UN AMORE ASCELLARE Riflessioni di lettura su Opinioni di un clown di Heinrich Böll

UN AMORE ASCELLARE

Riflessioni di lettura su Opinioni di un clown di Heinrich Böll

Di

Alphonse Doria

             Nel pacchetto di libri che mi sono portato nel borsone quando sono partito ho messo Opinioni di un clown di Heinrich Böll, consigliato da mio figlio Federico che acquistò in una bancarella. L’edizione di Famiglia Cristiana del 1998 dato in supplemento nella collana Novecento Europeo.

Oggi non si parte più con la valigia di cartone ma con il borsone acquistato nei negozi cinesi. Mentre la valigia di cartone puntualmente si rompeva nelle chiusure, e si doveva legare con lo spago, il borsone cinese si rompe nelle lampo. Così già è accaduto che in un trasloco ho dovuto mostrare il mio “miserere” d’emigrante.

Questo libro che per mesi, forse qualche anno, è rimasto in libreria, guarda caso mi è toccato leggerlo proprio in Germania. Böll (1917 – 1985) è un autore tedesco, Premio Nobel per la Letteratura del 1972. Nelle biografie dello scrittore si legge sempre che l’humus dove è cresciuto è stato cattolico. Ha rifiutato da giovane il nazismo ed è stato un pacifista. Ha ospitato Solženicyn dopo l’espulsione dell’Unione Sovietica. E’ stato un intellettuale dal libero pensiero tanto d’avere ricevuto simpatie ed antipatie da ogni fronte. Fino al 1972 Böll è di fede cattolica dissentirà con il Vaticano nel 1972 per divergenze politiche. Un cattolico deve essere a maggior ragione pacifista. Per un cattolico nessuna guerra è giusta neanche passata come quella delle crociate. Un cattolico non smetterà mai di esserlo, anche da ateo sarà un ateo cattolico.

Quando sono arrivato all’ultima pagina allora ho intuito l’impianto letterario del libro. Si tratta dell’ipotetico incontro del (lettore) passante, (quando?) era carnevale del 1963, (dove?) nella stazione di Boon, (con chi?) con un’artista di strada truccato da clown (il personaggio protagonista), davanti ad un cappello a terra con una sigaretta dentro. Il passante, nella sua fretta quotidiana, trova sempre spazio per un briciolo di sentimento  di umana curiosità, così nella sua mente si chiede in un flash: chi sarà mai questo giovane? Come mai è finito in mezzo alla strada?  Forse prova anche compassione. A pagina 109 si legge: “Non c’è niente di più deprimente per la gente di un clown che fa compassione. E’ come un cameriere che arriva sulla poltrona a rotelle a portarle la birra”. E allora ecco che quel clown, in uno sfogo sincero svuota il sacco. E’ quasi una confessione delle vicende contemporanee dell’abbandono della sua compagna, ma spesso cade nei ricordi più remoti, quelli che lo hanno forgiato. Altre volte in proiezioni comportamentali con un umorismo clownesco esilarante, che avrebbe voluto fare ma la sua indole borghese non gli rese possibile.

Il protagonista Hans Schnier  (non è un cattolico) ed intraprende una relazione, prima sessuale e poi amorosa, con Maria (cattolica, per l’appunto) figlia del suo datore di lavoro. Questo amore l’ho appellato ascellare perché il momento più sublime lo ha vissuto quando il protagonista ha scaldato le mani di lei sotto le sue ascelle. Tutto inizia così a pagina 44: “Sentii le sue mani sul collo,erano gelate (…). L’attirai a me la coprii e mi misi le sue mani gelate sul cavo delle ascelle e Maria disse che era meraviglioso, vi riposavano come uccelli nel nido”. A pagina 45: “Le sue mani nel cavo delle mie ascelle si erano scaldate, e più si scaldavano più io mi insonnolivo. Ben presto furono le sue mani a scaldare me (…)”. E fu amore, dal “desiderio carnale” al desiderio di coppia per essere partecipi l’uno della vita dell’altro. Come il personaggio chiarisce a pagina 49: “Quel che avrei desiderato era di restare lì dov’ero a vendere quaderni e caramelle fino alla fine dei miei giorni; alla sera mettermi a letto con Maria e dormire accanto a lei, dormire veramente, come in quell’ultima ora prima di alzarci, con le sue mani nel cavo delle mie ascelle”. D’altro canto a pagina 49 lei dice: “E io non dimentico che tu mi hai scaldato le mani tenendole sotto le ascelle”. Tanto che a pagina 203, in un momento di rabbia covato dalla gelosia, perché Maria è con l’altro, il protagonista si rode pensando: “Quando posa le mani sulle spalle di Zupfner, deve pur venirle in mente quella volta, quando le ho scaldato le mani gelate nel cavo delle ascelle”. E poi ancora a pagina 204: “Tutto tocchi con quelle mani che hanno lavato le lenzuola, che io ho riscaldato tenendole nel cavo delle ascelle: giradischi, disco, tasti, tazza, pane, capelli infantili coperte di un lettino, la racchetta da tennis”. Spero solo che se le sia lavate.

Böll esprime il binomio “germanica consapevolezza”  a pagina 30 ed io a riguardo vorrei narrarvi un aneddoto accadutomi in questi giorni. L’hotel dove lavoro è gestito da mio cugino a volte viene aiutato da qualche amico. Prima che si conclude una qualsiasi cosa si fa sempre un gran parlare, per poi magari  decidono di non decidere per il momento e continuare come sempre. Un giorno Antonio Hann insieme con la segretaria discutono di fare pagare le bevande extra l’acqua al personale. Ma si è continuato come sempre come se nulla fosse successo, fino a quando toccò il servizio ad una giovanissima cameriera, dal bel corpo giunonico, alta, senza un filo di grasso. Arriva Antonio, come ogni mattina si fa il caffè espresso per lui e per lo chef, e questa gli dice che deve pagare i caffè. Antonio ride e con il suo tedesco calabrese le chiede sorpreso ed incredulo: pure quello dello chef?! Con sguardo serio,convinto e diretto gli dice: “Ja”. E lo ha fatto pagare. Io sono rimasto meravigliato, e mi veniva voglia di abbracciarla. Ho detto a gli altri: “Finalmente. Sono venuto in Germania per questo motivo! Per incontrare gente come lei!”. Questa è la “germanica consapevolezza”! Lei ha ricevuto un ordine dal suo superiore ed ha mandato di farlo rispettare e lo fa, punto e basta. Non vi è nessun “si, però”, “ma…”, ed eccezioni di sorta. Capisco benissimo che è stata questa “germanica consapevolezza” che portò le conseguenze della seconda guerra mondiale. E sono sicuro che in loro, nel loro profondo, non vi è senso di colpa di questi fatti. In chiesa dove vado, come e quando posso, osservo i loro occhi nella preghiera, sono lì davanti l’altare di nostro Signore, con mille peccati personali, come ognuno di noi, ma senza senso di colpa per la loro Storia di Popolo vissuta, fieri con la loro “germanica consapevolezza”. Dal mio punto di vista non sono d’accordo sulle posizioni di pensiero dell’Autore sui suoi saggi come viene citato nell’introduzione editoriale del libro a pagina IV: “(…) accusa il miracolo economico di essere una comoda maschera dietro la quale la Germania opulenta nasconde le colpe del passato”. In fondo nel libro si riscontra la tracciabilità dello smascheramento del pensiero reazionario tedesco. In realtà la maschera di clown non è altro che il denudare se stesso dalla maschera della propria faccia. Per l’appunto non a caso nelle ultime pagine, il personaggio dopo essersi truccato da clown si accorge di somigliare al padre. Quanti hanno di bisogno di una maschera per dire la verità. Così il protagonista ha bisogno la maschera del clown, non per mascherare se stesso, ma per smascherare il suo mondo di appartenenza borghese. Bisogna sempre contestualizzare l’Opera nel panorama storico politico della sua prima edizione.

Mio figlio Peppe parlando a telefono su questa Opera e sulla “germanica consapevolezza”, mi disse che in fondo è una forma di autismo, per un lato è una grandissima qualità e te ne accorgi nella loro tecnologia e nei loro prodotti, per l’altro aspetto è una mancanza di apertura mentale, la possibilità di vedere oltre il consentito, ti colora la vita.  La caratteristica mentale di un popolo in fondo è una forma di chiusura e quindi, forzando un po’ la mano, una specie di autismo. Come la sicilianità per Noi Siciliani, concetto già espresso in “Don Fabrizio e la verità”. Mentre per Noi Siciliani manca l’identificazione tra l’individuo e lo Stato, per i Tedeschi avviene il contrario. Il cittadino tedesco si identifica con la nazione tanto da divenire il diretto protagonista, ma assoggettato da una volontà internazionale dopo le vicissitudini del primo e secondo conflitto mondiale a divenire oggetto. In fondo il Popolo Germanico non si riconosce e non riconosce questo ruolo. Quando nel ’78 ho posato il primo piede sul suolo tedesco, a Stoccarda, sceso dal treno per una coincidenza ferroviaria, sono andato in bagno ed ho trovato tutto pulito in maniera asettica, funzionante, e di seguito il treno atteso per le ore otto è arrivato alle otto e zero zero! Ne sono rimasto veramente colpito, perché pensavo che, ciò che narravano i nostri emigranti, erano solo leggende ed invece era meravigliosamente vero. Capisco che si sfiora l’ovvietà popolana, ma è una bella sensazione vedere funzionare una organizzazione sociale perché i loro componenti ci credono e quindi affrontano il proprio dovere con serietà. In questa “serietà” vi è ben nascosta la “germanica consapevolezza”. In questa “serietà” vi è ben nascosto “un potere reazionario” che l’Autore nei sui scritti ha cercato di denunziare, perché secondo lui è lo stesso potere reazionario che ha spinto il Popolo Tedesco nel baratro della seconda guerra mondiale. La conseguenza è distinguibile tra la Storia di un Popolo e quella dell’individuo. Perché il Popolo potrà avere un centro di volontà (Potere) che assoggetta l’individuo rimanendo oggetto e non soggetto  del “processo storico” (pagina VI).

Anche Hans Schnier è un uomo d’ordine, nonostante cerca di organizzarsi la vita in maniera anticonformista. A pagina 199 confessa: “Odio le stanze in disordine, ma sono io stesso del tutto incapace di fare ordine”. In realtà la scelta di diventare un clown è solo una scelta di mestiere. Lui prova, studia, fatica come un normale professionista, chiede la giusta parcella ed ha gli incidenti di lavoro come possono capitare a chiunque. Per l’appunto l’evento scatenante del racconto è l’essersi fatto male al ginocchio, costretto al non lavoro forzato e al suo ritorno a Bonn. Il protagonista vive così di stenti pur appartenendo ad una famiglia ricca e industriale.

Il pensiero cattolico è appunto ciò che riscontriamo a pagina 10 quando il signor Kostert, che gli riduce la paga per l’insuccesso del suo spettacolo causa l’incidente al ginocchio, e lui gli chiuse il telefono così lasciandolo “che si arrangiasse a pasticciare da solo attorno alla sua coscienza”. Un cattolico di fede, e non solo di cultura e tradizione, da solo fa i conti con quel “giusto, sbagliato”, e sa benissimo cosa è giusto o sbagliato. Il protagonista, non essendo cattolico, vive come un male la sua fedeltà alla propria donna. Io chiamerei sacralità del rapporto pur non essendoci stata celebrazione del matrimonio né civile e né religiosa. A pagina 13 leggiamo: “(…) c’è una sola donna con la quale posso fare tutto quello che gli uomini fanno con le donne: Maria”. Questo concetto viene ribadito più volte dal protagonista a gli altri interlocutori come sacerdoti ed altri componenti cattolici. Ma per il cattolico non esiste sacralità del rapporto se non viene celebrato da un tramite (sacerdote) il sacramento del matrimonio. A pagina 14 vi è una riflessione: “Lo so’: credere a questa religione è difficile. Resurrezione della carne e vita eterna”. Ma è ancora più difficile vivere la fede cattolica, perché per credere in senso umano basta affidarsi al Mistero e riconoscersi limitati nella propria conoscenza, credere in senso lato supera la limitatezza umana e quindi solo con l’aiuto di Dio. E allora a questo punto vivere la fede è consequenziale per chì riceve l’intervento divino. A pagina 84 è interessante l’evidenza che mette nel pensiero cattolico sulla “relatività del concetto di povertà”. Sembra che la dottrina cattolica provi imbarazzo per la posizione assunta di Gesù sul concetto di povertà e ricchezza e allora una nebbia di parole avvolgono un concetto netto e distinto trasformandolo in relativo. A pagina 193 mette in bocca ad un prelato questo discorso: “La Chiesa è ricca, ricchissima. E’ letteralmente zeppa di quattrini. Puzza di denaro come il cadavere di un ricco. La povera gente invece ha un buon odore, lo sapeva?”. In ogni modo, vorrei credere che nella lettura di questo libro non ci sia una visione ristretta alle contestazioni su certi comportamenti morali dei cattolici, ma uno sguardo ad un orizzonte più ampio, che prenda anche in analisi ciò che rappresenta l’ambientazione storica post bellica della ricostruzione della Germania. I Tedeschi, reduci di una sconfitta, a testa bassa hanno rimesso pietra su pietra le loro fabbriche e dopo le loro case. In questa ricostruzione si sono contrapposti i due fronti della guerra fredda Usa e Urss e quindi, in questo clima, i conservatori tedeschi hanno potuto perbene mascherarsi, gli stessi che hanno sostenuto il nazismo. Dal mio punto di vista, è la maggior parte del Popolo Tedesco che non riesce a rinnegare la propria storia, ché fa parte comunque di essa. A pagina 118 si capisce bene che ad intercalarsi nel personaggio è l’Autore e lo sottolinea iniziando la frase con il pronome personale in prima persona: “Io ho paura di sentirmi rivolgere la parola da una determinata classe di tedeschi di mezza età e mezzo ubriachi; parlano sempre della guerra, trovano che era magnifico e quando sono sbronzi del tutto salta fuori che sono degli assassini e che trovano che tutto –non era poi così tremendo”.

Quando a pagina 26 ho letto: “(…) i vivi sono morti e i morti sono vivi (…)”, mi è venuto chiaro il concetto del pensiero borghese. Una persona borghese riesce a seppellire nella sua mente i propri morti, lasciandoli imputridire, non accorgendosi del terribile tanfo di un cadavere in decomposizione. Questo solo perché non vuole ammettere le proprie colpe, nel silenzio dell’accettazione per fare restare tutto così come, in difesa del proprio status. Nel testo l’episodio del “sette di cuore bruciacchiato” è emblematico. Henriette, sorella del protagonista, mandata dalla madre come volontaria per Hitler ad un passo dalla sconfitta, dove trovò la morte, rimase viva nei ricordi di tutti i componenti. La madre nel gioco a carte con i figli celebrava il mito della famiglia felice, oggi diremmo “la famigliamulinobanco”. Un giorno la giovane Henriette, in uno scatto di ribellione, non ha voluto più stare in quella recita e gettò il mazzo di carte nel caminetto. La madre fu pronta a recuperarle ma si bruciacchiò solo il sette di cuore, rimasto in gioco. Ecco che per Hans la sorella morta è viva mentre la madre viva è morta. L’atto di ribellione del protagonista è stata la sua scelta di vita. Alla domanda del padre, spinto dalla madre: cosa vuoi fare da grande, la risposta è stata: “Voglio diventare un clown”. Il protagonista, nonostante la ribellione rimane un conservatore. Ho tratto questa conclusione con l’episodio del poeta Gruber ospite in casa loro. La madre lo guardava in “modo osceno”, quando questo la mattina scendeva per la prima colazione, però lo ammirava. Un giorno Gruber scomparve e nella stanza trovarono una pila di gialli e sul tavolo dei foglietti con una sola parola scritta: “nulla”. Per un poeta senza ispirazione scrivere la parola “nulla” è già poesia. Uno stato d’animo, una denunzia a se stesso. Hans non percepisce questa poesia, anzi critica la madre che ospitava tipi come Gruber, in questa critica vi è il pensiero da conservatore,in quanto non toglie e non aggiunge a quel “nulla”. La morale borghese ad un certo punto viene mistificata con la cattolica come ha fatto il signor Derkun, padre di Maria accostando la “bugiarda morale sessuale della società borghese” e arrabbiandosi per l’inganno dei preti sul matrimonio. Come il parallelismo a pagina 43 quando il protagonista confronta i nazisti ai comunisti e Derkun dice: “C’è una bella differenza, ragazzo mio, se uno cade in una guerra fatta da fabbricanti di sapone o se invece muore per una causa in cui può credere”. Non condivido questa teoria di giustezza o meno di ruoli nella storia tra ideologie. Negare che il nazionalismo sociale non è una ideologia a pari del comunismo è solo fanatismo politico. Individualizzare ed ammettere gli errori ideologici è coerenza. Nel dialogo tra il padre e Hans per il fratello Leo che vuole farsi prete, a pagina 144 il genitore sbotta in questa maniera: “Ma che cosa credi che abbia provato io quando Leo è venuto da me a dirmi che si faceva cattolico? Per me è stato un dolore come la morte di Henriette. Non mi avrebbe fatto tanto male se mi avesse detto che voleva diventare comunista”. Ecco che gli eredi del patrimonio di famiglia prendono tre strade che esasperano il padre. Henriette la morte, Hans il clown e Leo cattolico. Leo dovrebbe vedere il denaro astratto come un suo nemico “o me o mammona”. Mammona non è la ricchezza materiale ma il denaro astratto, a pagina 170: “(…) il denaro, non il denaro concreto, quello con cui si compera il latte (…); no il denaro astratto”. Hans ha proprio bisogno di quello reale, anche una manciata di marchi. Ma il padre vuole un erede per il denaro, quello senza cifre, quello che si dice in televisione le percentuali e basta. Dare denaro ad un clown è solo uno spreco. In contro partita Hans sa di essere l’erede, la sua sicurezza sta in questa consapevolezza.

Sottolineature:

Pagina 46: “Fonderei una società che si prendesse cura dei figli dei ricchi. Gli imbecilli usano il concetto di asocialità solo riferendosi ai poveri”.

Pagina 49: “Neppure il demonio riesce ad avere gli occhi d’Argo che hanno i vicini di casa”.

Pagina 61: “I cattolici non hanno il minimo senso del particolare”.

Pagina 79: “Mi è già capitato spesso di notare che le mogli sono leali verso i loro mariti fino ai limiti dell’idiozia”.

Pagina 94: “Crudeltà là dove misericordia sarebbe l’unica cosa umana. (…) Io non capisco la morale degli americani”.

Il riposo e il bambino a pagina 98: “(…) nella vita di un bambino il banale ha una sua grandezza, è estraneo, fuori dall’ordine, sempre tragico. Anche un bambino non ha mai una pausa di riposo dall’essere bammbino; soltanto quando si comincia ad accettare i “principi dell’ordine” comincia il riposo sera. (…) il senso vero del riposo, inteso come tregua dal lavoro, è che venga vissuto consciamente”. Gli elementi del riposo e dell’ordine riguardano una chiara prerogativa conservatrice.

Pagina 103: “Gli esteti si dovrebbero di preferenza ammazzare usando preziosi oggetti d’arte, perché anche nella morte soffrano di un insulto contro l’arte”.

Pagina 125: “Il suo anticlericalismo mi sorprende . Credevo che fosse una peculiarità dei cattolici”.

Pagina 138: “Pare che l’imbarazzo sia l’unica possibilità di intesa fra genitori e figli”.

Pagina 144: “Ti manca proprio quello che fa di un individuo un vero uomo: la capacità di farsi una ragione delle cose”.

Pagina 182: “E’ una faccenda crudele e complicata questo desiderio della carne (…)”.

Pagina 183: “la maggior parte delle donne sono in un certo senso offese se non avvertono quello che è loro noto sotto il nome di eros”.

Pagina 183: “quando mi figuro che esiste qualcosa come il “dovere coniugale” mi sento venir freddo”.

Pagina 194: “Maria pareva fermamente convinta che il bambino – lei lo chiamava così – non avrebbe mai potuto entrare in paradiso perché non era stato battezzato. Continuava a ripetere che sarebbe rimasto per sempre nel limbo e io appresi quella sera per la prima volta quali cose orribili i cattolici imparano nelle ore di catechismo”.

Pagina 195: “continuava a domandare dove corre la diagonale fra la legge e la misericordia”.

Pagina 199 – 200: “(…) Veronica, Maddalena, Marta e Maria, una quantità di mani di donna si muovono nel Vangelo, mani piene di tenerezza per il Cristo. (…) Cristo, per così dire in privato, ha avuto a che fare quasi esclusivamente con donne. (…) nessuno di loro ha mai parlato delle donne del Vangelo e di qualche cosa di incomprensibile come l’ingiustizia di mammone”.

Pagina 206: “Già il solo parlare di simili momenti è un errore, volerli ripetere è addirittura suicidio”.

Pagina 206: “Tanto diaboliche possono essere le conseguenze del sentimentalismo”.

Pagina 209: “Per me non esiste nulla di più penoso di una donna che guarda amareggiata il marito perché è incinta”.

Pagina 232: “i cristiani sono di una giustizia spietata”.

Pagina 233: “non è la vita che continua, è la morte”.

Pagina 237: “Un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo brevìario”.

Pagina 245: “Sono un clown e faccio raccolta di attimi”.

Pagina 248: “Se la nostra epoca dovesse meritare un nome, dovrebbe chiamarsi l’epoca della prostituzione. La gente si abitua a un vocabolario da puttane”.

Pagina 251: “L’abito professionale è la corazza migliore che esista, vulnerabili sono soltanto i santi o i dilettanti”.

Invito a tutti i trapezisti, saltimbanco, artisti, preti e nullafacenti di leggervi questo libro con la serenità del giudizio (come disse Michele Greco).

 



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