei fatti, come il patto non mantenuto da Li Causi, l’inganno politico e il progetto anti indipendentista del PCI per ordini avuti dall’Unione Sovietica, che lo trasformarono in un agguerrito nemico dei dirigenti comunisti.
-Portella delle Ginestre?
-Quando Giuliano si è reso conto della tragedia di Portella, ha capito con amarezza come quelle vittime sono state sacrificate al potere della nuova Italia. Quello è stato l’inizio della “guerra fredda”, quello è stato l’atto di podestà per la Sicilia alla mafia nella funzione gladio. Anche il PCI ha utilizzato quelle vittime. I dirigenti siciliani sapevano, ma hanno taciuto, non hanno avuto il coraggio della presenza, hanno utilizzato anche loro quei contadini, proletari come vittime sacrificali per iniziare una campagna di vittimismo eroico, per avere concesso quella fascia di spazio di legittimità, omologazione e potere, rassegnati ormai, ad uscire dal potere di Stato. E nella commissione antimafia i compagni del PCI, il primo Li Causi, sapevano, ma omertosi hanno fatto silenzio, sulle dimensioni internazionali e il coinvolgimento della DC d’allora accordata con la mafia, scaricando tutto su Turiddu Giulianu.
-Vossia ancora ha questo risentimento su Li Causi.
-Rimani convinto che io sono Giuliano … Ecco cosa è successo in quel strano momento storico della Sicilia. Era la primavera del 1950 e da parecchi giorni mi sentivo osservato in paese, la sera in piazza, persino in campagna mentre lavoravo, avevo la sensazione che qualcuno mi stesse spiando. Era vero! Mentre ero alla robba, mi sentii salutare, erano tre persone, armati di mitra, due li conoscevo così bene anche se non li avevo mai incontrati: ‘Aspanu e Giuliano. Mi sono sentito il sangue tutto in testa. Il sorriso di Turiddu mi rasserenò, mi chiese dell’acqua, io presi la lancedda e gliela porsi. Lui ringraziò e fece bere prima ad ‘Aspanu, poi bevve lui. ‘Aspanu, con espressione di meraviglia, si rivolse a Turiddu: “Guardato da vicino, fa impressione! Questo è perfetto, non è come gli altri due …”
            Io non capivo, ma ero così agitato, speravo solo che se ne fossero andati al più presto. Invece Turiddu fece cenno di sederci in qualche parte. Mi guardò a lungo, poi mi chiese il nome.
“Ti chiami Turiddu come ammia!”
“Pure il nome ha lo stesso!” Intercalò ‘Aspanu. Giulianu mi spiego che dovevano fare un film su di lui e avevano bisogno un attore che gli somigliasse, ed io corrispondevo a quelle caratteristiche. Mi opposi cercando varie scuse, la terra, la famiglia. Mi avrebbe pagato una cifra che rimasi a bocca aperta e che per la famiglia sarei rimasto in contatto. Insomma accettai. Passai quei mesi con loro. Giuliano aveva una camera da presa e le scene le girava personalmente. Mi precisò che il film vero e proprio doveva girarlo un famoso regista di Roma. Ricordo che un giorno mi fecero fare la parte di Turiddu che caduto in una imboscata dai carabinieri rimane colpito dai loro proiettili e ucciso. Dovevo fingere  di morire, urlare, Aah! E stramazzare a terra. Quella era l’ultima scena. Rimasi sconfortato per la fine del film. In fondo una fine inaspettata e che sicuramente avrebbe gettato nello sconforto il Popolo Siciliano. Infondo era finzione, lui era vivo con tutta la sua energia e questo mi rassicurava. Quasi tutto si svolgeva, in un terreno e un caseggiato, forse di Alcamo, sicuramente in provincia di Trapani. Turiddu e Pisciotta si allontanavano interi giorni, rimanevo con alcuni dei loro picciotti. Ad un certo punto capii di essere quasi un loro prigioniero, perché ero guardato a vista.
             Intanto i mesi passarono ed ho notato un cambiamento sostanziale, su tutti quanti, non regnava più quell’ordine di prima. Giuliano se ne stava a scrivere a volte intere giornate, Pisciotta si vedeva più raramente. Un giorno mentre Giuliano era via, ho tentato la fuga, mi trovai uno dei guardiani addosso con la sua pistola puntata sulla mia testa. Da quel giorno incominciarono a legarmi le mani e i piedi. Ho avuto certezza della cruda realtà. Ho fatto mille costruzioni con la mia mente, ma non concepivo quale fosse il loro programma. Quando poi mi trasferirono a Castelvetrano mi dissero che bastava una mia mossa falsa e finivo la mia vita crivellato come un colabrodo. Ero rinchiuso in una stanza al piano di sopra, uno di quei giorni interminabili e senza data mi venne a trovare Giuliano, mi liberò e poi guardandomi, come lui sapeva fare, mi disse:
“Io sono uomo d’onore e mantengo sempre la mia parola. Devi avere fiducia e fare, senza cercare spiegazioni, quello che ti ordino!”. Abbassai la testa acconsentendo, ma tremavo dalla paura. Da quel giorno stavo sempre accanto a lui, ho ascoltato il memoriale mentre lo scriveva e mi mise a conoscenza pienamente di ogni cosa, sia a me che al Di Maria. Quest’ultimo l’ho conosciuto completamente diverso da come è stato descritto in seguito, dalla stampa e dai libri: taciturno e solitario. Invece era molto eloquente con Turiddu e con me, e di tanto in tanto non mancava di intercalare umoristicamente con qualche battuta. Forse avrà messo a disposizione la sua dimora per qualche favore che doveva a Marotta, lo avrà fatto anche per una sostanziosa ricompensa, ma una cosa è fuor di dubbio: aveva una ammirazione e stima per Salvatore Giuliano grandissima. Gregorio Di Maria con il suo carattere comunicativo era un uomo di cultura, piaceva leggere e conversava con Turiddu di politica, di storia tra i due vi era complicità e rispetto.
       Sono rimasto colpito dalla profonda fede in Dio di Giuliano, è capitato più di una volta di accorgermi che era assorto in preghiera.  E’ questo il terribile assassino che parlano i giornali di tutto il mondo? Mi chiedevo, come è possibile?
       L’inizio di luglio fu un continuo succedersi di eventi, di incontri, di comunicazioni. Confesso che avevo una paura fortissima che s’insinuava dentro la pelle fino alle ossa. Ero terrorizzato di come mi guardava ‘Aspanu, tanto che ero deciso a fuggire alla minima occasione. Così avevo fatto finta di andare al gabinetto e invece mi ero partito per l’uscita secondaria. I due avevano intuito e mi bloccarono all’istante. Fui legato di nuovo mani e piedi con del filo di ferro sopra il letto nella stanza di sopra.
        La sera del quattro luglio sentivo parlare giù ‘Aspanu e Giuliano, in maniera concitata, senza minimamente preoccuparsi che qualcuno di fuori potesse ascoltarli. Poi Giuliano salì e mi disse con tono deciso:
“Ascoltami attentamente perché non posso ripetere quello che ti sto per dire. Ora io ti libero, prendi i vestiti che sono nell’armadio e indossali, compreso il cappello, qui c’è questa busta con questi documenti e questi soldi, prendi pure questo orologio. Sali per le scale e dalla finestra ti sistemi sul tetto e aspetta, come senti degli spari, corri per i tetti e scendi dall’altro versante e scappa! Non ti fidare di nessuno solo di te stesso e stai lontano da strade e centri abitati.”
           Mi slegò,  mentre lui si mise in mutande e canottiera, volle essere legato a posto mio, capii cosa stava succedendo e mi commossi profondamente. Gli chiesi perché lo stava facendo.
“Non mi sarei macchiato mai del sangue di un innocente, nemmeno per salvare la pelle. E’ l’ora di uscire di scena, ma non sarei mai andato via dalla mia Terra. Esco di scena a modo mio.”
-Mi chiese di promettergli che quando sua madre, sarebbe passata a miglior vita dovevo portarle un suo saluto. Così feci nel 1971, arrivai a Palermo e con un taxi andai a Montelepre, ho onorato il mio impegno omaggiando la salma, ritornai immediatamente, senza dare opportunità ad alcuno di chiedermi qualcosa. Ho avuto tempo per porgere una preghiera nella tomba di Salvatore Giuliano. Quando ero in volo, pensavo a Mattia Pascal di Pirandello, solo che io, al contrario del personaggio, sapevo chi c’era lì dentro veramente! Bastò quella mia presenza per accendersi la fantasia di qualcuno e credere nel mito di Giuliano ancora vivo.
-Quella notte del 4 luglio 1950, gli baciai la mano e andai, con il cuore rotto, salii sopra il tetto. Il cielo era ricolmo di stelle, il cuore mi batteva all’impazzata, ero teso all’ascolto di quello sparo che non tardò ad arrivare, tre colpi di pistola, forse quattro. Corsi sulle tegole e scesi dall’altra parte dove in lontananza vidi una 1100 nera. Scappai furtivamente dalla parte opposta. Mi nascosi nelle campagne circostanti, seguivo le sue parole e non mi fidavo di nessuno. Così, poi, riuscii a farmi una vita, diciamo normale. Ben sapendo che un incontro con Giuliano la vita te la cambia. In questi anni mi spostai moltissimo ed è ormai da tempo che sono a Toronto. La fede in Dio mi ha molto aiutato. Mi sono chiesto spesso e volentieri: chi sono?
-A volte ho creduto di essere io il vero Giuliano. Di sicuro qualcosa di lui mi è rimasto dentro la mente. Tanto che, quando vido le foto di quel cortile, che tante volte avevo guardato dalla finestra, mi riconoscevo in quel corpo a terra. Era una parte di me che era rimasta lì, tra la polvere di quei sogni uccisi, da quei falsi gesti e sorrisi degli uomini di uno Stato presente solo nelle tragedie di un Popolo che ha perso il padre, il figlio o il fratello.
-In tutti questi anni ho tentato di continuare la sua opera, ma mi resi conto che chissà quanto tempo dovrà passare ancora per rinascere un altro Giuliano. Ho potuto solo incentivare economicamente associazioni siciliane di cultura e qualche giovane promettente negli studi, poca cosa, niente!
-Non so chi ha sparato materialmente a Giuliano, se fu Nunzio Badalamenti entrato dall’altra parte di casa Di Maria, oppure Pisciotta, o chiunque altro sia stato, però ho capito che il ruolo di ‘Aspanu era stato ben congeniato con Giuliano, a millimetro. Il ruolo di ‘Aspanu era quello di Giuda, il traditore, solo così potevano riuscire ad ingannare tutti e sostituire un corpo per un altro, quello del sosia con quello di Giuliano. Forse nei loro progetti la morte del personaggio Giuliano del film doveva corrispondere alla mia morte fisicamente autentica e documentata per la polizia, per il commissario Verdani, chi sa? Avariato questo progetto si attuò: il gioco delle verità in scatola.
-Nella scatola della verità del C.F.R.B.[3], cioè, del conflitto a fuoco nel cortile di Castelvetrano, del Giuliano ucciso dai carabinieri del colonnello Luca e del capitano Perenze, rimasta ancora oggi riconosciuta e unica dallo Stato Italiano; vi è un’altra verità, quella del tradimento di Pisciotta. Anche questa ne contiene un’altra, quella dell’accordo tra Giuliano e Verdiani per la sostituzione con il sosia e il suo espatrio. La verità nascosta dentro a quest’ultima è quella di ‘Aspanu che ha recitato l’ingrato ruolo del traditore del suo fratello di sangue Giuliano, per potere così consegnare al C.F.R.B. un corpo morto e non un uomo vivo. Ma anche questa ne contiene un’altra ancora più forte, quella di Giuliano che si sostituì al sosia liberando quest’ultimo al posto suo. Giuliano così morì spiritualmente sereno ben coscio del carnefice che si stava avvicinando e accennò un sorriso come dire: l’ultima parola è la mia!
              A questo punto si fermò in uno dei suoi pesanti silenzi e guardandomi dentro, in fondo ai miei pensieri, per un bel po’,  poi riprese a raccontare:    
-Quando quel pazzo di Pumadoru incominciò a rompermi le scatole, mi ha inquietato veramente tanto da essere tentato di cambiare destinazione ancora una volta. Rimasi e sbagliai, pertanto dovrò, alla mia età, spostarmi ancora, da qualche altra parte del mondo.
                
…  
 
            U zzu Turiddu finì così il suo racconto, ora non mi rimaneva altro che crederci oppure no. Intanto incominciava a farsi strada nella mia mente un dubbio: e se in questa verità, che mi ha testé riferito, fosse un’altra scatola dove si nasconderebbe un’altra verità ancora?
            Mentre parlava il suo volto era impassibile, non cambiava minimamente espressione, non muoveva nessuno dei suoi muscoli facciali, però il suo corpo parlava, la sua mano prendeva le parole dall’aria attorno, la sua testa rafforzava con ogni movimento i suoi pensieri. Quell’anziano, che molto mi ricordava il poeta Ignazio Buttitta, aveva nelle sue rughe, la storia del Popolo Siciliano, con tutti i paradossi e i tanti misteri.
           Arrivarono Joe e Lillo, ci trovarono ancora seduti in fondo, si avvicinarono e chiesero il permesso di sedersi. Lui calò la testa acconsentendo.
          Gli chiesi se fosse stato possibile avere una fotografia insieme a lui. Mi regalò uno dei suoi sorrisi e Joe corse in auto a prendere la macchina fotografica. Lui si tolse la coppola rimase seduto ed io accanto feci il saluto indipendentista, ecco fatto! Ma non ne permise altre.
         Quando fui sull’aereo, soddisfatto di quell’incontro, riflettei su ogni minimo particolare. Ad un tratto mi si bloccò nella mente la sua fronte e quella cicatrice vicino la tempia sinistra, la stessa che permise la giornalista svedese Tecla di riconoscerlo. E allora? Chi era quell’anziano? Sicuramente avrà avuto una spiegazione come per le cicatrici sulla pancia. Una probabile, quella che le erano state causate appositamente da un medico per somigliare ancor di più al vero Giuliano. Mi vennero dei dubbi: forse sarà stato solo un effetto di ombre?
         Arrivato a Camico mi feci sviluppare un ingrandimento della fotografia e altre ancora di diverse grandezze. La cicatrice, in quella fronte così particolare, è cicatrice ed è lì presente, tutto il resto è Sicilia.  
 
            
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
          
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTORE
                Questo racconto è pura fantasia, non ha la pretesa di essere una ipotesi possibile. Comunque sia, in quel corpo tra la polvere del 5 luglio 1950, dove anche la legge di gravità non era certezza scientifica, di sicuro ha cessato di esistere il Colonnello Giuliano, dell’eroica “Brigata Palermo” comandante dell’EVIS per la Sicilia Occidentale.
               Al Popolo Siciliano, compreso me, piace credere, che quel giovane di ventotto anni, sia riuscito a scamparla ancora una volta, e rifarsi una vita nuova, normale, di buon padre di famiglia. Spuntando così, a farsi beffa del suo crudele destino iniziato in quel 2 settembre 1943 a Quarto Molino.
             La storia di Salvatore Giuliano è quella di ogni Siciliano che esce fuori dalla riserva mentale, che chiamano sicilianità, simile alla riserva riconosciuta agli indiani d’America, per rivendicare la propria territorialità, scontrandosi inevitabilmente con chi ne ha il possesso, nel suo caso, prima contro l’Italia badogliana post fascista, poi l’Italia repubblicana. Questa è la lotta indipendentista, una lotta di territorio da riconquistare palmo dopo palmo. Per iniziare è necessario che i Siciliani abbiano il coraggio almeno di uscire dalla loro riserva mentale, da dove vivacchiano ormai da millenni e solo alcuni hanno avuto il coraggio di farlo, uno tra questi Ducezio nel 450 A.C., altri ancora fino a Giuliano dal 1944-50 A.D.

             Giuseppe Sciortino Giuliano, ha realizzato la sua ultima fatica: VITA D’INFERNO – Cause ed effetti. La lettura di quest’opera fu tempestiva ed esplicativa, perché mi colmò alcuni vuoti importanti per completare questo racconto.
               Ho trovato questo testo scritto con  il cuore, in una prosa luminosa, senza ombre, da facilissima lettura partecipativa. L’Autore si è posto nella giusta distanza dello storico non escludendo la sua presenza critica ad alcuni fatti incresciosi. Il libro fa parte di quella letteratura alternativa a quella ufficiale e omologata dal potere istituzionale. Quell’altra cultura che si contrappone alle forme di propaganda massiccia del potere che detiene la sovranità territoriale e che bombarda continuamente l’opinione pubblica siciliana. Nonostante ciò, non riesce, però, a scalfire minimamente l’icona di Turiddu Giuliano nell’intimo di ogni Siciliano che non giace nella rassegnazione ed ha acceso il fuoco della ribellione alle varie ingiustizie sociali e politiche.
               Nell’opera di Giuseppe Sciortino Giuliano viene fuori un elemento di grandissima importanza: la repressione cieca e coloniale di uno Stato d’occupazione, che ha usato le proprie forze belliche e di polizia contro i Monteleprini, non risparmiando loro né la tortura, come mezzo per estorcere confessioni, né lo stupro e il saccheggio. I Monteleprini devono essere fieri del loro passato, come lo siamo noi Siciliani della loro eroica storia.
             Certa letteratura non si pone nemmeno scrupoli su ciò che hanno dovuto subire cittadini inermi nelle mani di quella forza di occupazione militare a Montelepre. Cito uno per tutti: Il bandito Giuliano di Salvatore Nicolosi Edizione Brancato Editore – Catania 2005 a pagina 149 scrive: “Costui[4]fu messo alle strette; e per “mettere alle strette” i carabinieri non si facevano scrupolo di picchiare qualche volta i sospettati (metodo assolutamente condannabile, il quale però  alla fine fruttava confessioni che, altrimenti, i più incalliti delinquenti mai si sarebbero abbandonati a fare).” Sicuramente penso che viene il volta stomaco quel “però” che, in un certo qual modo, giustifica la tortura come metodo e subita dai Monteleprini, dimenticando che sotto tortura anche lo stesso Nicolosi avrebbe confessato di avere sparato quel 1° maggio, insieme a Giuliano. Perché quel “mettere alle strette” era la “cassetta” di don Pasquale[5] e fare ingoiare acqua sporca e salata tramite una maschera antigas per poi sferrare pugni alla dome fin quanto l’ “interrogato” non accettava tutto quello che gli propinavano come confessione. Ora accettare questo significa dimenticarsi dei minimi significati dell’umanizzazione raggiunti della bestia umana.
            
              Chi è Giuseppe Sciortino Giuliano? E’ un indipendentista dal primo battito del suo cuore. Figlio di Mariannina Giuliano e Pasquale Sciortino, nonché nipote di Salvatore Giuliano. Finito nelle italiche galere a otto mesi insieme alla madre. Poi nel 1980 fu processato e condannato per avere costruito uno cippo in memoria dei Partigiani dell’EVIS caduti.  
       Il 30 marzo del 2009 il presidente della Camera Gianfranco Fini inaugurando a Montelepre la targa in memoria dei carabinieri caduti nella lotta al banditismo nel periodo in cui visse Salvatore Giuliano, posta al centro del paese all’esterno del centro Polifunzionale in via Castrenze di Bella 14  disse:“Ricordare gli uomini in divisa che si sacrificarono contro il banditismo non e’ retorica, ma e’ un dovere delle istituzioni perche’ sono stati i primi a combattere nel nome della legalita’”[6].  Riflettendo su questa visita e queste parole non posso fare di confrontare Montelepre a Bronte. Anche a Bronte vi è una via dedicata a Nino Bixio.
Due città, due Popoli che si ribellarono e che hanno subito quell’ingiustizia storica con le esecuzioni sommarie a Bronte e con i soprusi a Montelepre. Due epoche storiche ed una sola Italia colonizzatrice che chiama la sua oppressione “legalità”.
               Ricordo nella prima visita che feci a Montelepre, nel 1995, la sensazione che ho provato, mista tra commozione e riconoscimento, mi ritornavano alla mente le fotografie in bianco e nero dell’epoca dei fatti e i volti di quei Monteleprini. Non ho potuto fare a meno di legarmi al collo il fazzoletto giallo/rosso dei Volontari dell’EVIS. Poi, visitai i posti, le strade, le piazze, andai ad abbracciare Frank Mannino, nella stazione di rifornimento di benzina. Quando lui mi vide e notò il fazzoletto, gli venne un sussulto di commozione. Ho visto le sue lacrime sgorgare ed ho capito la forza di quella passione politica, autentica, che aveva infiammato quegli animi e che sicuramente non si è assolutamente assopita in quegli uomini forti e valorosi di allora. Frank, alias Cicciu Lampu, in un filo di voce mi disse: “E’ difficili …”. Sì, sarà pure difficile, ma noi Siciliani abbiamo il dovere di crederci ancora, e ci crediamo, compreso Frank, il quale non disse “è impossibile” come qualcuno vuole convincere senza nemmeno prima muovere almeno il sedere dalla sedia. Ho saputo allora che lui era divenuto un fratello evangelico. Questo sta a significare l’autenticità di uomini come nel loro cammino interiore. Uomini che hanno impugnato le armi e le hanno pure usate, ma nello stesso tempo ne hanno sentito la pesantezza.   
              Quel giorno visitai la “Casa Museo Giuliano” in corso di realizzazione dall’infaticabile Giuseppe, collezionando oggetti, utensili agricoli, perché Giuliano non è divisibile dalla Terra e dai suoi contadini. Mille immagini affioravano nella mente. Vedere la camicetta di Marianna, o il leone disegnato nella cameretta, la bicicletta di Turiddu. Una cosa mi ha colpito in particolare la sua tessera del MIS, la stessa della mia.
              Una visita al cimitero di Montelepre era d’obbligo. Così mi accompagnò un incaricato, il quale ad un certo punto, visto la mia riluttanza a fermarmi nella tomba di Gaspare Pisciotta, perché i Siciliani ai traditori li chiamiamo per l’appunto Pisciotta, mi disse: “Falla una visita ad ‘Aspanu, pirchì la storia ‘unn è comu si cunta!”  
               
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
APPENDICE

 
 Giuliano[7]
Le stagioni sono passate,
ma il tempo è lì rimasto;
tra le piazze e le sue strade
vi è il ricordo del suo gesto.
 
L’eroe del Popolo Siciliano
dal cuore buono
e dal mitra in mano
è il Colonnello Giuliano.
 
L’EVIS gridò vittoria,
per la Sicilia fu gloria!
La sua legge l’onore,
per la sua Patria l’amore,
una bandiera nel cuore.
“il giallo osare
Il rosso amare”.
“Risorgi Patria mia
Sarai indipendente”.
Nel cielo di Sicilia
Cantava per la sua gente.
 
Tra mafie e forze comuniste
calpestarono tutte le verità
a Portella delle Ginestre
negando alla Sicilia Libertà!
 
Caffè all’Ucciardone
E segreto di stato,
antimafia e commissione
su l’eroe bandito.
Anche se l’odio  rancora
Giuliano vive ancora
in ogni Siciliano
che porta nel cuore
la Patria, Dio e l’onore.
 
 
Fine
 
 



[1]Il documento – identificato come «Fondo Governo Ordinario», Sezione 9, Busta 1, Serie 36 S dell'archivio storico dell'Arcidiocesi di Monreale. Confermato dalla Curia di Monreale, diretta dal vicario generale don Vincenzo Noto. (FonteGiuliano, bandito in paradisodi Francesco La Licata suLa Stampa, 5 aprile 2001)
[2]“Garibaldi sotto un ponte, vendeva pomidori, la bilancia non gli pesava Garibaldi se la menava (si masturbava). Canzoncina popolare con la celeberrima musica FLIK FLOK della fanfara dei Bersaglieri musica di Pietro Luigi Hertel del 1861.
[3]Corpo Forze Repressione Banditismo
[4]Trattasi di Francesco Gaglio detto Riversino, teste principale della strage di Portella delle Ginestre.
[5]Ben descritti da Giuseppe Sciortino Giuliano nelle sue opere, compreso quella citata testé.
[7]Autore della parte letteraria Alphonse Doria, melodista Alessandro Doria, arrangiamenti Bruno Doria. Canzone incisa nel 1998 in un Compact Disc dal titolo:  Studio S.u.D. PRODUTIONS, collezione di artisti vari.
 


36 commenti

  1. alphonsedoria wrote:

    Cinema: Palermo, al via riprese nuovo docufilm su bandito Giuliano
    Palermo, 1 giu. – (Adnkronos) – Il mistero del Re di Montelepre che, da decenni, ispira cantastorie, registi ma anche storici, diverra' oggetto di una nuova produzione cinematografica. La Sicily Production Film Francesco Sacco in coproduzione con una societa' canadese girera', a partire dalla fine del mese, nei vicoli e tra le montagne del suo ''regno'' il docufilm ''Il Leone di Montelepre-la vera storia di Salvatore Giuliano''. Si tratta di un'opera la cui sceneggiatura e' stata scritta da Giuseppe Sciortino, nipote di Turiddu. Il 10 giugno alle 10 il progetto verra' presentato alla stampa, alla presenza del regista, degli attori protagonisti e dei produttori che al momento mantengono il massimo riserbo sui particolari. Inoltre, l'11 e il 12 giugno, al Castello di Giuliano di Montelepre, hotel-ristorante gestito dall'erede di Salvatore Giuliano, si terranno i casting per le comparse e i piccoli ruoli. La selezione sara' libera a tutti. Gli interessati potranno presentarsi in quelle date muniti di documento di riconoscimento, codice fiscale, curriculum e foto a partire dalle 10.

    (01 giugno 2011 ore 21.32)

  2. alphonsedoria wrote:

    Caso Giuliano, è scontro tra Caputo e lo storico Casarrubea

    di Francesco Previti

    salvatore_giuliano

    31 gennaio 2011 -  I familiari delle vittime della strage di Portella della Ginestra e degli assalti contro le Camere del Lavoro della provincia di Palermo, esprimono sconcerto sulle dichiarazioni dell’onorevole Salvino Caputo, deputato del Pdl all’Assemblea regionale siciliana.

    L’esponente del Popolo della libertà ha definito infatti la riesumazione del cadavere di Salvatore Giuliano “una iniziativa più da romanzo giallo che da attività giudiziaria e investigativa”.

    E ha aggiunto: “Mi chiedo a cosa poteva servire a distanza di oltre mezzo secolo, accertare se la salma sepolta al cimitero di Montelepre fosse o meno quella del bandito. Ho chiesto al Presidente della Regione Lombardo con una interrogazione parlamentare di conoscere quanto sia costato allo Stato l’indagine sulla comparazione del dna tra i resti del bandito e il nipote Sciortino. Ciò – dice Caputo – a seguito della stessa volontà dichiarata della Magistratura di diminuire i costi e assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari”.

    Alle dichiarazioni dell’esponente del Pdl, replica lo storico Giuseppe Casarrubea. “L’onorevole Caputo pensa che il tempo cancella automaticamente memoria e reati, o forse non si rende conto della sua affermazione. Coerentemente al suo assunto – dice lo storico di Partinico – egli farebbe bene, allora, a rivolgere la sua perplessità ai giudici che hanno indagato sulla strage di Marzabotto, (condannando dopo oltre mezzo secolo alcuni generali nazisti) e su  tutte le altre stragi che il tempo non riuscirà mai a sradicare dalla memoria delle persone oneste e amanti della giustizia.

    Spiace – scrive Casarrubea sul suo blog – che negli scranni dell’Ars siedano rappresentanti del popolo che, incuranti degli sperperi che si fanno alla Regione, ignorano quale sia il valore della giustizia, specie quando ci si trova davanti a stragi impunite, e negano che si possa spendere persino un euro per fare finalmente luce sul nostro passato.”

    I siciliani, secondo lo storico, “meritano di essere rappresentati da persone che hanno rispetto per quanti, con il sacrificio del loro sangue, hanno assicurato alle generazioni future, la libertà e la democrazia”.

    Il Segreto di Stato che incombe sul caso Salvatore Giuliano non sta condizionando l’inchiesta riaperta dal Procuratore Aggiunto di Palermo Antonio Ingroia che per fugare i dubbi sollevati da studiosi, il 28 ottobre scorso, ha riesumato il cadavere del Re di Montelepre sepolto nella cappella di famiglia, nella necropoli cittadina. È stato lo stesso Magistrato ad affermarlo, dopo l’ennesima bufala sulle indagini in corso, diffusa dalla stampa, e cioè che il dna estratto dal cadavere per anni ritenuto di Giuliano sarebbe identico a quello del nipote Giuseppe Sciortino, figlio della sorella Mariannina, con cui il profilo genetico è stato comparato dagli esperti nominati dalla Procura.

    “Attendiamo l’esito delle analisi scientifiche ancora in corso. I tempi impiegati in tal senso – afferma Ingroia – sono normalissimi. Bisogna considerare che il dna è stato estratto da resti di un uomo morto 60 anni fa”.

  3. anonimo wrote:

    È un giallo senza fine. Un giallo che dura da 60 anni e che come per una maledizione sembra non volersi chiudere. Sarà effettuato un nuovo test del Dna sulle spoglie riesumate di quello che per oltre mezzo secolo si è creduto essere il bandito Salvatore Giuliano. Il primo esame, disposto dalla Procura di Palermo che ha riaperto il caso dopo che da diverse testimonianze è venuta fuori l'ipotesi che il bandito in realtà non sia morto il 5 luglio del 1950 ma sia stato aiutato a fuggire spacciando per lui morto un suo sosia, non ha sciolto definitivamente i dubbi: il profilo genetico è sì compatibile con quello del nipote di Giuliano, Giuseppe Sciortino. Ma potrebbe anche trattarsi di un parente. Insomma, la leggenda del bandito aiutato a fuggire negli Stati Uniti potrebbe ancora avere un fondamento. Di qui il nuovo test del Dna, su materiale genetico dello stesso Salvatore Giuliano: per tagliare la testa al toro e stabilire in via definitiva chi sia quel morto riesumato.
    «Di sicuro c'è solo che è morto», scriveva all'epoca del delitto sull'Europeo in un reportage diventato celebre Tommaso Besozzi, sottolineando già 60 anni fa tutte le incongruenze di quello che sin dall'inizio era apparso sembrato un omicidio anomalo. Il cadavere del bandito Giuliano ucciso, mostrato ai giornalisti il 5 luglio del 1950 e ritratto in cortile Di Maria a Castelvetrano (Trapani), ha suscitato dubbi sin dall'inizio: troppo fresco quel sangue per appartenere a un uomo che in piena estate, in Sicilia, era stato sul selciato per ore e ore; troppe incongruenze tra le ferite che si vedono nella foto del cadavere in quel cortile e quelle del cadavere ritratto all'obitorio. Giuliano, all'epoca del ritrovamento, era accusato della strage di Portella della Ginestra, l'eccidio del 1 maggio del 1947 sul quale tuttora vige il segreto di Stato, che cadrà nel 2016.
    Negli ultimi anni si sono alimentate le leggende sul personaggio. Non ultima, quella raccontata dal nipote Giuseppe Sciortino in un libro, «Via d'inferno. Cause ed affetti». Il nipote infatti ha raccontato che ai giornalisti fu mostrato in realtà il cadavere di un sosia e che il vero Salvatore Giuliano sarebbe stato aiutato a fuggire e sarebbe morto solo qualche anno fa ultraottantenne, dopo essere tornato per due volte nella sua Montelepre. Di qui la riapertura dell'indagine, disposta dalla Procura di Palermo. E ora, dopo il primo test, i nuovi esami. «I consulenti – spiega il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia – hanno chiesto di potere eseguire ulteriori accertamenti per poter prelevare il Dna personale di Salvatore Giuliano». I medici legali sono stati in grado di accertare «che esiste una parentela tra il cadavere e Giuseppe Sciortino», ma «non è possibile accertare se si tratti di una parentela vicina o lontana. È necessario – aggiunge Ingroia -il confronto diretto con degli effetti personali di Giuliano, perché soltanto così potremo sapere se il cadavere riesumato è quello di Salvatore Giuliano». Insomma, dopo 60 anni, il mistero continua.

  4. alphonsedoria wrote:

    I RITI DEL VENERDÌ SANTO
    Anche Giuliano, re di Montelepre, 
    si travestì da «re di Gerico»
    Migliaia di visitatori giungono ogni anno in paese 
    per la sacra rappresentazione che va avanti dal 1761

    Salvatore Giuliano Salvatore Giuliano

    PALERMO – Anche Salvatore Giuliano, in giovanissima età, prima di diventare un fuorilegge, vestì i panni di Re di Gerico, uno dei personaggi biblici che dal 1761 vengono rievocati, ogni Venerdì Santo, nella Processione dei Misteri di Montelepre, nel palermitano. Non esiste un monteleprino che, almeno una volta nella vita, non vi abbia preso parte. Migliaia di visitatori giungono ogni anno in paese per la sacra rappresentazione, tradizione unica in Sicilia, che non ha nulla a che vedere con quella di Trapani in cui vengono portate a spalla statue e simulacri. Protagonisti della Processione dei Misteri di Montelepre, infatti, sono i suoi stessi cittadini. Circa 400 persone, tra adulti, ragazzi e bambini rammentano visivamente le sacre scritture del vecchio e del nuovo testamento. Con grande devozione e fede, gran parte delle persone che si prestano a raffigurare gli avvenimenti biblici più importanti ed espressivi, fanno crescere la barba già dal mercoledì delle ceneri, mentre altri, già dallo scorso anno, hanno fatto allungare i capelli. L'organizzazione è curata dalla Pro-loco di Montelepre.
    Tutto viene curato nei minimi dettagli: dai volti dei personaggi ai costumi storici,dalle acconciature ai gioielli indossati dai vari Re e Regine del tempo. Sono gli stessi volontari ad assegnare le parti in base ai volti e alle caratteristiche fisiche delle persone che danno la propria disponibilità a partecipare alla Processione e ai quali viene evidenziato il significato religioso della manifestazione. Per l'occasione, la Pro-loco di Montelepre, per accogliere i visitatori che potranno trascorrere l'intera giornata in paese, metterà a loro disposizione, per tutta la mattinata, volontari bi-lingue che organizzeranno delle visite guidate gratuite. Le radici della Processione dei Misteri risalgono alle antiche e mistiche processioni che nel Medioevo animarono le comunità cristiane locali. E' la riproposizione di quadri tratti dal testo di un sacerdote di Carini, Don Luigi Sarmiento, il quale nel 1751 scrisse un'opera dal titolo Vita, passione e morte di Cristo Signor Nostro. A Montelepre si pensa che l'evento affondi le proprie origini al tempo dei primi abitanti dell'antico feudo di Munchilebbi, a quei contadini che prima lo utilizzarono come semplice elemento di contorno alle processioni pasquali di rito comune, poi, si suppone intorno alla prima metà del XVII secolo, come una vera istituzione religiosa che continua fino ai giorni nostri. L'appuntamento quest'anno è il 22 aprile. Alle 17, dalla Chiesa Madre, usciranno i personaggi che rappresentano le sacre scritture, dalla creazione fino al viaggio di Gesù verso il Monte Calvario, percorrendo le caratteristiche strade strette e tortuose del paese.
    Fonte Italpress 
    09 aprile 2011
     

  5. anonimo wrote:

    LIBRO DEL GIORNO: GIULIANO, BANDITO NOTO AD ALLEATI USA'Il principe irrequieto'
    di Vincenzo Prestigiacomohttp://www.ansa.it/web/images/ico_lstbook.gif Indietro

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    Quali misteri nasconde ancora la vita di Salvatore Giuliano? Uno dei punti oscuri e' il momento in cui entro' a far parte della Cupola mafiosa. A svelare il mistero e' un prezioso documento inedito del 23 ottobre 1943, di grande rilevanza storica, trovato fra le carte personali del principe Raimondo Lanza di Trabia e inserito nel libro 'Il principe irrequieto. La vita di Raimondo Lanza di Trabia' di Vincenzo Prestigiacomo, con prefazione di Matteo Collura. Giuliano a soli 21 anni non era soltanto un picciotto che faceva ''borsa nera'', ma, stando al documento, era un giovane mafioso ben conosciuto anche agli Alleati. Scrive un amico del Lanza che si firma 'Vento di sera': ''Caro Raimondo, il gen.

    Harold Rupert Alexander mi ha chiesto tue notizie; io sono stato vago. L'altro ieri ho incontrato Galvano che mi ha raccontato di Cassibile e del suo amico gen. Giuseppe Castellano. Intanto a Terre Rosse ci sono diversi accampamenti e puoi immaginare quale confusione regna. Occorre urgentemente una tua presenza in citta'. Gli Alleati nell'operazione ''Husky'' hanno coinvolto personaggi mafiosi come Salvatore Giuliano. Questa notizia riservata l'ho appresa da Robert Kapa; cosi' lo sbarco degli Alleati e' stato un gioco. Si dice che possa esserci anche un aiuto di Lucky Luciano, prigioniero negli Stati Uniti''.

    Un documento inedito, destinato a riaccendere le polemiche sul destino del bandito di Montelepre, del quale e' stato di recente analizzato il Dna per accertare se sia stato realmente ucciso o se, come qualcuno sostiene, al suo posto fu messo il corpo di qualcun altro mentre lui sarebbe stato aiutato (dalla mafia? dai servizi americani?) a fuggire negli Usa. Quando, il 30 novembre del 1954, Lanza di Trabia si uccise buttandosi dal secondo piano dell'Hotel Eden di via Ludovisi, ad accorrere fu tutta la Roma che conta. Tra i primi: Gianni Agnelli, Edda Ciano, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La vita del principe siciliano fini' nel modo in cui era andata avanti negli ultimi vent'anni: sotto il flash dei fotografi e sulle prime pagine dei settimanali patinati. A sentire l'ultimo respiro c'era Tomasi di Lampedusa. Il libro contiene la rappresentazione di importanti momenti della storia civile e privata dell'Italia tra le due guerre: c'e' il difficile e aspro secondo dopoguerra, c'e' l'attenzione minuta alle mode, alle abitudini e alle smanie di certa aristocrazia siciliana e internazionale, c'e' la ricostruzione attraverso la memoria di numerosi protagonisti di episodi che finiscono col ricomporre le tessere di quel tempo.
     

  • anonimo wrote:

    Bandito Giuliano: tra gli atti dell'inchiesta una foto tratta dal film di Rosi del 1962

    A scoprire l'immagine di scena il procuratore aggiunto Ingroia su segnalazione della polizia scientifica

    Una scena tratta dal film di Rosi

    Una scena tratta dal film di Rosi

     

    PALERMO – Una svista bizzarra quella che ha portato agli atti dell’inchiesta sulla presunta sostituzione del cadavere del bandito Salvatore Giuliano una foto che invece di essere scattata sul luogo dell’omicidio è in realtà tratta dal film inchiesta del regista Francesco Rosi girato nel 1962. A rivelarlo il settimanale Panorama, in edicola domani, che ha anticipato il contenuto di un articolo sulla vicenda.

    Panorama scrive che l’immagine di scena sarebbe stata scoperta dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, in seguito a una segnalazione della polizia scientifica avvenuta sei giorni prima della riesumazione del cadavere. Secondo il procuratore Ingroia l’equivoco, effettivamente segnalato dalla scientifica, sarebbe stato superato dall’accertamento medico legale eseguito sul cadavere del bandito. I risultati della perizia non sono ancora definitivi. Gli esperti hanno infatti stabilito un grado di «compatibilità» tra il dna del corpo riesumato e quello del nipote del bandito.

    Redazione online
    21 aprile 2011

  • alphonsedoria wrote:

    27/04/2011 – INTERVISTA

    Francesco Rosi "I miei criminali
    mai mitizzati"

     

    Francesco Rosi, 88 anni

    Francesco Rosi, 88 anni

     

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    Il regista celebrato alla Cinémathèque: "Li ho descritti senza il gusto dell’avventura oggi invece tanto diffuso"

    FULVIA CAPRARA

    ROMA

  • alphonsedoria wrote:

    I pappagalli del cavaliere
    Creato il 30 aprile 2011 da Casarrubea

    I pappagalli del cavaliere

    La folla tenuta a distanza (foto Montalto, archivio Corseri)

    Sono quasi vent’anni che studio i retroscena e i lati oscuri della storia italiana dal 1943 in poi. Un lavoro che ho sempre sentito il dovere di divulgare attraverso  la pubblicazione di molti libri (FrancoAngeli e Bompiani) e, da qualche anno, sul blog che state leggendo. Una ricerca che ho iniziato nel lontano 1994 con lo studio delle carte del processo di Viterbo e del successivo Appello di Roma concernenti la strage di Portella  della Ginestra (1° maggio 1947), di cui domani ricorre il 64° anniversario.

    Mi sarei aspettato stima e approvazione per questo mio lavoro. Soprattutto dalle forze sindacali e politiche della sinistra, nonché dal mondo della storiografia accademica. Invece no. La mia fatica ha attirato critiche e malumori, assai più che dalla destra fascista e berlusconiana. O peggio ancora l’ignoramento. Mi sono cascati addosso persino dei processi, come quello intentatomi dal generale dell’Arma Roberto Giallombardo, nel 1997, conclusosi con la mia assoluzione dieci anni dopo.

    Sono poi venute altre ricerche e pubblicazioni, conseguenza diretta della mia collaborazione con lo storico Nicola Tranfaglia e con il ricercatore  argentino Mario J. Cereghino.

    I misteri sulla vita e sulla morte di Salvatore Giuliano mi hanno sempre intrigato, anche perché fu proprio un commando della sua banda a uccidere, il 22 giugno 1947, mio padre, un dirigente sindacale, e Vincenzo Lo Iacono, nel corso di un violento attacco terroristico contro la sede del Pci e della Camera del Lavoro di Partinico (Palermo). Era lo svolgimento coerente dell’azione stragista avviata già con l’assalto alla Federterra di Alia (1946) e culminata il 1° maggio 1947 con Portella.

    Non mi sono mai arreso e ho sempre ritenuto nemici coloro che mi hanno impedito di parlare, di approfondire, di esprimere la mia voce. Così, sollecitato dal mio amico Tranfaglia,  ho scritto “Storia segreta della Sicilia”, e poi con Cereghino “Tango Connection” e “Lupara nera”, tutti pubblicati da Bompiani.

    Nel corso delle mie indagini ho ricevuto documenti, testimonianze e attestati da parte di decine di persone che hanno creduto nella mia serietà e nella scientificità della mia ricerca. Nel 2004, il professore Alberto Bellocco, perito medico legale di fama nazionale, mi inviò un report di dodici pagine corredate da cinque foto “attribuite al bandito Giuliano (Castelvetrano, luglio 1950)”. Bellocco in sintesi, a pagina 6, scrive: “Da queste sommarie considerazioni, si possono sicuramente esprimere dei seri dubbi sulla possibilità che le foto portatemi in visione possano essere attribuite allo stesso cadavere ed allo stesso evento. Infatti si può senza dubbio affermare che le foto A, B, C siano relative ad un cadavere, mentre le fotografie D ed E siano sicuramente attribuibili ad una stessa salma, ma diversa dalla precedente”. E conclude: “Le due salme non sembrano appartenere alla stessa persona.”

    I pappagalli del cavaliere

    Castelvetrano, Cortile Di Maria, 5 luglio 1950 (foto Montalto, archivio Corseri)

    L’anno scorso, avvicinandosi il 60° anniversario del conflitto a fuoco che avrebbe portato alla morte del terrorista monteleprino, ho ritenuto opportuno scrivere al dott. Alessandro Marangoni, questore di Palermo. Il 5 maggio 2010, in una missiva firmata anche da Cereghino, chiedevo che le autorità competenti intraprendessero “un’indagine conoscitiva per accertare la vera identità della persona uccisa nel cortile dell’avvocato Di Maria (Castelvetrano), la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950. […] Gli scriventi ritengono che vi siano fondati motivi per ritenere che il cadavere ritratto nel suddetto cortile e nell’obitorio del cimitero di Castelvetrano, non sia la medesima persona ritratta in decine di fotografie e in un filmato del dicembre 1949, come il bandito Salvatore Giuliano”.

    Il 5 luglio 2010 sono stato convocato dai Pm Sava, Guido, Del Bene, Viola, alla presenza del sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Antonio Ingroia. Nel corso della mia audizione ho consegnato ai Pm copia del report del professore Bellocco e diverse decine di fotografie sulla vicenda Giuliano negli anni 1943-1950. Sono immagini tratte da archivi fotografici privati, rotocalchi e giornali come, ad esempio il numero speciale de “L’Europeo” del giugno 2001, intitolato “Cinquant’anni di gialli”. All’interno di questo magazine vi è un ampio servizio, “La morte del bandito Giuliano: chi ha ucciso Turiddu?”, con articoli firmati da Tommaso Besozzi, Nicola Adelfi, Claudio Carabba (pp. 52-67).

    I miei obiettivi erano tre:

    1)      Mettere al corrente i magistrati della perizia del professore Bellocco;

    2)      fornire loro una serie di informazioni riservate sul caso Giuliano, di cui ero venuto a conoscenza in virtù dei miei studi;

    3)      invitarli a raffrontare le decine di foto scattate la mattina e il pomeriggio del 5 luglio 1950 a Castelvetrano. Sono immagini che ritraggono un corpo che giace bocconi nel cortile Di Maria e  un corpo  adagiato all’obitorio di Castelvetrano e nello spiazzo antistante.

    Nelle settimane seguenti ho continuato a fornire ai Pm altre collezioni fotografiche riguardanti la scena del delitto. Soprattutto, ho suggerito di mettere a raffronto due preziosi filmati su Turiddu Giuliano. Ovvero: il filmato di Ivo Meldolesi, realizzato nelle campagne di Salemi alla fine del 1949, e il famoso cinegiornale Luce proiettato nelle sale cinematografiche di tutta Italia il 12 luglio 1950, in cui si vede chiaramente un cadavere nello spiazzo antistante l’obitorio di Castelvetrano.

    Dunque le foto analizzate dal professore Bellocco sono genuine, a differenza di ciò che hanno …

  • alphonsedoria wrote:

    FILM “LA LEGGENDA SENZA STORIA”, ispirato a Salvatore Giuliano, di Giovanni Fondacaro.

    Posted by admin on mag 10th, 2011 and filed under Palermo. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

    L’Albamed Production annuncia i prossimi casting che si terranno a Montelepre nel mese di Luglio, presente il regista Enzo Girolami Castellari, Angelo Russo, alias Catarella, ospite d’onore, Massimiliano Di Stefano, musicista, che curerà la colonna sonora del Film, in giuria il cast completo dell’Albamed Production.

     

    REGIA :ENZO GIROLAMI CASTELLARI regista, sceneggiatore, attore, montatore e produttore cinematografico italiano, figlio del regista Marino Girolami e nipote del regista Romolo Guerrieri.
    Aiuto Regia Nicola di Battista .
    con Fabio Manuel Mulas nel ruolo di Salvatore Giuliano, Angelo Russo alias “catarella” serie Montalbano,Nicola Costa attore, regista e drammaturgo,Giacomo Famoso della serie “Il Capo dei Capi”,Davide Giuffrida Attore,Egidio Carbone drammaturgo regista e attore ed Emanuele Gulino per la prima volta sul grande schermo.L’ Albamed Production annuncia che in Luglio si terranno i Casting presso una location patrocinata dalla Pro-Loco e dal Comune di Montelepre, (Pa).
    Il regista Castellari ha al suo attivo i seguenti film, ne citiamo alcuni per ovvi motivi.
    La polizia incrimina, la legge assolve (1973)
    Il cittadino si ribella (1974)
    Cipolla Colt (1975)
    Le avventure e gli amori di Scaramouche (1976)
    Il grande racket (1976)
    Keoma (1976)
    La via della droga (1977)
    Quel maledetto treno blindato (1977)
    Sensività (1979)
    Il cacciatore di squali (1979)
    Il giorno del Cobra (1980)
    L’ultimo squalo (1981)
    1990: I guerrieri del Bronx (1982)
    I nuovi barbari (1983)
    Fuga dal Bronx (1983)
    Tuareg – Il guerriero del deserto (1984)
    Colpi di luce (1985)
    Sinbad (1987)
    Striker (1987)
    Hammer (1987)
    Jonathan degli orsi (1994)
    Caribbean Basterds (2009)
    Come Attore:
    Un canto nel deserto, regia di Marino Girolami (1960)
    Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds), regia di Quentin Tarantino (2009) – …

  • alphonsedoria wrote:

    Cronaca | 20/10/2010 | ore 15.15 »

    Sicilia: nipote bandito Giugliano, almeno sapro' a chi porto i fiori da 40 anni

    Roma, 20 ott. – (Adnkronos) – ''Aprire la tomba di Salvatore Giuliano? La cosa non mi fa per nulla contento''. Cosi' ai microfoni di CNRmedia il nipote di Giuliano, Salvatore Sciortino, in vista della riesumazione prevista il 28 ottobre. ''Ci porto i fiori da oltre 40 anni – dice Sciortino – ma visto che si e' venuta a creare questa situazione di mistero e curiosita' intorno a questa tomba, a questo punto sono curioso pure io e voglio scoprire a chi ho portato i fiori per tutti questi anni. A questo punto e' importante fare chiarezza anche per me. Sono curioso di vedere se quella e' la tomba di mio zio".

    Sciortino ha parlato anche della figura dello zio. ''Il mito di Giuliano esiste, eccome. Certo, – continua Sciortino – adesso che c'e' la crisi economica persone che vengono dall'estero ce ne sono meno ma quando l'economia tirava, almeno due o tremila persone venivano ogni anno in pellegrinaggio, per vedere la casa, la tomba. Il mito di Giuliano c'e', a distanza di 50 anni. Mi piacerebbe che Giuliano venisse ricordato come il simbolo della ribellione del sud oppresso e sfruttato".

    "Giuliano in realta' era il braccio armato del movimento per la liberazione della Sicilia, – conclude Sciortino – la sua formazione militare era chiamata 'Brigata Palermo', non la 'banda di Giuliano' come diceva lo Stato. Nella 'Brigata Palermo' c'erano cinque reparti, quattro maschili e uno femminile. E quello femminile lo guidava mia madre''.

  • alphonsedoria wrote:

    Nuovo colpo di scena nel caso di Salvatore Giuliano, il leggendario bandito accusato della strage di Portella della Ginestra creduto morto per 60 anni e che invece, sempre che sia morto, se ne sarebbe andato appena qualche anno fa, dopo aver trascorso una vita serena negli Stati Uniti, dove era fuggito protetto da Cosa nostra e dai servizi segreti a stelle e strisce. Uno storico siciliano che da anni scava alla ricerca di verità sulla vicenda, Giuseppe Casarrubea e il ricercatore Mario J. Cereghino, hanno scovato alcuni giornali americani del 1950, l'anno della «morte» ufficiale di Giuliano a Castelvetrano (Trapani). E un giornale del 18 giugno (poche settimane prima del delitto, che risale al 5 luglio del 1950), il Chicago Daily Tribune, titolava, a tutta pagina: «Il re dei banditi siciliani sarebbe sano e salvo negli Usa». E se il 18 giugno del 1950 Giuliano era negli Usa, non poteva essere il 5 luglio in Sicilia, nelle campagne in provincia di Trapani, a farsi ammazzare. 

    La notizia, pubblicata da «La Stampa», aggiunge un ulteriore tassello al giallo della morte del bandito. Un giallo nato subito dopo la sua uccisione piena di misteri (Tommaso Besozzi, in un celebre reportage su L'Europeo, aveva iniziato il suo articolo scrivendo: «Di sicuro c'è solo che è morto») e che ha ripreso vigore negli ultimi mesi, dopo che la Procura di Palermo ha disposto la riapertura del caso e la riesumazione della salma per anni sepolta col nome di Salvatore Giuliano, per stabilire una volta per tutte la verità. I giornali trovati da Casarrubea e Cereghino saranno presto messi a disposizione del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che coordina l'indagine su questa intricata vicenda. Secondo i due storici, Giuliano sarebbe fuggito dalla Sicilia alla volta della Tunisia, a bordo di un peschereccio, e da lì, protetto dalla mafia e dai servizi segreti americani, si sarebbe imbarcato alla volta dell'America. Con lui ci sarebbe stato il cognato, Pasquale Sciortino, effettivamente arresta,to negli States due anni dopo, nel 1952, in Texas. La presenza negli Usa del bandito, quando il Chicago Daily Tribune pubblicò la notizia, fu smentita dal capo della Polizia di Boston e dal ministro dell'Interno italiano, Mario Scelba. Ma la storia fu ripresa anche da altri giornali. Non solo. Giusto in quei giorni, sempre negli Stati Uniti, fu arrestato il boss di Cinisi Gaetano badalamenti, che della banda Giuliano avrebbe fatto parte sino al 1947. 

    Insomma, il giallo si infittisce di un ulteriore tassello. Il primo esame del dna sul cadavere riesumato, per i pm, non ha dato una risposta esaustiva, anche se c'è una compatibilità con i familiari di Giuliano ancora in vita. Il mistero continua. In attesa che nel 2016, su quella strage e sul bandito dei misteri, cada il segreto di Stato

  • alphonsedoria wrote:

    Salvatore Giuliano? La verità dall’Fbi
    Creato il 06 giugno 2011 da Casarrubea

    “GLI ARCHIVI DELL’FBI, A WASHINGTON, POTREBBERO FINALMENTE SVELARE LA VERITA’ SU SALVATORE GIULIANO”

    NEI QUOTIDIANI AMERICANI, SPUNTA A SORPRESA ANCHE IL NOME DEL BOSS DI COSA NOSTRA GAETANO BADALAMENTI, “UN EX LUOGOTENENTE DI SALVATORE GIULIANO”. BADALAMENTI, NEL 1978, ORDINERA’ L’ASSASSINIO DI PEPPINO IMPASTATO A CINISI, IN SICILIA

    *

    Salvatore Giuliano? La verità dall’Fbi

    Tano Badalamenti, capomafia di Cinisi

    L’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Portella della Ginestra e di altre stragi avvenute in Sicilia, lancia un appello affinchè la Procura della Repubblica di Palermo attivi una rogatoria internazione per acquisire i fascicoli dell’Fbi e dell’Ufficio Immigrazione degli Stati Unitid’America, a Washington, riguardanti una serie di personaggi appartenenti a Cosa Nostra e alla criminalità organizzata siculo-americana, fuggiti in America nella seconda metà degli anni Quaranta. A cominciare da Gaetano Badalamenti, Frank Coppola, Pasquale ‘Pino’ Sciortino, e, naturalmente, Salvatore Giuliano.

    L’analisi dei quotidiani statunitensi degli anni 1949-’50 ci conferma, infatti, l’esistenza di indagini effettuate fino al settembre 1952, data in cui l’Fbi arresta Sciortino in una base della U.S. Air Force, nel Texas.

    Per adesioni scrivete a: [email protected]

    *

    “Il mese scorso, Giuliano sarebbe partito dal suo rifugio nelle colline di Montelepre per raggiungere Palermo. Con l’aiuto degli uomini della sua banda e della mafia, Giuliano avrebbe quindi raggiunto Licata per poi imbarcarsi in una nave battente bandiera francese.”

    E’ 18 giugno 1950 quando il giornale statunitense “Chicago Daily Tribune”, nell’Illinois, pubblica la clamorosa notizia della fuga in America di Salvatore Giuliano, siciliano di Montelepre, classe 1922, di professione bandito e terrorista, autore di oltre 400 omicidi nell’isola tra il 1943 e il 1950. Il titolo è inequivocabile: “Il re dei banditi siciliani sarebbe sano e salvo negli Stati Uniti.”

    Una conferma, questa, alle non poche testimonianze secondo le quali, nel maggio del 1950, il capobanda avrebbe segretamente abbandonato la grande isola mediterranea a bordo di un peschereccio partito da Selinunte o da Porto Palo, per raggiungere la Tunisia e, da lì, il Nuovo Mondo. Sotto la protezione di Cosa Nostra e della Cia.

    Sono stati lo storico Giuseppe Casarrubea e il ricercatore Mario J. Cereghino a scoprire e ad analizzare questo report e decine di altri articoli di quotidiani e settimanali, nel corso di un lunga indagine compiuta negli archivi inglesi, americani e italiani. Un anno fa, i due studiosi hanno scritto al Questore di Palermo, chiedendo di “intraprendere un’indagine conoscitiva per accertare la vera identità della persona uccisa nel cortile dell’avvocato Di Maria, a Castelvetrano (Trapani), la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950”. La loro richiesta è stata accolta e la Procura della Repubblica di Palermo ha riaperto il caso Giuliano. Nell’ottobre del 2010, la presunta salma del capobanda è stata riesumata nel cimitero di Montelepre (Palermo), per essere sottoposta all’esame del Dna. Era presente il dott. Antonio Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica diPalermo.

    *

    Secondo il quotidiano di Chicago, nel giugno del 1950 “l’affascinante killer si troverebbe a Boston” in compagnia del cognato, Pasquale Sciortino, bandito anche lui, “che scomparve diverso tempo fa dallaSicilia e il cui nome suscita il medesimo terrore evocato da Giuliano”.

    Le fonti dell’articolo sono l’agenzia Reuters e un giornale della comunità italiana di Boston, “Il Momento”. Sciortino sarà arrestato a San Antonio(Texas) nel …

  • alphonsedoria wrote:

    (ANSA) – PALERMO, 13 GIU – Resta ancora senza risposta il giallo su Salvatore Giuliano. Dai reperti certamente attribuibili al bandito, analizzati su disposizione della Procura di Palermo dai medici legali incaricati di accertare se quello sepolto sia il corpo del''re di Montelepre'', non e' possibile estrarre il dna utile a una comparazione col profilo genetico del cadavere riesumato nei mesi scorsi.

    Un nuovo nulla di fatto di cui la Procura e' stata informalmente avvisata dai consulenti che non hanno ancora depositato, pero', la loro relazione.(ANSA).

  • anonimo wrote:

    Un tour sui luoghi 
    dei capolavori, dal 
    valzer di Luchino V
    isconti al teatro di 
    Marlon Brando

    LAURA ANELLO

     

    Esplosero in lacrime, le turiste francesi, nel vedere la foto di Christopher Lambert su un altarino ricolmo di fiori e candele. «Il est mort?», chiesero sconvolte, mentre un assistente alla regia si precipitava a rassicurarle: «Tranquille, è solo un film». Un aiuto scenografo si era dimenticato quella laicissima edicola vicino al cuore barocco di Palermo, i Quattro Canti, nella scena della città a lutto per la morte di Salvatore Giuliano, il bandito indipendentista. Era il 1986, si girava «Il siciliano» con il divo francese.

    Adesso c’è un gruppo entusiasta di curiosi, su quelle vecchie strade, a partecipare a un tour lungo due chilometri sulle tracce dei film girati in città, in spalla un registratore con le colonne sonore. Palazzi e teatri, vicoli e chiese, balli e scene di massa, protagonisti e comparse. La storia di cinquant’anni di cinema attraverso i suoi luoghi, un’idea dell’associazione Hombre che così, con un’iniziativa per cui non si paga un solo euro, rende omaggio a una delle città più cinematografiche del pianeta, «un set naturale», per dirla con lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino.

    E «Palermo è tutta un set» si chiama il giro, condotto da quel vulcano di aneddoti che è Mario Pintagro, il quale parte regalando ai partecipanti un augurale pezzo di pellicola. Si comincia da «Il viaggio» di De Sica, si chiude con il ballo del «Gattopardo», il capolavoro entrato – insieme con le mascelle rigonfie di Marlon Brando-Padrino – nell’immaginario collettivo della Sicilia cinematografica. Eccola, quindi, la Cattedrale di Palermo, «così unica, così irripetibile, un patchwork di stili», per dirla con De Sica che ne era stregato. «Il viaggio» fu il suo ultimo film, nel 1974, con una tristissima Sophia Loren innamorata da sempre del cognato Richard Burton.

    Da lì si risale a piedi per piazza Bologni, il set dell’adunata dei separatisti che chiedono l’indipendenza della Sicilia in «Salvatore Giuliano», la pellicola con cui Francesco Rosi, nel 1962, inaugura il filone dei film-inchiesta. Sbuca un vecchietto: «Io feci la comparsa, ci dicevano di correre e di gridare», racconta. Il protagonista non si vede mai in faccia, sempre di spalle, «una scelta che ha alimentato il mito del bandito imprendibile», sostiene lo storico Giuseppe Casarrubea, quello che ha ottenuto la riapertura del caso sulla vera fine del bandito di Montelepre.

    Da lì, imboccando un vicolo, si passa per la moschea di piazza Gran Cancelliere, con il sole che accarezza le volute dei balconi nobiliari, che svela le dimore ancora sventrate dalle bombe del 1943. Una curva e appare la gigantesca sagoma del Massimo, il terzo teatro lirico in Europa, così gigantesco da suscitare un dibattito, all’indomani dell’Unità. «Ma Palermo aveva davvero bisogno di un teatro così grande?», sbottò Re Umberto nel 1897. Qui, dove la leggenda vuole che si aggiri il fantasma di una monaca che abitava nel convento sfrattato per fare posto alla costruzione, Coppola girò la scena madre del «Padrino parte III», con un anziano Michael Corleone che va ad assistere all’esordio nella lirica del figlio.

    «E il cinema, poiché è finzione – dice Mario Pintagro – può fare avverare anche i sogni: il Massimo era chiuso da 16 anni quando Coppola, nel 1990, lo scelse come location, un restauro eterno che sembravanonfinire mai. Il film fece il miracolo di farlo tornare vivo, anche se solo per pochi giorni». Per riaprirlo sul serio si dovette aspettare il 1997, miracolo della Primavera della città poi sfiorita.

    Poi si va ai Quattro Canti, set di una scena di «Palermo Shooting», il film che ancora fa litigare davanti al giudice il regista Wim Wenders e l’attuale sindaco di Palermo, Diego Cammarata, che gli negò un finanziamento promesso dopo avere saputo – sostiene Wenders – che nella pellicola era stato chiamato per un cameo il suo ingombrante predecessore, Leoluca Orlando. E sempre qui, nel ventre barocco della città, gli altarini di Christopher Lambert nel film «Il siciliano», agiografia di Salvatore Giuliano. Tappa successiva in via Maqueda, dove venne girato «Porte aperte», tratto da Sciascia, con un superbo Gian Maria Volontè nei panni di un giudice che vuole guardare oltre l’apparenza di un delitto.

    Da lì sulle tracce delle scene di «Dimenticare Palermo», un altro film di Rosi, uno degli ultimi di Vittorio Gassman, che impersona il nobile condannato dalla mafia a vivere recluso nell’Hotel des Palmes. Qui, sul corso Vittorio Emanuele che taglia la città dai monti al mare, il film fece rivivere fuori stagione il festino di Santa Rosalia.

    Adesso si svolta per il mercato della Vucciria, e la colonna sonora è il rap di «Tano da morire», lo sfottò alla mafia che rivelò Roberta Torre. Si chiude nelle scuderie di Palazzo Ganci, la dimora del valzer tra Tancredi e Angelica che suggella l’unione tra la società dei gattopardi e i nuovi ricchi. Appaiono due comparse in costume, il pubblico urla: «Biiis».

    Si balla e si riballa. D’altronde, la scena prende quasi un terzo del film. E il cinema, si sa, è vita.

     

     

     

     

  • alphonsedoria wrote:

    ULTURA
    CHIARAMONTE GULFI – 26/09/2011

    Incontro-dibattito a Chiaramonte organizzato dall’associazione «ChiamalaSicilia»

    I fermenti politici nella Sicilia del secondo dopoguerra
    Alla sala «Sciascia» di Chiaramonte Gulfi, il giornalista-scrittore Pippo Firrincieli e lo storico Nunzio Lauretta hanno fatto rivivere la stagione separatista con riflessioni su Antonio Canepa e Andrea Finocchiaro Aprile

    Redazione

    Incontro-dibattito dedicato alla Sicilia e alla sua storia più recente, quello organizzato ieri all’interno di quel piccolo gioiello architettonico che è la «Sala Sciascia», dal gruppo dirigente di CHIAMALASICILIA di Chiaramonte Gulfi. Della Sicilia del secondo dopoguerra, degli uomini che si batterono per una Sicilia Nazione libera e federata, di quelli che, invece, operarono per il compromesso autonomistico e l’ottenimento dello Statuto speciale si sono occupati i relatori intervenuti, Pippo Firrincieli e Nunzio Lauretta. Moderatore del pomeriggio di riflessione, presentato da Vito Morando, coordinatore cittadino di CHIAMALASICILIA PER CHIARAMONTE GULFI, è stato il giornalista Giuseppe La Lota.

    E’ stato, fra l’altro, presentato al pubblico chiaramontano un video realizzato da Pippo Firrincieli sulla cronaca siciliana e nazionale degli anni tra il 1943 ed il 1948; subito dopo le due relazioni degli studiosi e le provocazioni del moderatore hanno riempito il pomeriggio di spunti di riflessione e di importanti contenuti, alcuni assolutamente inediti.

    Firrincieli ha sviluppato soprattutto il tema della stagione separatista e dei suoi protagonisti: da Andrea Finocchiaro Aprile ad Antonio Canepa, da Attilio Castrogiovanni a Concetto Gallo, legando sapientemente quell’esperienza al contesto culturale e storico-politico maturato a cavallo tra la fine del secondo conflitto mondiale e l’avvento dell’Italia repubblicana.

    Nunzio Lauretta si è preoccupato di disegnare, innanzitutto, i quadri generali di quel torno di tempo e, successivamente, di mettere a nudo tutte le contraddizioni che hanno connotato lo sbarco anglo-americano in Sicilia e gli eventi successivi: a partire dalla falsa propaganda «alleata» circa la soluzione prossima del problema alimentare che affliggeva la popolazione isolana, passando per la nefasta politica dell’ammasso obbligatorio attraverso l’istituzione dei cosiddetti «Granai del Popolo», con risultati assolutamente fallimentari, e fino alla nefasta stagione del «mercato nero», in mano agli intrallazzasti, figure che – ha sostenuto Nunzio Lauretta – condizionarono e non poco il libero dibattito democratico della nuova Sicilia. 

    La domanda se «Salvatore Giuliano può essere definito bandito, mafioso o eroe?», ha consentito al professore Lauretta di affrontare il più ampio tema del rapporto innaturale che ha dato vita alla Sicilia contemporanea ed autonomista, che ha visto la mafia recitare un ruolo di protagonista a fianco degli anglo-americani nell’occasione dello sbarco e, soprattutto, nella fase di gestione dell’AMGOT, alla cui guida era stato posto Charles Poletti, e che vide consegnare nelle mani di noti mafiosi come don Calogero Vizzini e Genco Russo la gestione, nella qualità di sindaci, delle municipalità siciliane, soprattutto nella parte centro-occidentale dell’Isola. 

    Sulla figura di Salvatore Giuliano e sul mistero che avvolge la sua morte si è soffermato il relatore, mettendo a nudo dubbi e contraddizioni che caratterizzarono il comportamento delle forze dell’ordine, a partire dalla sceneggiata della morte del bandito organizzata a beneficio della stampa e dell’opinione pubblica, ma immediatamente sventata e denunciata dall’inviato dell’Europeo Tommaso Besozzi, per finire al rapporto che legò il «re di Montelepre» alle diverse forze politiche e alla sua esperienza di «separatista», laddove accettò di diventare colonnello dell’EVIS durante il secondo incontro con Concetto Gallo sul monte Sàgana. 

    Per Lauretta Giuliano fu sicuramente bandito, non è assimilabile alla mafia, che semmai se ne servì, forse fino a «venderlo» allo Stato dietro la taglia di cinquanta milioni che pendeva sulla testa di Turiddu. Circa la terza ipotesi – quella di Giuliano/eroe –Lauretta, dopo aver precisato che il termine eroe è parecchio impegnativo, si è detto convinto che Salvatore Giuliano è stato elevato al rango di eroe romantico, l’ultimo e il più grande del Novecento, dal popolo: per lui, infatti, sono scesi in capo poeti e cantastorie con tutto il loro armamentario di ballate e di cartelloni, esattamente come per gli eroi dell’Opra dei Pupi e per la Barunissa di Carini. «Verrebbe da chiedersi – ha concluso Lauretta – «vox populi, vox Dei?», beh, questo rimandiamolo al 2016, quando finalmente, scaduti i termini fissati dalla legge, saranno messi a disposizione degli studiosi i documenti riguardanti la vicenda Giuliano, fin qui sottoposti al cosiddetto «segreto di Stato».

  • alphonsedoria wrote:

    Mistero sulla morte di Salvatore Giuliano, sparito il fascicolo

    I pm cercavano i referti per l'esame del dna, del famoso bandito

    Un giallo nel giallo. Il mistero della morte di Salvatore Giuliano si arricchisce di un nuovo colpo di scena.Il fascicolo aperto subito dopo l'omicidio del responsabile della strage di Portella della Ginestra, avvenuto il 5 luglio del 1950, è sparito. A scoprire l'ammanco, i pm di Palermo che hanno riaperto l'inchiesta sul delitto: hanno cercato invano l'incartamento per esaminare il referto firmato dal medico legale dopo il decesso. In questo delitto ormai sembra tutto messo in discussione: i pubblici ministeri infatti ipotizzano che quello sepolto nel cimitero di Montelepre non sia il cadavere del bandito e per fare luce su questo mistero hanno cercato gli incartamenti dell'epoca. Ma delle conclusioni dell'esame autoptico e del fascicolo non c'è traccia. Né in Procura, né all'Archivio storico di Palermo dove tutti gli atti di inchieste penali devono essere portati dopo 50 anni. Il mistero si infittisce, e a nulla sono serviti il raffronto con i familiari in vita di Giuliano e neppure il confronto sui resti organici trovati sui vestiti. La Procura ora potrebbe decidere di riesumare i genitori di Giuliano e confrontarne il dna con quello del cadavere sepolto a Montelepre.

  • alphonsedoria wrote:

    POTREBBERO ESSERE RIESUMATI I GENITORI - La procura attende intanto il deposito ufficiale della consulenza degli esperti, che hanno comparato il dna trovato su alcuni oggetti appartenuti al bandito con quello del corpo sepolto e riesumato. Il raffronto con i familiari in vita di Giuliano non ha portato a nessuna conclusione. Per stroncare ogni dubbio sulla morte del bandito, i pm potrebbero perciò decidere di riesumare i genitori del “re di Montelepre”. Il confronto del loro dna con quello del cadavere sarebbe risolutivo, per accertarne l’identità. E per archiviare il sospetto che ad essere ucciso al suo posto sia stato un sosia o il fratello di Salvatore Giuliano, come sostengono alcuni studiosi.

     

     

    m.l.

     

    Aggiornato al 29 settembre 2011

  • alphonsedoria wrote:

    La storia in tribunale: il caso Giuliano/Fra’ Diavolo
    Creato il 30 settembre 2011 da Casarrubea

    La storia in tribunale: il caso Giuliano/Fra’ Diavolo

    Giuseppe Casarrubea: una lezione a Portella, 23 settembre 2011

    Qualcuno, da quando è stata riesumata la salma del bandito Salvatore Giuliano (28 ottobre 2010), ha manifestato segni di insofferenza per un inesistente spreco di denaro che l’azione dei giudici avrebbe provocato. Non sappiamo quanto possa costare l’esame di un Dna, ma certamente, se questo serve ad accertare la verità e a rendere giustizia a centinaia di famiglie, nonostante il tempo decorso, i soldi spesi sono sacrosanti e benedetti. Anzi, preannunciamo che i familiari delle vittime faranno richiesta di nominare un perito legale in loro rappresentanza, nel caso i giudici dovessero decidere la riesumazione del corpo della madre del bandito. L’unico atto che potrà dare certezza matematica all’identità del
    cadavere giacente da sessant’anni nella tomba di famiglia Giuliano di Montelepre.

    Di mezzo non c’è solo un bandito morto, ma decine di stragi, da Portella della Ginestra (1947) a Bellolampo (1949), centinaia di carabinieri uccisi, per lo più ragazzi del Nord
    venuti in Sicilia per dare il loro contributo alla lotta contro la mafia e la
    criminalità, centinaia di civili uccisi, perché ritenuti spie o, semplicemente,
    ostili a Giuliano. Un capo, questi, a suo modo militare, trasformato dalla
    stampa in Robin Hood o in un fanatico benefattore dell’umanità derelitta. Fu invece uno spietato e sanguinario criminale politico. Un terrorista nero ante litteram.

    Tanto importante per il potere costituito che tra i misteri che hanno investito, dopo morto, il “re di Montelepre”, ce ne sono almeno tre curiosi. Il primo è la sparizione del calco in gesso che ebbero a fare sul volto del cadavere del presunto Giuliano, nella sala dell’obitorio di Castelvetrano, il perito legale e i tecnici che lo coadiuvarono (1950).

    La storia in tribunale: il caso Giuliano/Fra’ Diavolo

    L'Europeo giugno 2001, 013

    Il calco fu preparato per il Museo criminale di Roma e da qui, pare, il prezioso oggetto è sparito unitamente alla cintura dei pantaloni che riportava l’emblema del bandito. Il secondo è la sparizione del registro delle firme nella cappella gentilizia dei Giuliano, avvenuta qualche anno fa; il terzo, la sparizione del fascicolo contenente l’autopsia effettuata dal perito medico-legale Ideale Del Carpio. Lo stesso medico che ha fatto l’analisi dei resti di Peppino Impastato dopo che Tano Badalamenti ebbe a farlo saltare in aria, fingendo un suicidio, sui binari della stazione di Cinisi. Tutti e tre gli episodi hanno a che fare
    con l’identità di Giuliano o con qualche soggetto interessato a impedire che
    tale identità fosse in qualche modo provata.

    Quella della identità del bandito monteleprino è una vicenda che si collega ad altri misteri che riguardano sempre i componenti della banda Giuliano.

    Riportiamo, di seguito, le sedute del processo intentato dal generale dell’Arma, in pensione, Roberto Giallombardo contro chi scrive. Il primo, all’epoca dei fatti, era capitano e guidava la caserma di Alcamo. Nel corso dei Mille di questa città del
    trapanese, la notte tra il 26 e il 27 giugno 1947, i carabinieri, stando a un
    rapporto ufficiale datato 1° luglio 1947, aprivano un conflitto a fuoco con la
    squadra di Salvatore Ferreri, alias ‘Fra Diavolo, membro autorevole della banda.
    Cioè di una formazione neofascista che aveva rapporti organici con varie
    autorità italiane e straniere, e che, sul modello delle bande antititine della
    Yugoslavia degli anni 1941-1943, era dipendente dalle stesse forze dell’ordine
    (vedi, ad esempio, la banda Collotti nel Nord-est della penisola).

    Le testimonianze degli storici e delle autorità intervenute a favore della difesa, e le stesse
    dichiarazioni della parte offesa, rese in tribunale nell’anno 2004, costituiscono un contributo notevole alla comprensione di questo mistero e chiudono definitivamente un capitolo oscuro della storia della Sicilia e dell’Italia. Vale, perciò, la pena
    riportarle.

  • alphonsedoria wrote:

    P

    alermo, 29 gen. – (Adnkronos) – "Un'iniziativa piu da romanzo giallo che da attivita' giudiziaria e investigativa. Mi chiedo a cosa poteva servire a distanza di oltre mezzo secolo accertare se la salma sepolta al cimitero di Montelepre fosse o meno quella del bandito, Salvatore Giuliano, o se le intuizioni dello storico Casarubea dovevano essere verificate a spese dello Stato e, quindi, di tutti noi contribuenti". Lo dice il parlamentare regionale siciliano del Pdl, Salvino Caputo, in ordine alle risultanze della perizia comparativa sui resti del bandito.

    "Ho sempre avuto grande rispetto della magistratura e, in particolare, dei giudici di Palermo – continua – ma cio' non toglie un giudizio di totale inopportunita' sull'impiegare risorse finanziarie e sottrarre tempo a indagini delicate per inseguire un'ipotesi piu' storiografica e romanzesca che investigativa. Ho chiesto al presidente della Regione con un'interrogazione parlamentare di conoscere quanto sia costata allo Stato l'indagine sulla comparazione del dna tra i resti del bandito Giuliano e il nipote".

    29/01/2011

  • alphonsedoria wrote:

    (ANSA) – PALERMO, 1 NOV – E' di un metro e settanta al massimo l'altezza dell'uomo sepolto nella bara di Salvatore Giuliano. Il dato non scioglie tutti i dubbi e non chiarisce il mistero, sull'identita' del cadavere riesumato venerdi' scorso.

    Secondo i ricordi dei familiari del bandito, il loro congiunto era infatti alto piu' di un metro e ottanta. Il medico legale, Livio Milone, e' stato incaricato dalla Procura di Palermo di effettuare l'esame del dna sui resti, unico test certo per stabilire chi sia stato sepolto per oltre 60 anni nel cimitero di Montelepre.(ANSA).

  • alphonsedoria wrote:

    8 novembre 2010 - Palermo- Le immagini del cadavere del bandito Salvatore Giuliano dopo la sua riesumazione, si trovano ora nel fascicolo aperto dalla Procura di Palermo che ha riaperto il caso per sospettoomicidio e sostituzione di cadavere.
    Saranno presto effettuate le verifiche che consentiranno di sapere se quel corpo appartiene al “re di Montelepre“. L’esame dei resti sarà effettuato dal medico legale Livio Milone al quale i magistrati hanno affidato l’incarico.
    Dalle immagini del corpo riesumato il cranio appare adagiato su alcuni frammenti di una giacca di velluto. Si notano alcuni capelli, mentre intorno alla calotta cranica c’è un taglio effettuato per  un intervento chirurgico. Sul torace si trova un segno a forma di“Y”, fatto forse durante un’autopsia.
    Sulpube c’è un pezzo di stoffa, mentretra le gambe ci sono due scarpe. Il corpo sarebbe stato sepolto nudo. Da alcune ossa e dai capelli, un collegio di periti dovrà estrarre ilDna e confrontarlo con quello deifamiliari di Giuliano.Lo scheletro, dalle immagini appare  inbuone condizioni.
    La bara in zincoricoperta di legno intarsiato, con una grande croce impressa sopra, non presenta le targhe che riportanodata di nascita e di morte. Lo scheletro presenta unafrattura scomposta dell’omero e sullascapola sinistra c’è unsegno, come se fosse stata scalfita da uncolpo.
    Prima di essere tumulata nella cappella di famiglia a Montelepre, labara è stata seppellita in un altro luogo dove è rimasta alcuni anni.
     

  • alphonsedoria wrote:

    P

    alermo, 12 nov. – (Adnkronos) – Sara' comparato con il nipote Giuseppe Sciortino Giuliano il dna della salma del bandito Salvatore Giuliano riesumata due settimane fa dal cimitero di Montelepre (Palermo). Il medico legale Livio Milone, che ha eseguito la nuova autopsia sul cadavere riesumato, ha individuato il nipote per la comparazione del dna perche' e' il parente piu' prossimo ancora in vita. Giuseppe Sciortino Giuliano, che ha aggiunto il secondo cognome alcuni anni fa, e' il figlio della sorella del bandito di Montelepre ucciso il 5 luglio 1950 a Castelvetrano (Trapani).

    La procura di Palermo ha avviato una nuova inchiesta sulla morte del 're di Montelepre' in seguito ad alcuni esposti presentati da due studiosi e un medico legale secondo cui la salma nella tomba del cimitero di Montelepre non sarebbe quella dle bandito. Dai primi esami medico-legali sono emerse effettivamente alcune piccole incongruenze tra le caratteristiche fisiche di Salvatore Giuliano con quelli dalla salma riesumata. Il nipote e altri parenti sono convinti che Giuliano fosse "piu' alto di un metro e 80", ma il corpo riesumato era alto "non piu' di un metro e 70" come emerso dalla misurazione delle ossa lunghe. Pero' dal certificato medico compilato dal distretto militare, risulta che Giuliano fosse alto 1 metro e 62. (segue)

  • anonimo wrote:

    (ANSA) – PALERMO, 15 NOV – I pm di Palermo che indagano sulla morte di Salvatore Giuliano sentiranno, nei prossimi giorni, lo scrittore Luigi Simanella. L'autore del libro ''Salvatore Giuliano morto…o vivo'' consegnera' ai magistrati un documento dell'avvocato Gregorio Di Maria, l'uomo che ospito' Giuliano prima della sua morte. Di Maria, in una sorta di testamento lasciato a due persone che lo accudirono nei suoi ultimi giorni, avrebbe scritto che quello fatto trovare a Castelvetrano (Trapani) non era il cadavere del bandito, ma di un sosia.(ANSA).

  • alphonsedoria wrote:

     

    Sono stati due infermieri di Castelvetrano, Salvatore Di Giovanni e Sesto Zito, a raccogliere in punto di morte, tra aprile e maggio, il 'rospò che ha tenuto dentro di sè l'avvocato Gregorio Di Maria, colui che avrebbe ospitato a casa sua Salvatore Giuliano fino alla morte del bandito avvenuta il 5 luglio del 1950. Agli infermieri Di Maria, in punto di morte, confessò che l'uomo ucciso a casa sua non era il bandito di Montelepre. I due infermieri hanno avuto modo di parlare con l'uomo chiave della morte di Giuliano e, non comprendendo appieno l'importanza delle sue parole, le avevano appuntate su un foglio. Ora quelle parole sono state fatte avere alla magistratura di Palermo che indaga sulla ipotesi che colui che venne ucciso il 5 luglio del 1950 non fosse il bandito di Montelepre ma un sosia. La testimonianza di Di Maria, dopo decenni di reticenza, conferma quindi che quello ucciso a casa sua non era Giuliano ma un giovane «picciotto che gli assomigliava molto». Raccolte dallo scrittore Luigi Simanella, che da tempo ha sostenuto in un suo volume che quello ucciso non era Giuliano, le affermazioni dei due infermieri (un vero 'verbalè con domande e risposte) sono quindi entrate nel fascicolo aperto dalla Procura di Palermo. Quando si riapre la vicenda Giuliano, i due infermieri riprendono in mano gli appunti e ne comprendono l'importanza. Della cosa i due parlano a Simanella che li accompagna in Procura a Palermo. Queste le principali affermazioni raccolte dai due infermieri pochi giorni prima della morte di Di Maria e consegnate pochi giorni fa ai magistrati di Palermo che indagano sulla morte di Giuliano (tra parentesi le 'spiegazionì date da Di Maria). – Di Maria: (afferra il braccio dell'infermiere e continua) Le racconterò una storia, la storia della mia vita. La sera prima (il 3 luglio 1950) mi vennero a trovare per concordare il tutto (la messinscena del finto omicidio di Salvatore Giuliano). – Infermiere: Ma chi venne? – Di Maria: La società, la loggia (i mafiosi)… e i carabinieri; tutto era già stato stabilito, doveva morire quell'altro… povero picciotto!!! In cambio a lui (a Giuliano), quello vero, lo facevano andare lontano (lo facevano emigrare). – Infermiere: Ma perchè, erano d'accordo? – Di Maria: D'accordo, d'accordo. Tutti gli omicidi che li aveva fatti lui? Di sua spontanea volontà? Lo usavano e non lo prendevano. Poi, però, quella cosa che gli hanno accollato era grossa (la strage di Portella della Ginestra), più grossa di lui, non ha potuto fare altro che scapparsene (emigrare all'estero). Uno dei primi scappati (emigrati) è stato: mafia e politica, politica e brigantaggio. Era troppo scomodo, sapeva troppe cose. – Infermiere: E allora perchè non ammazzavano a lui? – Di Maria: (risponde con una frase in latino che l'infermiere non ricorda e poi continua). Lui (Giuliano) non se ne andò, tanto era già morto là fuori (il cadavere nel cortile Di Maria), chi lo doveva cercare?…' Asparino (Pisciotta) si lamentò che a Salvatore (Giuliano) l'avevano fatto andare (emigrare) all'altro mondo (l'America)… poi ci mandarono anche a lui (Pisciotta) all'altro mondo (lo uccisero).. però sottoterra….'. Di Maria, secondo il racconto dei due infermieri, parla poi della strage di Portella e alla fine torna sulla questione della morte di Giuliano. – Di Maria: Tutta una vita con questo rospo dentro (l'avvocaticchio era riuscito a tenersi tutto dentro per ben sessant'anni). Come si chiama lei? – Infermiere: Giosy – Di Maria: Lei ce li ha i coglioni per tenersi tutto dentro? minchiate!!! «Di Maria in effetti – dice Simanella – voleva che i due infermieri parlassero, lo si evince da ben quattro particolari. Il primo, il più evidente, è quello che se Di Maria voleva tenere tutto per sè non avrebbe parlato di queste cose con il primo che gli stava accanto. Il secondo è che ha raccontato queste cose a due persone e non a una sola, proprio per il fatto che almeno uno parlasse. Il terzo particolare lo si evince dall'ultima parola pronunciata dal Di Maria: '…minchiatè. Questo intercalare sta a significare che le persone con le quali parla il Di Maria non hanno la forza per tenersi tutto dentro e l'avvocaticchio questo lo sapeva benissimo. Il quarto particolare è che Di Maria non ha voluto affidare le sue 'Dichiarazionì nè ad alcuno dei diretti parenti, nè ad alcuno dei tanti amici che lo frequentavano, perchè sapeva benissimo che non lo avrebbero mai tradito e che avrebbero tenuto anche loro il segreto».

  • alphonsedoria wrote:

    Palermo, 26 nov. – (Adnkronos) – Tempi brevi per conoscere la vera identita' della salma riesumata un mese fa dal piccolo cimitero di Montelepre (Palermo) e attribuita al bandito Salvatore Giuliano, ucciso nel luglio del 1950 a Castelvetrano (Trapani). Oggi, come apprende l'ADNKRONOS, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che coordina l'inchiesta insieme con il pm Francesco Del Bene, Lia Sava e Paolo Guido, assegnera' l'incarico ai periti specialisti che dovranno fare l'esame del dna di alcuni parenti di Giuliano e compararlo con quello estratto dal cadavere riesumato.

  • alphonsedoria wrote:

    Scritto da Vincenzo Allotta   

    bandito giuliano dna20 giorni, dopo questo lasso di tempo saranno pronti gli esami del Dna che stabiliranno se il corpo custodito nel cimitero di Montelepre, in provincia di Palermo, sia realmente quello del bandito Salvatore Giuliano.
    La Procura della Repubblica di Palermo venerdì scorso ha incaricato due consulenti che porteranno avanti le comparazioni del dna del presunto corpo del bandito e quello dei familiari: si tratta di Renato Biondo, biologo del Gabinetto di polizia scientifica di Roma, e Francesco De Stefano, direttore del dipartimento di Medicina legale dell'Università di Genova.
    I due esperti selezioneranno i parenti ancora in vita di Giuliano per fare i necessari prelievi e successivamente procederanno alla comparazione con il dna estratto dai resti riesumati dalla tomba del cimitero di Montelepre.
    Gli appassionati del caso Giuliano dovranno attendere altri 20 giorni per capire se potranno ulteriormente alimentare le leggende riguardo la fuga del bandito o dovranno arrendersi all'evidenza della scienza.

  • alphonsedoria wrote:

    di Francesco Previti

    salvatore_giuliano

    1 dicembre 2010 -  È stato isolato questa mattina al commissariato di Polizia di Partinico, il DNA di Giuseppe Sciortino, nipote di Salvatore Giuliano.

    I consulenti incaricati dalla Polizia Scientifica, Daniele Zanca e Maria Santina Spada hanno prelevato un campione di saliva di Sciortino che sarà comparato con il dna del corpo sepolto al cimitero di Montelepre, attribuito per decenni al bandito Salvatore Giuliano.

    Renato Biondo, biologo del Gabinetto di polizia scientifica di Roma, e Francesco De Stefano, direttore del dipartimento di Medicina legale dell’Università di Genova, effettueranno nei prossimi giorni il confronto. Il nipote, individuato dalla Procura di Palermo per la comparazione del DNA, ha anche nominato la professoressa Elena Carra, come perito di parte per il confronto genetico.

    Sono stati alcuni studiosi e un medico legale a fare riaprire il caso perché si dicono quasi certi che la salma che da 60 anni riposa nel cimitero di Montelepre “non è quella di Salvatore Giuliano”.

    Così, la Procura di Palermo ha avviato una nuova indagine e fino ad oggi sono state eseguite numerose perizie ma anche ascoltati diversi testimoni.

    Ma la ‘prova regina’ sarà proprio la comparazione del dna che potra’ dire con cerezza se i due studiosi Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino, che parlavano di “straordinarie incongruenze attorno al cadavare” hanno ragione o meno.

    Intanto nel paese di Montelepre, cresce l’attesa per un risultato che potrebbe riscrivere o lasciare invariata la storia degli ultimi 60 anni.

  • alphonsedoria wrote:

    Se risultasse che quel corpo sepolto a Montelepri non è quello di Slavatore Giuliano, lo Stato Italiano dovrebbe spiegarci a Noi Siciliani, più di qualche cosa!

  • alphonsedoria wrote:

    Salvatore Giuliano vivo nel 1971?
    di Francesco Previti

    4 gennaio 2011 – Un agente dei Servizi Segreti avrebbe accompagnato dagli Stati Uniti Salvatore Giuliano ai funerali della madre Maria Lombardo, che si sono celebrati nel mese di gennaio del 1971 a Montelepre, quando il bandito avrebbe avuto 48 anni.

    La procura di Palermo che sta conducendo le indagini sulla morte di Giuliano, avrebbe già sentito le dichiarazioni di quest’uomo, il cui nome resta top-secret.

    Una leggenda che da anni circola a Montelepre e che oggi troverebbe una conferma sostanziale. Almeno secondo quanto riportato dal giornalista Giuseppe Lo Bianco del Fatto Quotidiano che si occupato della vicenda con un articolo pubblicato nei mesi scorsi.

    Il bandito di Montelepre non sarebbe stato ucciso, ma venne fatto fuggire negli Usa dalla Cia. Il supertestimone sarebbe un settantenne vicino ai servizi segreti.

    Dopo le sue clamorose dichiarazioni, raccolte dai magistrati coordinati dal Pm Antonio Ingroia, ora la Procura procede con i piedi di piombo per verificarne l’attendibilità. Dice di essere stato in stretto contatto con Giulio Andreotti e di essersi occupato personalmente dell’operazione Giuliano.

    Un’ipotesi che se è confermata, potrebbe avere dei risvolti importanti nelle indagini.

    Tanto che lo storico partinicese Giuseppe Casarubbea, che insieme al suo collaboratore Mario Cereghino presentò l’esposto in procura per fare chiarezza sulla morte di Giuliano, ritiene opportuno l’intervento dell’FBI, l’ufficio federale di investigazione americana.

    Dopo la riesumazione del presunto cadavere del bandito al cimitero di Montelepre, avvenuta lo scorso 28 ottobre, la Procura non ha ancora ufficializzato l’esito degli esami del DNA.

    I tentativi scientifici, finora eseguiti dal biologo del gabinetto di Polizia scientifica di Roma Renato Biondo e dal direttore del dipartimento di medicina legale dell’università di Genova Francesco De Stefano, non hanno ancora sortito gli effetti sperati. I primi elementi emersi dal confronto effettuato tra il dna estratto dai resti riesumati dalla tomba di Giuliano e quello del nipote Giuseppe Sciortino, non sono sufficienti per stabilire l’esatta comparazione genetica.

    I risultati erano attesi a dicembre, ma gli esperti procedono a tentativi e passeranno alcuni giorni prima di conoscere l’esito definitivo.

  • alphonsedoria wrote:

    P

    alermo, 13 gen. – (Adnkronos) – Il giallo del bandito Salvatore Giuliano, il 're di Montelepre' forse si avvia verso una soluzione. Secondo quanto riferito dai consulenti della Procura di Palermo, e' utilizzabile per il confronto con i parenti il dna che e' stato estratto dai resti del cadavere riesumato lo scorso 28 ottobre dal cimitero di Montelepre. La Procura di Palermo ha aperto un'inchiesta per verificare se effettivamente la salma che riposa da 60 anni nel cimitero di Montelepre appartenga a Salvatore Giuliano. I consulenti della Procura hanno inviato ai magistrati Antonio Ingroia e Francesco Del Bene il risultato della perizia.

    Secondo i tecnici della Scientifica e' possibile poter utilizzare il materiale estratto dal cadavere dopo la riesumazione. I due consulenti sono Renato Biondo, biologo del gabinetto di polizia scientifica di Roma e Francesco De Stefano, direttore del dipartimento di medicina legale dell'Universita' di Genova. In questi giorni i consulenti stanno eseguendo la comparazione del dna del corpo riesumato con quello dei famigliari di Giuliano ancora in vita.

  • alphonsedoria wrote:

    Si potrà finalmente scrivere la parola fine sul giallo della morte del bandito Salvatore Giuliano. La salma recentemente riesumata e che sinora si è creduto sia effettivamente quella del «re di Montelepre» ha un dna ancora utilizzabile. Utilizzabile, e dunque comparabile con il profilo genetico dei parenti di Giuliano ancora in vita. Si potrà dunque con ogni probabilità verificare se quel morto è davvero il bandito accusato della strage di Portella della Ginestra o se invece si tratta del cadavere di un'altra persona, utilizzato per mettere in piedi la messinscena della morte e permettere a Giuliano di rifarsi una vita lontano dalla Sicilia come sostiene qualche familiare e più di uno studioso.
    Il responso positivo sulla salma riesumata è arrivato dai consulenti della Procura di Palermo, che hanno reso noto che è utilizzabile per il confronto con i parenti il dna che è stato estratto dai resti del cadavere riesumato lo scorso 28 ottobre dal cimitero di Montelepre. La Procura di Palermo ha aperto un'inchiesta per verificare se la salma che per 60 anni ha riposato al cimitero di Montelepre appartenga a Salvatore Giuliano o no. I giudici di Palermo stanno cercando di fare luce sull'ipotesi che il cadavere di Giuliano ripreso sul luogo del delitto il 5 luglio del 1950, il cortile De Maria a Castelvetrano (Trapani), non sia lo stesso di quello fotografato nell'obitorio del cimitero di Castelvetrano. I dubbi sull'identità di quella salma erano sorti già all'inizio. Troppe incongruenze tra quel cadavere trovato in cortile De Maria e quello poi mostrato ai giornalisti all'obitorio.
    Ora i consulenti della Procura hanno inviato ai magistrati titolari dell'indagine, Antonio Ingroia e Francesco Del Bene, il risultato della perizia. Secondo i tecnici della è possibile poter utilizzare il materiale estratto dal cadavere dopo la riesumazione. I due consulenti, Renato Biondo, biologo del gabinetto di polizia scientifica di Roma e Francesco De Stefano, direttore del dipartimento di medicina legale dell'Università di Genova, stanno eseguendo in questi giorni la comparazione del dna del corpo riesumato con quello dei familiari di Giuliano ancora in vita. La risposta a quello che è uno dei grandi misteri d'Italia (il segreto di Stato su Giuliano e sull'eccidio di Portella della Ginestra cadrà nel 2016) sembra ormai vicina.
    A chiedere la verifica sul cadavere sepolto al cimitero di Montelepre era stato un giornalista Rai, Franco Cuozzo, che sta scrivendo un libro sulla vicenda. E poi sono subentrati anche i dubbi di un nipote di Giuliano, Giuseppe Sciortino Giuliano, autore del libro «Via d'inferno. Cause ed affetti». Un volume inquietante. Il nipote infatti ha raccontato che ai giornalisti fu mostrato in realtà il cadavere di un sosia e che il vero Salvatore Giuliano sarebbe stato aiutato a fuggire e sarebbe morto solo qualche anno fa ultraottantenne, dopo essere tornato per due volte nella sua Montelepre. «Una ricostruzione – ha precisato il nipote – frutto dell'immaginario popolare». Ma quanto lontana dal vero, nessuno può dirlo.

    Il Giornale  articolo di Mariateresa Conti
    Vvenerdì 14 gennaio 2011

  • alphonsedoria wrote:

     

     

    09:12 29 GEN 2011

    (AGI) – Palermo, 29 gen. – Quel cadavere e' di Salvatore Giuliano. Gli accertamenti medico-legali e il test del Dna hanno confermato che i resti sepolti nel cimitero di Montelepre sono del bandito. I magistrati di Palermo avevano riaperto le indagini dopo 51 anni in seguito all'esposto dello storico Giuseppe Casarrubea, il quale aveva ipotizzato che Giuliano avesse fatto uccidere una persona per farla seppellire al posto suo e potere cosi' godersi una indisturbata latitanza. Il profilo genetico estratto da quanto restava della salma, coincide, infatti, con quello del nipote Giuseppe Sciortino Giuliano, figlio della sorella del bandito; anche l'esame obiettivo delle ossa, il femore in particolare, evidenzia una corrispondenza con l'altezza del criminale: in base alla carta d'identita' e alla scheda del servizio militare era alto 162-166 centimetri. (AGI) .

  • alphonsedoria wrote:

     (ANSA) – PALERMO, 29 GEN – Salvatore Ingoia, procuratore aggiunto di Palermo, smentisce che il test del dna sul cadavere di Salvatore Giuliano ne abbia confermato l'identita', come scritto da alcuni giornali. Per il magistrato, le analisi sono in corso e l'ipotesi della sostituzione di cadavere resta aperta. In particolare, Ingroia smentisce che sia gia' emersa la compatibilita' tra il dna estratto dal cadavere riesumato a ottobre a Montelepre e quello dei congiunti del bandito usato per la comparazione.

  • alphonsedoria wrote:

    Salvatore Giuliano: il test del Dna conferma che è lui

    30 gennaio 2011 No Comment

    Salvatore Giuliano: il test del Dna conferma che è lui

    Secondo organi stampa, gli accertamenti medico-legali, confermerebbero che il cadavere riesumato sarebbe proprio quello del bandito Giuliano.
    Il test del Dna, praticato sui resti sepolti nel cimitero di Montelepre, smentirebbe quanto ipotizzato nell’esposto dello storico Giuseppe Casarrubea, secondo il quale Giuliano avrebbe fatto uccidere un’altra persona, facendola seppellire al posto suo.

    A smentire però la notizia apparsa sulla stampa, il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia.
    Per fugare i dubbi sull’appartenenza di quei resti, la Procura ha incaricato alcuni esperti di comparare il profilo genetico con quello di alcuni congiunti di Giuliano.
    Salvatore Giuliano , nasce a Montelepre il 12 novembre 1922.
    Il padre, che portava il suo stesso nome, era stato costretto ad emigrare negli Stati Uniti.
    Con i soldi guadagnati all’estero, riuscì a comprare dei terreni vicino al paese, dedicandosi alla loro coltivazione.
    Salvatore (Turiddu in siciliano), era un ragazzo dall’intelligenza vivace, frequentava ancora le elementari e dimostrava una certa attitudine allo studio, anche quando finite le elementari, iniziò ad aiutare il padre, non tralasciando comunque, quando possibile, di continuare a leggere..
    Erano gli anni della seconda guerra mondiale e il regime fascista, aveva introdotto tardivamente (16 mesi dopo l’inizio del conflitto) il razionamento del pane e a seguito della mancanza di manodopera nei campi, la quantità dei generi razionati, non riusciva a soddisfare neppure il 50% del fabbisogno della popolazione.
    Questa drammatica situazione, portò ad una legalizzazione di fatto del commercio clandestino di generi di prima necessità.
    Non furono pochi coloro i quali, si dedicarono a tale lucrosa attività, alcuni, sottraendo o commerciando piccole quantità di prodotti destinate allo stoccaggio, altri, creando un’organizzazione ben strutturata, in grado di trasformare il piccolo commercio illegale in un’attività lucrosa e su vasta scala.
    Salvatore Giuliano, come tanti altri, fu tra i piccoli contrabbandieri che si dedicò a tale attività, per sostentare la famiglia e far patire il meno possibile i disagi di quegli anni ai propri cari.
    Molti agricoltori, nascondevano derrate alimentari per nutrire la propria gente, ma il problema, era rappresentato dalla macinazione del grano, infatti, tutti i mulini, erano sorvegliati dai militari e questo impediva la macinatura del grano sottratto all’ammasso.
    A tal fine, i Giuliano avevano costruito un piccolo mulino segreto.
    Ad occuparsi dell’attività, era stato il fratello maggiore, fino a quando non venne chiamato alle armi e toccò quindi al giovane Salvatore, di soli 20 anni, farsi carico della famiglia.
    Ma il ragazzo, era inesperto del modus operandi dei contrabbandieri di grano e il 2 settembre 1943, mentre trasportava, con Gaspare Pisciotta, due sacchi di grano (80Kg), incappò in una pattuglia formata da due guardie campestri e due carabinieri.
    Le sue preghiere e le spiegazioni date, non furono di alcuna utilità al giovane Salvatore, che si vide accusato di contrabbando e chiese ai militari di essere denunciato, ma non arrestato.
    Mentre sembrava che i militi si stessero convincendo, accadde quell’imprevisto che porterà “Turiddu Giuliano” a diventare il bandito di cui si dirà che togliesse ai ricchi per dare ai poveri, ma che venne anche definito, dal giornalista Mike Stern che lo aveva intervistato, . ” un ragazzo, un ragazzo sincero. Aveva solo un lato sbagliato: gli piaceva ammazzare la gente”.
    Non potremo mai sapere se gli piacesse ammazzare la gente, mentre invece le cronache e le testimonianze, ci confermano gesti di generosità nei confronti dei più deboli, ciò non toglie il fatto, che lui e la sua banda, furono autori di numerosi omicidi.
    Mentre i militari controllavano i documenti di Giuliano, al quale sequestravano mulo e grano, sopraggiunsero quattro muli carichi di frumento e i carabinieri, lasciarono Giuliano per fermare i contrabbandieri.
    A quel punto, Salvatore Giuliano, approfittando della distrazione dei militari, tentò la fuga, ma i componenti della pattuglia, che avevano ordini ben precisi, spararono sei colpi nella direzione del fuggiasco, centrandolo due volte ad un fianco.
    Giuseppe Mancino, carabiniere della pattuglia, ricevette l’ordine di avvicinarsi a Giuliano per accertarne la morte e nel caso in cui fosse stato ancora vivo, di finirlo con un colpo di grazia.
    Salvatore Giuliano era però armato e quando il Mancino si avvicinò a lui, sparò un colpo di pistola ferendolo (morirà il giorno successivo) e seppur malconcio, riuscì a fuggire.
    Gli altri componenti della pattuglia infatti, non se la sentirono di inseguirlo nel bosco e iniziò così la storia di Turiddu, per alcuni solo un brigante legato all’ambiente contadino, bandito feroce (circa 150 gli omicidi attribuiti alla sua banda), eroe romantico secondo altri, che sperava nel riscatto civile del suo popolo, allacciando rapporti con il mondo politico, con servizi deviati e con le frange separatiste.
    In questo modo, Turriddu divenne l’ultimo bandito delle campagne siciliane, con un grande sogno nel cassetto: la Sicilia deve separarsi dal resto d’Italia e diventare uno stato degli Stati Uniti!
    Chissà, se Giuliano non fosse incappato nei carabinieri, se non gli avessero sparato, se non fosse stato dato l’ordine di dargli il colpo di grazia…chissà, forse non sarebbe esistito il Turiddu Giuliano bandito e tante altre cose sarebbero magari andate in maniera diversa.
    Dopo quel tragico evento del 2 settembre 1943, Giuliano, ormai bandito, aveva molti sostenitori in paese e iniziò ad aggregare attorno alla sua carismatica figura, quelli che in breve diventarono i componenti della più temuta banda che insanguinò le campagne dell’isola.
    Trascorsi i primi due anni alla macchia e resosi protagonista di più imprese banditesche, comincia a formarsi una nuova coscienza, quella del “bandito guerrigliero”.
    Una sorta di giustiziere, capace di attaccare le forze dell’ordine, intere colonne di militari, le sezioni comuniste, ma anche di uccidere noti mafiosi come Santo Fleres.
    Non ha obiettivi politici, né ha la capacità di progettare o mettere in atto strategie che mirino ad un progetto a più lungo termine.
    È animato da una confusa aspirazione alla giustizia sociale, crede nella risposta armata alle angherie da parte dei vari potenti e comincia ad illudersi di svolgere un ruolo politico di primaria importanza, che lo vede contrapposto allo Stato, per sconfiggere il quale, s’illude di poter utilizzare la propria banda, trasformandola in un esercito.
    Purtroppo, in quest’ottica, i suoi principali nemici sono coloro i quali servono lo Stato, spesso anche a costo della propria vita.
    Nel 1945, si avvicina al Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), inconsapevole del fatto, che sta iniziando a scrivere l’epilogo della sua storia.
    Successivamente, spinto anche dall’intelligence americana e da un colonnello dell’esercito americano, che alimentarono l’illusione che la Sicilia avrebbe potuto essere annessa addirittura agli U.S.A. entra a far parte dell’E.V.I.S.(Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana), che operò contro l’esercito italiano nel biennio 45/ 46 ed era comandato all’epoca dall’avv. Antonio Canepa, che verrà ucciso il 17 giugno 1945 in uno scontro con i Carabinieri a Randazzo.
    Salvatore Giuliano, entrò nell’EVIS, con il grado di colonnello.
    Diventa quindi un guerrigliero, un combattente che affascina e riesce ad ottenere consenso tra la popolazione, in particolar modo tra i contadini, che vedono in lui la speranza del riscatto da una vita di stenti e di soprusi.
    Durante questo periodo, la leggenda di Giuliano il bandito, si arricchisce di particolari che riguardano anche la sua sfera privata, si narra di amori bruciati in poche ore, di donne che riescono tramite i suoi uomini a raggiungere il bandito o di appuntamenti galanti ai quali lui si reca, sfidando tutti i pericoli.
    In verità, Salvatore è un uomo accorto, capisce benissimo che un legame stabile che lo coinvolga intimamente, lo condurrebbe irrimediabilmente alla fine e di conseguenza, evita di instaurare rapporti sentimentali duraturi.
    Certamente, non fu indifferente al gentil sesso, a tal punto che, tra coloro che cercavano con lui un contatto per scrivere la sua storia, ospitò una giovane giornalista, con la quale ebbe una relazione.
    Del resto, gli ingredienti c’erano tutti per poter scrivere anche un romanzo.
    Lui, dai lineamenti forti, lo sguardo inquieto e indagatore, indubbiamente coraggioso, a volte cinico e feroce, ma capace anche di gesti di grande generosità.
    Lei, una giovane straniera, impavida e decisa a …

  • alphonsedoria wrote:

    SALVATORE GIULIANO: LA FALSA STORIA DA RISCRIVERE
    di (vedi sotto)
    Una giovane ricercatrice ha scritto per il nostro giornale un articolo per i 62 anni dalla misteriosa morte di Salvatore Giuliano.
    SERAFINA PALMINTERI
    In memoria di un grande uomo diffamato dallo Stato di allora, ma sempre amato dal suo Popolo.
    5 LUGLIO 1950: tutte le maggiori testate giornalistiche annunciano la fine del bandito più famoso del mondo: Turiddu Giulianu, l’amico dei poveri.
    Avvolta nel mistero più totale la presunta morte di quest’uomo, ancora ragazzo. A 27 anni ammazzato come un cane. Nessuno ha avuto rispetto nemmeno del cadavere perché sui giornali hanno mostrato anche il suo corpo nudo oltre che morto.
    Ma perché questo ragazzo ha fatto parlare tanto di sé? Se era solo un criminale sarebbe rimasto forse nell’anonimato come tanti altri eppure così non è stato: TUTTA LA STAMPA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE HA PARLATO DI LUI: PERCHE’?
    Forse il nostro Giuliano non era un criminale perché se la logica ha un senso, non è insensato chiamare criminale un uomo che difende i più deboli dai soprusi di veri criminali che spesso erano anche dotati di una divisa? Se pensiamo che ad accusare quest’uomo di essere un delinquente erano le stesse persone che hanno violentato e torturato tre quarti della popolazione di Montelepre non sembra anche a voi che ci sia qualche similitudine con la storia del bue che dice cornuto all’asino?
    La storia di Giuliano è diventata un misto di leggenda, realtà, chiacchiericcio e fantasia che a volte sembra quasi sfiorare anche la fantascienza. Si è detto di tutto e di più; tutto ed il contrario di tutto, ma allora qual è la verità? Siamo in grado di stabilirla? Forse, chi doveva, si è preoccupato di eliminare tutte le fonti che potevano in qualche modo difenderlo, eliminando fisicamente testimoni scomodi e carte ufficiali scomode. Molti documenti ufficiali sono spariti in modo inspiegabile e molti testimoni di Portella delle Ginestre sono stati eliminati casualmente. Buona parte è morta in fantomatici scontri a fuoco con i carabinieri. Mi permetto di dire fantomatici perché spesso risultano fantasiose le ricostruzioni dei verbali: vedi per esempio lo scontro di Alcamo (TP) dove persero la vita il Ferreri che venne eliminato a freddo, unitamente a suo padre Vito, a Vito Corace ed ai fratelli Pianelli, in un agguato teso da parte del colonnello Roberto Giallombardo la notte del 26 giugno 1947.
    Un altro episodio ridicolo è la morte di Gaspare Pisciotta e la scomparsa del memoriale consegnato al suo avvocato. Ufficialmente G. Pisciotta muore con un caffè alla stricnina un veleno amarissimo che nel caffè si sarebbe notato all’istante e di certo non lo avrebbe bevuto; di certo la sua medicina, il Vidalin, si sarebbe prestata più facilmente al gioco perché già di per sé molto amara … ma in carcere le medicine hanno una provenienza specifica e quindi era di certo più conveniente far finta che fosse nel caffè anche se matematicamente impossibile che le cose siano andate cosi.
    Questi signori sono tutti probabili testimoni della Strage di Portella delle Ginestre di cui è stato accusato Salvatore Giuliano. Più tardi verranno desecretati degli atti dei servizi segreti che dichiarano che a Portella c’era l’esercito e che sono stati rinvenuti nei corpi delle vittime e dei feriti i proiettili dell’esercito e delle schegge di una bomba modificata chiamata special weapon in dotazione esclusiva dell’esercito. Tutto questo non è mai stato trattato dalla Stato italiano perché ancora fa comodo addossare la colpa di tutto ad un eroe chiamato bandito. La verità è che il Colonnello dell’E.V.I.S. Salvatore Giuliano, non era un bandito ma solo un grande uomo che ha cercato di difendere il suo Popolo e la sua gente da uno Stato predatore che stava dissanguando la Sicilia e per questo si era iscritto ad un Movimento chiamato M.I.S. (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia) che aveva al suo fianco un esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia guidato dal Prof. Antonio Canepa .
    Salvatore Giuliano avendo ricevuto i gradi di colonnello, guidò la Brigata Palermo e combatté per liberare la nostra terra dalla colonizzazione italica. Il nostro valoroso esercito ottenne uno Statuto definito Speciale che serviva a tutelare la Sicilia e che ancora oggi, dopo più di 60 anni, attende i decreti attuativi. Viviamo una situazione vergognosa perché oltre a non aver attuato uno Statuto che ricordo essere Carta Costituzionale, il Governo italiano si è permesso il lusso di modificarlo senza nemmeno preoccuparsi di utilizzare i procedimenti legislativi adeguati cioè quelli previsti per le leggi costituzionali: HANNO FATTO TUTTO QUELLO CHE HANNO VOLUTO FARE … INDISTURBATI E CON LA COLLABORAZIONE DEI NOSTRI POLITICI SICILIANI CHE IN CAMBIO DI UNA POLTRONA SI SONO LETTERALMENTE VENDUTI LA SICILIA. NESSUNO HA FATTO NIENTE PER DIFENDERE I NOSTRI DIRITTI. Questo è il motivo per cui io ho scelto di diventare Coordinatore dello stesso movimento a cui ha aderito nel 1943 Salvatore Giuliano. Non posso permettere che il prezzo pagato per ottenere questo pezzo di “Carta Costituzionale” sia stato pagato inutilmente. Il sangue dei nostri fratelli non può essere cosa di poco conto. La morte di tanti valorosi soldati non riconosciuti va onorata; la nostra Sicilia va difesa: dobbiamo tornare PADRONI IN CASA NOSTRA!
    Le vergognose vicende di bugie e intrallazzi tra Stato e mafia a carico di un Popolo , quello siciliano ,e di un ragazzo in particolare, Salvatore Giuliano, non devono e non possono essere taciute. Le colpe di crimini atroci devono ricadere su chi le ha commesse, non scaricate su chi non può difendersi. Questa vergogna deve venir fuori: ADESSO DIREI CHE SAREBBE L’ORA DI DIRE LA VERITA’!!!
    Per dare voce a chi non c’è più pubblico di seguito una lettera scritta dallo stesso Giuliano all’onorevole Montalbano indirizzata alla redazione di un giornale comunista, “La voce di Sicilia” tratta dal libro “Mio fratello Salvatore Giuliano” scritto dal nipote Giuseppe Sciortino Giulianosu ispirazione della madre Marianna Giuliano. Riferendosi ai fatti di Portella scrive:
    “ Signor direttore, se per come mi hanno fatto credere non siamo nemici, la prego pubblicare nel vostro giornale quanto segue. Seguendo le ultime vicende, un socchè di delirio mi sorprende come il mio nome è cascato nelle spudorate bocche di tutti questi signori e signoroni. Lo credo ormai chiaro, che l’unico appoggio per le loro difese, l’unico appoggio per nascondere e scaricarsi dei loro crimini, non è altro che il mio nome. Forse perché credono, che un bandito così chiamato, ricercato da una legge, perde ogni dignità morale. Forse perché non avendo io libertà di stampa, specie quando gli tocco il vivo alla polizia e a qualche signorone, ed anche perché non potendo disporre di una cultura letteraria, non potrò difendermi dalle varie calunnie, dalle varie accuse che mi si facciano.
    E’ così lecito attribuirmi, dunque, ciò che gli pare, ciò che gli è prezioso per le varie discolpe e dormono sicuri perché nessun interesse ci può essere per far luce di tutti questi fatti incolpatemi, dato che un delinquente, così ora qualificato, non può essere nel modo più categorico difeso. Se la mia domanda incontra un essere ragionevole, voglio chiedere: come mai un Giuliano amatore dei poveri e nemico dei ricchi, può andare contro la massa operaia?
    Di tutte le prove che portano quei macellatori della carne umana dei carabinieri sono dovute alle torture, se volete vedere la prova, domandate a questi innocenti rei confessi chi sono stati gli autori della guerra? Il flagellamento dell’Italia? Di sicuro vi risponderanno che sono stati pure loro E’ chiaro che sono state le torture che gli hanno fatto dire e firmare tutto quello che gli interessava. Se altre cose gli saranno domandate finiranno pure per ammetterle. Egregio Montalbano, mi rincresce proprio che voi, uomo maturo, non arrivate a capire l’imbroglio della matassa.
    GIULIANO
    Serafina Palminteri
    E-mail: [email protected]

  • alphonsedoria wrote:

    8 marzo 2012 alle 16:31

    Mi auguro tanto che “chi sa” di queste cose parli, con sincerità, prima di morire. Perchè a questo punto non mi fido più neppure dei documenti che saranno aperti nel 2016.

    CIRIGNACO FERNANDO scrive:

    17 marzo 2012 alle 10:59

    Il mio nome e Fernando ma tutti mi chiamano Dino.Mio padre con mia madre emigrarono in Inghilterra negli anni cinquanta e ricordo vivamente mio padre che aveva un disco di 33giri con la storia di Salvatore Giuliano che io ascoltavo sempre e questa storia mi è rimasta impressa. Oggi che ho 47 anni ne sento ancora di cotte e di crude sulla storia di Giuliano ma crededemi vorrei credere al signore che dice di essere andato a Toronto e di aver avuto la possibilità di potersi sedere al suo fianco e dividere un emozione che non posso immaginare.Spero vivamente che quel signore al bar era proprio lui Turiddu,anche leggendo questa storia il mio cuore mi conferma quello che io spero.Spero un giorno di poter venire in Sicilia per onorare la vostra terra ed avere il grande onore di conoscere il Signor Giuseppe Sciortino Giuliano grazie.

    Maurizio Pecoraro Da Vicari scrive:

    15 agosto 2013 alle 17:15

    Satanpio ha calunniato anche Salvatore Giuliano, forgiando la verita’ a suo piacimento, il forgione maledetto e’ sempre “padre Pio”,ma il suo grande inganno e’ quasi giunto a termine.

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